Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-08-2012, n. 14182

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Svolgimento del processo
p. 1. Con sentenza del 26 settembre 2009 il Tribunale di Livorno – investito dalla s.p.a. XXX XXX in nome e per conto della XXX s.p.a. di un’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del 1 dicembre 2007, con cui il Giudice dell’Esecuzione presso lo stesso Tribunale aveva rigettato l’istanza di vendita di essa ricorrente nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare a suo tempo introdotta contro la s.n.c. XXX &
C. con un pignoramento del luglio del 2006 – ha dichiarato cessata la materia del contendere e condannato l’opponente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della XXX Fallimentare di detta società, contro la quale l’opposizione era stata proposta.
p. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso straordinario per cassazione la s.p.a. XXX – XXX in nome e per conto della XXX s.p.a., quale titolare del credito per cui si procedeva con l’esecuzione in forza di incorporazione della XXX con atto notarile del marzo del 2009.
p. 3. Al ricorso ha resistito con controricorso la XXX Fallimentare.
p. 4. La trattazione del ricorso veniva fissata una prima volta per l’udienza del 10 febbraio 2012 in vista della quale la ricorrente depositava memoria.
A seguito di astensione dalle udienze dei difensori la trattazione veniva rinviata all’udienza odierna.
Motivi della decisione
p. 1. Con il primo motivo del ricorso si denuncia "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4 e dell’art. 111 Cost.", adducendosi che il magistrato che ha pronunciato la sentenza impugnata si sarebbe dovuto astenere, in quanto avrebbe avuto conoscenza della vicenda come componente del Collegio dello stesso Tribunale di Livorno che aveva provveduto sul reclamo della qui ricorrente avverso l’ordinanza di vendita emessa dal Giudice Delegato del Fallimento di XXX & C. s.n.c.. Si rileva che contro il provvedimento collegiale è stato proposto ricorso per cassazione, ma non si specifica il numero di ruolo con cui sarebbe stato iscritto e se ne indica solo la data di notifica nel 20 agosto 2008. Il dovere di astensione viene desunto, riproducendosi le richieste formulate con il non meglio individuato ricorso per cassazione, dalle quali si evince che il rigetto del reclamo imponeva necessariamente il rigetto della opposizione agli atti, atteso che era stata riconosciuta valida la vendita in sede fallimentare e nell’opposizione era stata lamentata l’illegittimità del provvedimento che aveva disposto la migrazione della esecuzione individuale nella procedura fallimentare. Si sostiene che per tale ragioni il magistrato che ha pronunciato la sentenza impugnata avrebbe conosciuto della causa.
p. 1.1. Il motivo è in primo luogo inammissibile, perchè si fonda sul contenuto del provvedimento emesso in sede fallimentare, del quale non indica se e dove sia stato prodotto in questa sede (Cass. sez. un. n. 22726 del 2011) e nemmeno riproduce per la parte che interessa il contenuto.
p. 1.2. Il motivo è ulteriormente inammissibile, sia pure con gli effetti di cui a Cass. sez. un. n. 19051 del 2010, tanto perchè omette di confrontarsi con la giurisprudenza della Corte sulle condizioni che possono consentire di dedurre in sede di impugnazione la violazione dell’art. 51 c.p.c., n. 4, atteso che non reca alcuna citazione della giurisprudenza della Corte, quanto e comunque perchè quest’ultima esprime il seguente principio di diritto consolidato, del tutto ignorato dalla ricorrente: "Anche a seguito della modifica dell’art. 111 Cost., introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo (art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4) non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacchè la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione. Nè detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost." (così Cass. n. 14807 del 2008; in senso conforme, Cass. n. 20 del 2010).
Nella specie la ricorrente non ha proposto istanza di ricusazione.
p. 1.3. Il motivo sarebbe inammissibile anche per altra gradata ragione, in quanto evoca la violazione di una norma, l’art. 51 c.p.c., n. 4 che palesemente non regolava la materia, dato che in essa si fa riferimento all’avere il magistrato conosciuto della causa in altro grado del processo, il che non sarebbe stato nella specie, dato che il reclamo fallimentare e l’opposizione agli atti sono giudizi del tutto distinti ed in alcun modo implicanti una relazione sotto la specie del grado.
p. 2. Con un secondo motivo si deduce "violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.".
