Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 20-06-2013, n. 27229

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 23.7.2012, il tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza 26.6.2012, emessa dal Gip del medesimo tribunale, applicativa ,nei confronti di B.H., della misura della custodia in carcere, sostituita da quella degli arresti domiciliari, in ordine al reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa, denominata Clan Belforte.

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi,integrati con memoria depositata il giorno 1.2.2013, al di là del termine di cui all’art. 611 c.p.p.:

1. violazione di legge in riferimento agli artt. 273 e 274 c.p.p., art. 416 bis c.p.; vizio di motivazione:

l’ordinanza è basata su dichiarazioni di collaboratori di giustizia e su conversazioni intercettate, già utilizzate nel procedimento n. 22070/07, a carico della ricorrente in ordine ai reati di cui agli artt. 611, 479, 374 bis, 319 ter e 321 c.p. aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7. L’aggravante è stata esclusa dal Gip del tribunale di S.M Capua Vetere, esclusione che è stata confermata dal tribunale del riesame, con ordinanza e art. 310 c.p.p., e dalla corte di cassazione.

Con sentenza 21.6.2010, il medesimo tribunale ha assolto la B. da tutti i reati, ad eccezione del reato e art. 479 c.p., con esclusione dell’aggravante ex art. 7 cit. Il processo è attualmente in grado di appello, dinanzi alla corte territoriale di Napoli.

La ricorrente sostiene che si è quindi formato un giudicato in ordine alla sussistenza dell’aggravante medesima Comunque l’ordinanza impugnata riporta dichiarazioni generiche, de relato e prive di riscontri, dei collaboratori di giustizia, senza nulla osservare sulla loro credibilità.

Soltanto il collaboratore F.M. fa specifiche accuse su assunzioni, effettuate dal gruppo imprenditoriale B., in favore di affiliati ai clan camorristici Belforte e Piccolo, ma il tribunale non ha tenuto conto che:

a) tale congiunta serie di assunzioni è incompatibile con dimostrazione della tesi di accusa, stante la notoria contrapposizione tra i due clan;

b) la difesa ha prodotto l’elenco di lavoratori citati dai collaboratori, che sono stati regolarmente licenziati, e la lista delle controversie ancora in corso tra alcuni lavoratori e l’impresa.

Dalle intercettazioni di conversazioni di Be.Ca. con i propri familiari non si ricavano affermazioni comprensibili, mentre dai rapporti epistolari tra questi e l’indagata non emergono elementi idonei a dimostrare la sussistenza di indizi sulla collusione dell’imprenditrice con l’associazione criminale. La diversa convinzione del tribunale è logicamente incompatibile con la motivazione dell’ordinanza, laddove ritiene il padre, B. E., dominus del gruppo, "un imprenditore vittima, che, per non soccombere rispetto all’intimidazione, tenta di venire a patti con l’organizzazione, mostrandosi disponibili, nel tentativo di limitare i danni". In data 19.11.2012, il tribunale del riesame di Napoli ha rigettato l’appello presentato dal PM, avverso l’ordinanza 26.6.12, dal Gip del medesimo tribunale, nella parte in cui respingeva la richiesta di misura cautelare nei confronti di tutti i componenti della famiglia Buonpane e del marito della ricorrente, R. F.. Secondo la ricorrente, le argomentazioni di questa ordinanza possono estendersi alla propria posizione.

Quanto alle esigenze cautelari, riferite al pericolo di inquinamento probatorio, il tribunale non ha tenuto conto del tempo trascorso dalla data dei fatti, del trasferimento, da circa due anni, dell’indagata e della famiglia in (OMISSIS), della circostanza che le dichiarazioni accusatorie, sulla sua disponibilità attuale in favore dell’associazione, risalgono al periodo 2008-2009.

Il ricorso non merita accoglimento.

Il tribunale del riesame ha posto in evidenza che non è configurabile alcun giudicato in ordine alla sussistenza di un collegamento e una reciproca collaborazione tra la ricorrente e il clan camorristico Belforte, in quanto:

a) i fatti, in relazione ai quali è stata esclusa, in sede di indagini preliminari l’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 nell’ambito del processo ancora in corso, sono del tutto diversi e autonomi rispetto alla fattispecie qui in esame (concorso esterno in associazione mafiosa);

b) le indagini su tale imputazione si sono basate su propalazioni di collaboratori avvenute tra il 2008 e il 2009, che sono successive ai precedenti avvenimenti e riguardano condotte specifiche della B. (assunzioni di persone appartenenti al clan o di parenti, a titolo di scambio con l’esonero dal pagamento di quote estorsive).

