Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-08-2012, n. 14177

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con la sentenza ora impugnata per cassazione la Corte d’appello di Milano ha confermato la prima sentenza che aveva accolto la domanda di C.F. e di T.L. tendente ad ottenere l’immediata restituzione dell’immobile da loro concesso in comodato precario al figlio C.L. ed alla moglie di questo (poi separata) S.D..

Il ricorso della S. è svolto in due motivi. Rispondono con distinti controricorsi C.F. e T.L., da una parte, e C.L., dall’altra. Tutte le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

Motivi della decisione

1.- Occorre premettere che la produzione documentale (la sentenza del Tribunale di Milano in data 10 settembre 2010, con la quale, all’esito del giudizio di separazione, è stata assegnata l’intera casa coniugale alla S.), effettuata da quest’ultima attraverso la memoria per l’udienza, è inammissibile, siccome non concerne alcuno dei documenti producibili in cassazione ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

1.1.- Va altresì precisato che, in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (5 ottobre 2006), il ricorso in esame è soggetto al regime dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale "Nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto".

Il quesito correlato al primo motivo (che censura la sentenza per violazione di legge e per vizio della motivazione) chiede di sapere:

se il termine di scadenza di un contratto di comodato afferente la porzione immobiliare destinata a casa familiare sia connaturato ed implicitamente determinato dalla specifica destinazione del bene, con la conseguenza che non può trovare applicazione la disposizione dell’art. 1810 c.c., che prevede la restituzione del bene a semplice richiesta del comodante; se il giudice abbia fatto corretto uso dei canoni interpretativi del contratto ed abbia adeguatamente motivato circa l’applicabilità della summenzionata disposizione.

Il quesito correlato al secondo motivo (che censura la sentenza per violazione dei principi normativi sostanziali e processuali relativi alla prova, nonchè per vizio della motivazione) insiste nel concetto secondo cui, una volta che sia accertata la concessione in comodato di un bene immobile per destinazione a casa familiare, non può essere ravvisata la sussistenza di un comodato ad nutum di cui all’art. 1810 c.c..

2.- I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

Sono inammissibili laddove, per un verso, non censurano specificamente le statuizioni della sentenza impugnata e, per altro verso, introducono una serie di questioni di fatto tendenti ad ottenere in sede di legittimità una nuova e diversa valutazione del merito della vicenda.

Sono infondati laddove lamentano violazione di legge e vizio della motivazione.

2.1.- Sia il ricorso, sia la sentenza fanno riferimento al più autorevole arresto sul tema, costituito da Cass. S.U. n. 13603 del 2004, il quale disciplina l’ipotesi tipica in cui i genitori concedano in comodato l’immobile senza limiti di durata, in favore di un nucleo familiare formato o in formazione, e stabilisce che: a) ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2; b) ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare (nella specie: dal genitore di uno dei coniugi) già formato o in via di formazione, si versa nell’ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare; c) l’individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere desunta sulla base della mera natura immobiliare del bene, concesso in godimento dal comodante, ma implica un accertamento in fatto, di competenza del giudice del merito, che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell’intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare.

Il precedente del quale si discute concerne l’ipotesi tipica in cui l’intero immobile sia concesso in comodato dai genitori al figlio perchè questo lo destini ad abitazione del proprio nucleo familiare in formazione o già formato.

2.2.- Nella particolarissima ipotesi in trattazione, invece, risulta pacificamente accertato che l’appartamento che costituisce oggetto del contendere (di circa mq 130) fu acquistato dai genitori ( C. – T.) ed altro appartamento limitrofo (di circa mq 220) fu contestualmente acquistato dalla S. (la nuora, moglie di C.L.). I due appartamenti (il primo dei quali è, appunto, quello concesso in comodato) furono poi ristrutturati sì da formare l’abitazione della famiglia C. – S., lo studio professionale della S., nonchè un altro più piccolo appartamento da destinare ad altro uso.

