Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-08-2012, n. 14179

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Comune di Roma propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico articolato motivo, avverso la sentenza, depositata in data 22 dicembre 2005, con la quale il Giudice di Pace di Roma, dichiarando espressamente in dispositivo di pronunciare secondo equità, accoglieva la domanda proposta da F.M. e condannava il Comune a pagargli Euro 1.094,35=, a titolo d’ingiustificato arricchimento, per l’attività di custodia di autoveicoli rimossi dalla polizia municipale ed affidati al predetto.

2. In particolare, il Comune deduceva violazione e falsa applicazione: 1. dell’art. 2041 c.c., perchè la domanda era stata accolta in difetto del requisito del carattere residuale dell’azione di cui all’indicata norma, in quanto le ditte esercenti la custodia avrebbero dovuto azionare le convenzioni in vigore tra le associazioni ed i consorzi addetti alla rimozione dei veicoli ed i singoli consorziati; aggiungeva, senza ulteriori specificazioni, che difettava il riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte dell’ente pubblico; 2. dell’art. 2384 c.c., perchè aveva ritenuto non documentata la partecipazione del F. alle società che avevano concluso transazione con il Comune in ordine a dette prestazioni, nè che il F. fosse rappresentato da dette società; mentre, in base alla norma indicata, gli obblighi assunti dai rappresentanti vincolerebbero il consorzio nei confronti dei terzi anche se gli amministratori avessero violato eventuali limiti posti dall’atto costitutivo ai loro poteri di rappresentanza, ovvero si trattasse di atti estranei all’oggetto sociale.

2.1. Resiste con controricorso, illustrato con memoria, il F., chiedendo respingersi il ricorso.

3. La censura si rivela inammissibile.

3.1. Per le sentenze dei giudici di pace in controversie – come quella in esame – di valore non superiore ai millecento euro, la decisione della causa è emanabile soltanto secondo equità, essendo questo l’unico metro di giudizio adottabile dal giudice; ne consegue che le regole di equità devono ritenersi applicate indipendentemente dal fatto che il giudice di pace abbia invocato l’equità per la soluzione del caso singolo, oppure abbia risolto la controversia con richiamo a principi o a norme di diritto (nella specie, l’art. 2041 c.c.), atteso che anche in questo caso la lettura delle norme data dal giudice è compiuta in chiave equitativa e non può essere denunciata in cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 per violazione di legge (Cass. n. 3720/2011, in motivazione;

26528/2006; v. anche Cass. n. 9268/2000).

3.2. Il giudice di pace, nel pronunciare secondo equità ai sensi dell’art. 113 c.p.c., in cause come la presente di valore inferiore ad Euro 1.100,00=, è tenuto al rispetto delle sole norme costituzionali e di quelle comunitarie (nonchè, a seguito della sentenza Corte cost. n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia, la cui violazione non è stata, comunque, dedotta nella specie), oltre alle norme regolatrici del processo, la cui violazione è sempre denunciabile. Al di fuori di tali limiti, il giudizio equitativo del giudice di pace è insindacabile, salva l’applicabilità dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nei casi di inesistenza, perplessità o mera apparenza della motivazione, in quanto la valutazione equitativa deve pur sempre essere sorretta da ragioni in termini tali da consentire di seguire il processo logico adottato per pervenire ad essa. Il vizio di motivazione, pertanto, rileva solo quando sia configurabile l’inesistenza della motivazione o una motivazione apparente o in contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, si da precludere l’identificazione della ratio decidendi, ovvero ancora una motivazione perplessa dalla quale non sia possibile stabilire la giustificazione di quanto posto a base della decisione.

3.3. Non è, quindi, deducibile nei confronti delle sentenze pronunciate secondo equità il vizio di violazione di legge, non essendo ammessa, nelle sentenze come quella in esame, l’impugnazione per cassazione – pur essendo, ratione temporis, apprestato detto rimedio, non essendo applicabile nella specie la novella dell’art. 339 c.p.c. introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – a norma del n. 3, art. 360 c.p.c., a meno che non si tratti di violazione di norme costituzionali, norme comunitarie, principi informatori della materia o di norme sostanziali richiamate da norme processuali (Cass. n. 9759/2011; 11638/2010; 10213/2008, in motivazione; 6382/2007), tutte situazioni non ricorrenti nel caso in esame.

3.4. Peraltro – solo genericamente e senza indicare se e come fosse stata prospettata al giudice di merito – è stata dedotta la mancanza del riconoscimento dell’utilità della prestazione, sicchè non può ritenersi adeguatamente censurata la violazione del principio informatore della materia desumibile da detto requisito (pur considerato tale dalla sentenza di questa Corte n. 5069/2006), Invero, il ricorrente non ha spiegato come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si sia posta in contrasto con detto principio informatore e non ha posto questa Corte in grado di verificare nè che la deduzione del mancato riconoscimento dell’utilità della prestazione non fosse affetta da novità, nè l’eventuale sussistenza della violazione dell’indicato principio informatore (argomento desumibile da Cass. n. 11366/2010; 16545/2008;

284/2007; nonchè Cass. S.U. n. 382/2005). Non può assumere influenza, pertanto, nella presente fattispecie, la diversa decisione assunta da questa Sezione in relazione ad analoghe fattispecie, tra le medesime parti (Cass. 48189/2012 ed altra successiva conforme), trattandosi di decisioni assunte da questa Corte in relazione a decisioni del giudice di appello (rispetto a sentenze del Giudice di Pace evidentemente successive a quella oggetto del presente ricorso), soggette, quindi, a diverso regime delle impugnazioni.

4. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 800,00= di cui Euro 600,00= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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