Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 19-06-2013, n. 26804

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza 18.3.2010, la corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza 22.5.07, emessa dal Gup del tribunale di Milano, a conclusione di giudizio abbreviato, ha ridotto la pena inflitta a M.O. nella misura di 5 anni e 2 mesi di reclusione e la pena inflitta a T.M., previo giudizio di equivalenza delle già concesse attenuanti generiche con giudizio subvalente, a 9 anni e 1 mese di reclusione.

Ha confermato la dichiarazione di responsabilità di M. O. in ordine ai reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt.:

art. 61 c.p., n. 9, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1 e 2 (capo 27).

Artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 9, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capo 28);

artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 9, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 (capo 30);

art. 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 9, T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 8 bis (capo 47);

Ha confermato la dichiarazione di responsabilità di T.M., in ordine ai reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt.:

artt. 110, 319 e 321, in relazione all’art. 319 c.p. (capi 2 e 3);

art. 61 c.p., n. 9, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1 e 2) (capo 27);

artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 9, art. 73, comma 1 cit.

D.P.R. (capi 28 e 29).

L. n. 497 del 1974, art. 10 (capo 32).

Ha confermato la condanna di:

To.Vi.La., previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di 12 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione e alle conseguenti pene accessorie, per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui ai capi 2 – 3, 27, nonchè di cui all’art. 110, art. 73, comma 1 cit. D.P.R. (capi 30, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40); L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 8, art. 4, n. 7 (capo 46).

– P.A., previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena 6 anni e 8 mesi di reclusione e alle conseguenti pene accessorie, per i reati sub 2, 3, 27, 29, uniti dal vincolo della continuazione;

– C.A. alla pena, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di 7 anni di reclusione e alle pene accessorie per i reati sub 27, 36, 37, 38, 39, 40, uniti dal vincolo della continuazione;

– A.D. alla pena, previa concessione delle attenuanti generiche, di 4 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione, alle pena accessorie, per i reati sub 27, 44 (art. 73 cit. D.P.R.), uniti dal vincolo della continuazione;

– Ce.Di., alla pena 2 anni e 6 mesi di reclusione, Euro 6.000 di multa, per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, sub 49 (art. 73 cit. D.P.R.) e art. 50 (art. 361 c.p., comma 2).

2. La procura generale presso la corte di appello di Milano ha presentato ricorso avverso la sentenza per illogicità e contraddittorietà della motivazione, nella parte relativa alla determinazione della pena, inflitta a T.M., nonchè per violazione di legge in riferimento agli artt. 62 bis e 69 c.p., con riguardo al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti, attenuanti che erano state valutate sub valenti dal giudice di primo grado.

Secondo il ricorrente, il diverso giudizio di comparazione è basato solo sulla mera considerazione del "comportamento tenuto dal T. dopo la sua carcerazione e successiva scarcerazione", senza specificare quale sia stata questa condotta e quale importanza abbia avuto, a fronte della gravità dei reati commessi e della personalità e pericolosità, ben tratteggiate nella sentenza di primo grado.

Appare, inoltre, palese il vizio logico della decisione laddove, nel ridimensionare la pena "principalmente" (ma in concreto unicamente, in assenza di altra giustificazione) a causa della modifica del giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche, considera equo ritenerle equivalenti "anche per il T." (accostandolo evidentemente ad altri imputati che avevano tenuto diverso comportamento processuale, che avevano commesso reati meno gravi, che avevano manifestato personalità e pericolosità diverse), con la seguente motivazione "nonostante il suo complessivo atteggiamento processuale".

3. To.Vi.La. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

3.1. violazione di legge: tutti i fatti contestati sono stati commessi in (OMISSIS) e in luoghi limitrofi tra il mese di (OMISSIS) e il mese di gennaio 2006 e risultano accertati nel corso di un’indagine coordinata dalla procura distrettuale di Milano e condotta dalla sezione antidroga di Como, a partire dal novembre 2003, nell’ambito del procedimento n. 37474/03.

In data 18.9.06 è stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari, ex art. 415 bis c.p.p. e all’udienza preliminare dell’ 11.1.07 il To., unitamente ad altri indagati, ha formulato richiesta di giudizio abbreviato, che, recante il n. 27522/06 R.G.NOT. REATO, si è concluso con sentenza di condanna in data 22.5.07.

A seguito di appello, la corte territoriale di Milano ha confermato, con sentenza 18.3.2010. la suddetta condanna. Nel corso di successive indagini, sempre nell’ambito del proc. 37474/03, sono state emesse il 16 e il 29 settembre 2009 dal gip del tribunale di Milano due ordinanze cautelari nei confronti del To., in ordine ad un’altra associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 basate su risultati di indagini svolte nell’anno 2005. Pertanto, alla data della notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., il p.m. non ha compiuto una completa discovery e non ha consentito all’imputato di avere conoscenza completa del quadro indiziario a suo carico e di prendere adeguate iniziative e strategie difensive.