Da questo accertamento e da una vasta serie di considerazioni il giudice ha tratto il convincimento che nella specie fu stipulato un comodato senza determinazione di durata, ai sensi dell’art. 1810 c.c., tale da obbligare il comodatario a restituire la cosa non appena il comodante ne avesse fatto richiesta. Convincimento che deriva soprattutto dalla considerazione che la nuora aveva contestualmente acquistato altro e più grande appartamento (si è detto, di circa mq 220) e che i lavori di ristrutturazione dei quali s’è fatta menzione erano agevolmente reversibili, sicchè la famiglia C. – S., pur privata dell’appartamento dato in comodato, avrebbe comunque potuto utilmente collocarsi nella residua parte d’appartamento, senza che questo restringimento comportasse la perdita, per i figli della nuova coppia, dell’habitat domestico.

Siffatto ragionamento non solo è rispettoso dei canoni interpretativi contrattuali (volti all’individuazione dell’intenzione dei contraenti al momento della stipulazione dell’atto), per quanto è sorretto da indiscutibile logica.

Per il resto, la sentenza contraddice le tesi (tutt’ora ribadite) della S., attraverso una congerie di considerazioni, che qui non è neppure il caso di ripetere, e che, comunque, risolvono coerentemente tutti i dubbi sollevati dalla ricorrente (in particolare, quanto ai lavori di ristrutturazione; alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria; alla cessione del vano pianerottolo condominiale).

3.- Giova aggiungere che l’apprezzamento in fatto di cui si è detto sopra, trova riscontro, per come emerge dalla sentenza impugnata, nel provvedimento del giudice della separazione del 2 gennaio 2004, che ha assegnato "la ex casa coniugale, con quanto l’arreda, alla collocataria sino al 20.11.04, in conformità al provvedimento di rilascio già emesso dall’A.G.", vale a dire in conformità al provvedimento di rilascio di cui alla sentenza di primo grado. Come detto in premessa, non può invece tenersi conto del provvedimento di modifica sopravvenuto all’instaurazione del giudizio di cassazione.

Ne segue che, nel momento in cui la sentenza impugnata è stata pronunciata, non vi era alcuna necessità di coordinare i due titoli di godimento nè vi era possibilità di interferenza della pronuncia del giudice della separazione rispetto al regime proprio del preesistente rapporto contrattuale.

Pertanto, se, di norma, l’applicabilità della disciplina relativa al titolo contrattuale preesistente – ritenuta dalla sentenza a S.U. su citata – "non esclude, ma anzi necessariamente comporta, che la concessione in comodato del bene nella specifica prospettiva della sua utilizzazione quale casa familiare assuma decisiva rilevanza, ai fini della ravvisabilità di un termine collegato alla destinazione della cosa" anche al fine di garantire una certa efficacia temporale al provvedimento di assegnazione (Cass. S.U. n. 13603/04), questo fine non ricorre nel caso di specie.

Torna allora di rilievo quanto rilevato in punto di accertamento in fatto della sussistenza di un accordo iniziale tra le parti relativamente all’effettività della destinazione a casa familiare ed alla sua durata, meglio di un accordo in ragione del quale era presupposta, tra le parti, la "reversibilità" del comodato, a richiesta dei comodanti/proprietari. Dell’accertamento positivamente compiuto nel caso di specie dalla Corte territoriale si è detto.

Avuto riguardo alla portata del provvedimento di assegnazione del giudice della separazione, preme qui sottolineare che, come rilevato dalla Corte d’Appello, l’assegnazione "parziale" della casa coniugale da parte di quel giudice sta a significare che, anche in sede di separazione, si verificò che la fondamentale esigenza di tutela della prole, cui quel provvedimento è rivolto sarebbe stata adeguatamente soddisfatta anche mediante la sistemazione della famiglia "nei locali di 220 mq di proprietà della S.".

Quindi, la motivazione della sentenza impugnata risulta immune da censure anche per la parte in cui si avvale del dato in parola, al fine di corroborare gli argomenti utilizzati per sostenere che i comodatari (marito e moglie), all’epoca della concessione in comodato da parte dei proprietari (rispettivamente, genitori e suoceri) erano consapevoli della possibilità, accordata a questi ultimi, di recesso ad nutum, che non avrebbero potuto contrastare nemmeno nel caso in cui non vi fosse stata la crisi coniugale.

4.- In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna della ricorrente a rivalere le controparti delle spese sostenute nel giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida come segue:

– in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese processuali, IVA e CPA come per legge, in favore di C. F. e T.L., in solido tra loro;

– in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese processuali, IVA e CPA come per legge, in favore di C. L..

Cosi deciso in Roma, il 25 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012
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