Vi si lamenta che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto cessata la materia del contendere "alla luce dell’avvenuta vendita del bene pignorato in sede fallimentare con emissione del decreto di trasferimento della proprietà in favore dell’aggiudicatario" e lo avrebbe fatto nel presupposto che la qui ricorrente non avrebbe contestato la verificazione di tali eventi. L’errore del Tribunale viene individuato evocando senza alcuna spiegazione della loro pertinenza Cass. n. 271 del 2006 e altra decisione di cui non si cita il numero, ma solo la data.
p. 2.1. Il motivo, prima ancora che privo della necessaria attività argomentativa o almeno di un’attività dimostrativa intellegibile da questo Collegio (a tacer d’altro non si dice espressamente che non vi fu contestazione ed anzi sembra ammettersi che vi fu, e nemmeno si spiega perchè la non contestazione della situazione allegata siccome dimostrativa della cessazione della materia del contendere avrebbe potuto avere rilievo per impedirne il rilievo), è inammissibile perchè non tiene conto della motivazione della decisione impugnata, la quale, dopo la frase riportata dalla ricorrente, aggiunge la seguente affermazione "come dedotto dalla XXX e non contestato ex adverso all’udienza del 2/4/2009". E’ palese che si fa riferimento ad una mancanza di contestazione in tale udienza della quale la ricorrente si disinteressa e, dunque, il motivo non si risolve in una critica all’effettiva motivazione della decisione impugnata. Viene in rilievo il seguente principio di diritto: "Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4" (Cass. n. 359 del 2005, seguito da numerose conformi).
Tanto, naturalmente, rende inutile considerare le precise argomentazioni svolte dalla resistente nel controricorso per evidenziare che le vicende relative alla procedura fallimentare erano state ammesse dalla ricorrente. Argomentazioni del tutto ignorate nella memoria depositata in vista dell’udienza poi rinviata.
p. 3. Con un terzo motivo si denuncia "violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 100 c.p.c." e si contesta che la vicenda verificatasi nella esecuzione concorsuale avesse determinato il venir meno dell’interesse alla decisione sulla fondatezza dell’opposizione agli atti e, particolarmente, all’annullamento dell’ordinanza impugnata.
p. 3.1. Il motivo è inammissibile sempre alla stregua del principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, perchè non si fa carico della motivazione della sentenza impugnata, siccome enunciata nella seconda metà della pagina cinque e nella prima proposizione della pagina sei successiva: in essa si spiega ampiamente e dettagliatamente le ragioni della cessazione della materia del contendere ed occorreva criticarle.
p. 4. Con il quarto motivo si denuncia "violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 112 c.p.c. ed al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41".
L’esposizione di tale motivo inizia con la seguente affermazione:
"superata la questione di rito, nella sentenza impugnata il Giudice procede, ugualmente, ad esaminare il merito seppure ai limitati fini dei definire il profilo relativo alla soccombenza onde regolare, coerentemente, il riparto delle spese del giudizio. In tale sede il Giudice ritiene infondata la domanda proposta dal ricorrente e perviene, coerentemente, alla attribuzione a carico dell’opponente delle spese di lite in misura esemplare".
Di seguito si passa a criticare la sentenza impugnata quanto alle valutazioni relative alla soccombenza virtuale, ma senza mai enunciare che la critica è funzionale a rovesciare la valutazione di tale soccombenza.
Nè nella illustrazione nè nelle conclusioni del ricorso si enuncia mai che la cassazione della sentenza è chiesta quanto alla condanna nelle spese conseguente all’apprezzamento come soccombente in via virtuale della ricorrente.
Siffatta modalità espositiva del motivo lo rende inammissibile, perchè esso critica la sentenza non al fine di rovesciare l’unica statuizione che ha reso sulla soccombenza virtuale in aggiunta a quella di cessazione della materia del contendere, cioè quella sulla soccombenza, ma come se essa avesse deciso nel merito.
Solo nella memoria si procede all’enunciazione che il motivo in discorso sarebbe finalizzato al rovesciamento della valutazione della soccombenza virtuale.
Ma la memoria non può supplire alla inidoneità del ricorso sul punto.
Inidoneità che si concreta anche nella mancata denuncia della violazione dell’art. 91 c.p.c., che, trattandosi di censurare la soccombenza virtuale sarebbe stata la norma di diritto da indicare come violata.
p. 4.1. Il motivo, comunque, se lo si intendesse dedotto correttamente, si caratterizzerebbe nuovamente per l’assolta mancanza di aderenza alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto omette di farsene carico. Detta motivazione è basata, infatti, sulla circostanza che all’udienza del 30 novembre 2007 non era possibile accogliere l’istanza di vendita della creditrice procedente, in quanto mancava la relazione di stima dell’immobile, atteso che quella redatta dallo stimatore in sede fallimentare e non risultava acquisita alla procedura esecutiva singolare. Nessuna critica a tale motivazione viene svolta nel motivo, la cui illustrazione si affanna a sostenere che ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 41 la creditrice qui ricorrente avrebbe avuto diritto a proseguire l’esecuzione individuale, quasi che la sentenza impugnata glielo avesse negato. Nè l’illustrazione del motivo spiega come e perchè all’udienza del 30 novembre 2007 il Giudice dell’Esecuzione potesse procedere diversamente se non rigettando per la ragione indicata l’istanza di vendita.
p. 5. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.
p. 6. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro cinquemiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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