3.2. mancata assunzione di prova decisiva: la corte non ha acquisito le due ordinanze coercitive emesse il 16 e il 29 settembre 2009, nonostante l’esistenza di elementi concreti per ritenere la sussistenza di un vizio procedurale.

4. Il difensore di T.M. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

4.1 violazione di legge in riferimento all’art. 238 c.p.p.: i fatti oggetto del procedimento sono stati accertati con indagini svolte prima dell’udienza preliminare e prima della discussione del giudizio abbreviato, i cui esiti non sono stati allegati al fascicolo e quindi non sono stati conosciuti dal Gup e dai difensori. Queste indagini sono state svolte nel procedimento originario 37474/03 RGNR e hanno dato fondamento all’ordinanza cautelare emessa nell’ottobre 2009. La corte di appello .nell’ultima udienza, su richiesta della difesa di M., ha acquisito degli interrogatori – resi da quest’ultimo nel corso di indagini successive, svolte nell’ambito dell’originario procedimento – nonchè ordinanza cautelare. Questa documentazione non è stata conosciuta dal difensore del T., in quanto è stata acquisita dopo che lo stesso aveva rassegnato le proprie conclusioni ed è stata utilizzata dalla corte, pur senza specifica analisi.

4.2. violazione dell’art. 111 Cost., commi 6 e 7; vizio di motivazione : le dichiarazioni accusatorie nei confronti del ricorrente, provenienti dai chiamanti in correità non sono convergenti e/o reiterate e nei motivi di appello, specialmente in relazione ai reati sub n. 28 e 29, erano state formulate specifiche doglianze; altre censure erano dirette sull’insussistenza di richiami a dati fattuali di indagine a suo carico. Queste censure sono state genericamente valutate deboli e inidonee a incidere negativamente sulla credibilità dei chiamanti in correità.

4.3 T.M. ha personalmente presentato ricorso avverso la sentenza della corte di appello, rilevando di non aver avuto l’avviso della fissazione dell’udienza, anche se il difensore ha affermato che la notifica risulta effettuata per posta. Comunque non gli è stato consentito di presenziare all’udienza, in quanto non ha ricevuto l’autorizzazione a lasciare il domicilio in (OMISSIS).

Il T. critica la credibilità dai correi M. e P., che gli attribuiscono decine di illeciti lavoretti, che comunque si concretizzano in un unico episodio.

Precisa di non aver mai fatto parte di un’associazione criminosa e che le sue possibili condotte devianti e delittuose sono espressioni di superficialità e infantilismo.

5. Nell’interesse di M.O. è stato presentato ricorso per i seguenti motivi:

5.1. vizio di motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 74 cit. D.P.R.: i giudici di merito hanno fatto discendere la conclusione sulla sua consapevole partecipazione al sodalizio criminoso di cui al capo 27 della rubrica, nonchè sul suo ruolo insostituibile per il To., dalle sue stesse dichiarazioni sui cosiddetti lavoretti (i reati concernenti gli stupefacenti), svolti insieme al To. e riferiti dallo stesso correo, nell’arco di tempo di un mese, nell’anno (OMISSIS).

Questa duplice conclusione è smentita dalla dimensione e dall’intensità di questa sua attività e dall’immediata sostituzione del ricorrente dopo la sua uscita di scena. Inoltre non risulta l’esistenza della contestata associazione, in quanto non è stata dimostrata l’esistenza di un gruppo, i cui componenti fossero aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti.

5.2. vizio di motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità per i reati ex art. 73 cit. D.P.R., di cui ai capi 28 e 30, in quanto, nel respingere la tesi della riqualificazione ex comma 5 di detto articolo, non è stato tenuto conto della modesta entità dei simulati sequestri di sostanza stupefacente;

5.3.vizio di motivazione in riferimento al reato di cui al capo 47:

è stato negato il riconoscimento della grossolanità della contraffazione dei documenti, attribuendo al ricorrente una capacità e un’esperienza tali da consentirgli prodotti di obiettiva idoneità ingannatrice. Non si è tenuto conto che il M. faceva parte delle volanti e non era addetto all’ufficio passaporti.

6. Il difensore di C.A. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

6.1. violazione di legge in riferimento all’art. 125, comma 3, all’art. 546 c.p.p. e all’art. 74 cit. D.P.R.; vizio di motivazione :

la corte di appello ha affermato l’irrilevanza delle censure formulate nei confronti della sentenza di primo grado, confermandone così in maniera apodittica la argomentazioni, senza adempiere all’obbligo della motivazione, sancito dalla legge e confermato dalla giurisprudenza. Specificamente, in relazione al reato associativo, la corte ha ritenuto irrilevanti alcuni dati (il ruolo meramente esecutivo di pusher della sostanza stupefacente, l’esclusivo rapporto con il To., l’assenza di conoscenza e di rapporti del C. con i poliziotti, con i fornitori dello stupefacente e con la complessiva attività dell’associazione), che sono invece idonei a porre in dubbio l’effettiva volontà del C. di partecipare all’associazione.