Inoltre i giudici di merito hanno evidenziato il particolare tipo di collaborazione dell’imprenditrice con un gruppo camorristico, che trae buona parte delle illecite entrate dalle estorsioni in danno della comune categoria imprenditoriale, di cui fa parte la stessa B., attraverso l’acquisizione di documenti attestanti assunzioni di affiliati al clan, a prescindere dallo svolgimento di reali mansioni lavorative, nonchè l’acquisizione di documenti contabili del clan Belforte, recanti le indicazioni degli imprenditori da sottoporre al pagamento di somme estorsive. Sulla credibilità delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori ,il tribunale ha compiuto una corretta analisi dei connotati intrinseci ed estrinseci, ponendo in luce, al di là della loro convergenza, l’alto spessore confermativo della documentazione acquisita. Di estremo rilievo, per il suo forte impatto nella ricostruzione del quadro indiziario, è la narrazione esemplare del collaboratore C., effettuata il 26.10.09, che mette in luce il contenuto dell’accordo tra il gruppo imprenditoriale e il clan camorristico: in cambio dell’assunzione (alias "sistemazione") della propria ex convivente, il C. si presta, su richiesta della B., al recupero di un credito, le cui modalità sono ben descritte dallo stesso esattore "Per recupero intendo un intervento di affiliati del clan camorristico che impongono ad un debitore di pagare al creditore con le buone o con le cattive …".

L’alto livello dei componenti del clan inseriti – anche per pura finzione- nel personale lavorativo delle numerose imprese amministrate dalla ricorrente e gli stretti rapporti, documentati da intercettazioni di conversazioni, tra costei e Be.Do., giustificano la particolare rilevanza dimostrativa riconosciuta, ex art. 416 bis c.p., a questo scambio assunzioni-esonero dalle tangenti, tra i Buonpane e i Belforte, nonostante la presenza di altre simili negoziazioni con il concorrente clan Piccolo : in questo secondo caso, il minore spessore qualitativo e quantitativo, dei contatti criminosi è logicamente compatibile con una configurazione dei contrapposti ruoli di vittima ed estorsore.

Secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale(da ultimo, sez. 5, n. 15727/12), il concorso esterno ad associazione mafiosa è ravvisabile nella condotta di chi partecipa ad un accordo, di cui sa e vuole gli effetti di conservazione e/o di rafforzamento per la controparte dell’accordo medesimo, accordo che assurge a momento consumativo del reato, se dotato dei requisiti idonei a generare negli appartenenti al sodalizio gli effetti positivi anzidetti. Può costituire il reato ex art. 416 bis c.p. un accordo, avente come protagonisti i soggetti indicati nei capi di imputazione e come oggetto la promessa dell’esonero dal pagamento delle somme destinate al proprio illecito finanziamento, da parte di esponenti di consorteria criminale, e la promessa dell’impegno, da parte dell’imprenditore, di "sdebitarsi" con specifiche assunzioni anomale, la cui valenza probatoria non è cancellata da assunzioni ,che pur avendo sviluppi negativi, sfociati in regolari controversie risolte in sede giudiziaria,rimangono ontologicamente espressione dell’illecito accordo.

Chi si presta a favorire l’ingresso di alcuni personaggi interni o comunque legati al clan nel novero dei lavoratori alle proprie dipendenze svolge materialmente – per gli impegni assunti con l’associazione – la funzione di ponte, manovrato dalla mafia, tra società e mondo economico, tra disoccupazione e lavoro integrando così la figura di concorrente esterno, di propulsore di adesioni, di promotore di consensi, in favore di una gestione del potere economico, dominato da un ordinamento, fatto di brutale violenza punitiva per chi non ne accetti le regole. L’associazione si presenta quindi non solo come titolare del tradizionale potere mafioso,esercitato con l’intimidazione e il terrore, con la violenza fisica e morale, ma anche come collegamento tra società ed economia, come strumento per l’ingresso nel mondo del lavoro, notoriamente povero in quella e nelle contigue aree del territorio nazionale.

La preminenza assoluta, emergente, allo stato delle indagini, della ricorrente nello svolgimento del ruolo di ponte, manovrato dalla camorra locale, tra disoccupazione e lavoro, giustifica il diverso trattamento, rispetto a quello riservato ad altri componenti del gruppo familiare ,in termini di limitazione della libertà personale.

In conclusione, le argomentazioni critiche sulla base indiziaria della misura cautelare – incentrate sostanzialmente sulla adeguatezza della motivazione dell’ordinanza del tribunale del riesame – non risultano fondate. L’ordinanza è pienamente si è pienamente conformata al modello delineato dall’art. 292 c.p.p., ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza. In questa chiave di pre-certezza del risultato degli accertamenti dell’autorità inquirente – non necessariamente sfociante in una progressiva certezza – la S.C., allorchè sia denunciato, con ricorso, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, per partecipazione esterna ad associazione mafiosa, deve limitarsi a svolgere il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Come già evidenziato, la verifica, nel caso in esame, deve concludersi con esito positivo. Quanto alle esigenze cautelari, correttamente il tribunale ha rilevato non solo la proiezione della imprenditrici alla illecita gestione del suo ruolo di collegamento tra mondo produttivo e mondo della camorra (legittimante il riconoscimento delle esigenze di prevenzione speciale), ma anche la sussistenza della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, concernente l’esclusiva idoneità della misura cautelare maggiormente limitativa della libertà personale. Il ricorso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2013

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