6.2. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato sub 40: non vi è prova che egli fosse sul posto e ciononostante la corte ha affermato che non sussistono le condizione per assolverlo;

6.3. violazione di legge in riferimento agli artt. 73 e 74 cit.

D.P.R., vizio di motivazione : non è stata accolta la richiesta di riconoscimento dell’ipotesi attenuata della modica quantità, in ordine ai reati sub 36, 37, 39, con argomentazione generica e stereotipata; nè sono state altre circostanze (modalità e natura dell’attività di spaccio, stato di costrizione allo spaccio, derivante dalla qualità di tossicodipendente dello spacciatore) che, unitamente alla modesta quantità della sostanza consegnata dal C., avrebbero giustificato il riconoscimento dell’ipotesi attenuata citato art. 73, ex comma 5;

6.4 violazione delle norme e vizio di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio: la pena è eccessiva, in riferimento sia alla generica e tautologica motivazione, sia al raffronto con la pena inflitta a A.G., che, in ordine al reato associativo e ai reati fine ha ricevuto un trattamento sanzionatorio di poco più severo, nonostante una posizione molto più grave. Secondo il ricorrente non è giustificato il diverso trattamento rispetto ai due imputati .la cui pena è stata diminuita.

7. Il difensore di A.D. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

7.1 vizio di motivazione: le intercettazioni telefoniche non dimostrano il perseguimento, da parte del ricorrente, dei fini associativi, in quanto riguardano sue dichiarazioni con cui esprime disappunto per tali finalità e la volontà di non entrare in affari con il sodalizio. La presenza della droga nella propria abitazione si è protratta nell’autunno del 2005, per un tempo breve, incompatibile con lo stabile apporto all’attività dell’associazione. La totale assenza di reati fine dimostra, anche sul piano oggettivo, il mancato inserimento stabile dell’ A. nell’associazione. Quanto al reato sub 44, gli sono state contestate due attività di spaccio, senza specificare le modalità e la quantità della cessione, la quale viene definita in maniera generica "non inferiore a tre dosi".

8. P.A. ha presentato ricorso per i seguenti motivi :

8.1. mancanza di motivazione e travisamento del fatto : la sentenza ignora le argomentazioni difensive e ripropone le prospettazioni di fatto e di diritto del p.m. e del primo giudice, senza tener conto che proprio dalle dichiarazioni del ricorrente risulta l’assenza di un piano organizzato Analizzato a commettere con sistematicità condotte criminose nel campo degli stupefacenti. La sudditanza del P. e degli altri poliziotti nei confronti del To. è smentita dai fatti ricostruiti, alla luce dell’accertamento del suo personale scopo di approvvigionamento della cocaina e di recupero del prestito erogato dalla propria compagna al To.; nè è rinvenibile una sua confessione di responsabilità in ordine ai reati contestati sub 27 e 29, che comunque si risolvono in due episodi, entrambi abortiti, per i quali non è emerso alcun elemento probatorio dimostrativo della responsabilità degli imputati;

8.2. è stata rigettata la richiesta di riduzione della pena con affermazioni prive di senso.

9. Il difensore di Ce.Di. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

9.1 violazione di legge in riferimento agli artt. 191 e 261 c.p.p., art. 211 c.p.p., comma 1: inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche sull’utenza in uso a Tu.An., captate il 21 ottobre e il 30 novembre 2005 per mancanza di decreti autorizzativi.

9.2 violazione di legge in riferimento all’art. 191 c.p.p., art. 270 c.p.p., comma 1 per motivazione apparente e contraddittoria, in relazione ai reati sub 49 e 50 della rubrica : nel corso di indagini, svolte dalla squadra mobile di (OMISSIS) – nell’ambito del procedimento n. 37474/03 RGNR – sull’attività di spaccio internazionale di droga, da parte del To. e di alcuni agenti di polizia dell’ufficio scorte della questura di (OMISSIS), sono state accertate attività criminose di un’associazione, facente capo ad agenti dell’ufficio Volanti della medesima questura, con particolare riguardo al Ce., alla convivente Tu.An. e a un cittadino straniero Mo. (questi ultimi due, hanno patteggiato la pena in ordine ai predetti reati sub 49 e 50 della rubrica). A seguito della notifica, dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., sono state separate le posizioni dei soggetti correi del To., inquadrandole nel procedimento n. 27522/06.

I giudici di merito hanno ritenuto utilizzabili a carico del Ce. le intercettazioni captate nell’originario procedimento 37474/03, in ordine ai reati sub nn. 49 e 50 considerando che si tratti di intercettazioni telefoniche non attinenti a procedimento diverso. Secondo il ricorrente le intercettazioni riguardano diverso procedimento e pertanto non sono utilizzabili ex art. 191 c.p.p. e art. 270 c.p.p., comma 1, anche se sul piano formale tutti i reati (questi due e quelli a carico di To. e correi) rientrano originariamente nel medesimo procedimento 37474/03, mancando qualsiasi collegamento tra i primi due e gli altri, nè oggettivo, nè soggettivo, nè probatorio, nè finalistico.

Nè è possibile l’utilizzazione delle intercettazioni, attraverso l’eccezione prevista dall’art. 270 c.p.p., comma 1 sostenendo cioè che per i delitti sub n. 49 (D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73) e 50 (ex art. 361 c.p., comma 2) è prevista l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza. Quanto al primo reato, in sede di condanna è stata riconosciuta l’attenuante di cui al comma 5 e conseguentemente la facoltatività dell’arresto ; quanto al secondo reato, la conclusione è identica, a causa della modesta entità della pena.

L’inutilizzabilità delle intercettazioni non è scalfita dalla scelta del rito abbreviato, in quanto la mancanza dei decreti autorizzativi per le intercettazioni sull’utenza della Tu. e l’utilizzo per un diverso procedimento (anche) per le conversazioni tra Ce. e la Tu. riguardanti i reati sub 49 e 50 si traduce nell’uso di atti probatori assunti contra legem, ex art. 191 c.p.p., in violazione, rispettivamente dell’art. 271 c.p.p., comma 1 e art. 270 c.p.p., comma 1, con conseguente lesione dei diritti tutelati dall’art 15 Cost. e quindi affetti da inutilizzabilità patologica.

9.3. violazione dell’art. 73 cit. D.P.R. e dell’art. 361 c.p., e vizio di motivazione. Non è stata raggiunta la prova che la sostanza ceduta, di cui al capo 49, fosse cocaina o comunque sostanza stupefacente, essendo mancati, nei due episodi dell’ (OMISSIS) i sequestri, da cui potesse derivare accertamenti chimici e l’affermazione della corte di appello (secondo cui era cocaina, perchè questa è la sostanza trattata da Mo.

consumata dalla Tu. e ceduta al Pa.Vi.) è apodittica e non supera l’incertezza. Nè sussiste una chiara lettura del messaggio del Pa. al Ce., con cui spiegava le sue esigenze. Non sussistendo la prova che sia stata ceduta cocaina o sostanza stupefacente, non vi è la prova che il Ce. sia stato al corrente di questa illecita condotta della convivente e abbia violato la norma ex art. 361 c.p.. Quanto all’episodio della dose di sostanza stupefacente regalata a tale Ma., in occasione del suo compleanno, il Gup a p. 104 ha interpretato la conversazione del Ce. con la fidanzata come assenso a questo regalo. Risulta però che il Ce. non andò alla festa del Ma. e ne rimase quindi estraneo, nè è provato che questo regalo sia stato effettivamente consegnato.

9.4. violazione degli artt. 361 e 384 c.p., vizio di motivazione: non è stata applicata l’esimente di cui all’art. 384 c.p.: la corte ha ripreso gli argomenti della sentenza di primo grado e ha precisato che:

a) non è invocabile il principio nemo tenetur se detegere, in considerazione della sua posizione di agente di polizia, ma, secondo il ricorrente, in tal modo la corte propone un’interpretazione della norma in contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., perchè nega aprioristicamente ai tutori dell’ordine la possibilità di invocare tale esimente;

b) non sussiste il danno inevitabile, giustificativo del silenzio, in quanto Ce. avrebbe potuto troncare il rapporto con la convivente prima del suo arresto, ma secondo il ricorrente la rottura del rapporto non avrebbe eliso quanto da lui appreso sugli illeciti traffici della fidanzata e avrebbe comunque dovuto giustificarsi con i superiori sul fatto di aver convissuto con una donna impegnata nel traffico di stupefacenti. In ogni caso, va rilevato che il procedimento disciplinare fu instaurato a suo carico, senza attendere l’esito del procedimento a carico della donna;

c) l’esimente non è applicabile in relazione alla Tu., quale convivente ostandovi il divieto, ex art. 14 preleggi, di applicazione analogica in bonam partem di norme eccezionali, ma in tal modo, secondo il ricorrente, si accetta un’interpretazione irrazionale della norma, legittimante la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, questione la cui fondatezza e rilevanza è stata troppo sinteticamente esclusa dalla corte di merito.

9.5 violazione di legge in riferimento al trattamento sanzionatorio :

la sentenza di primo grado ha individuato la pena base, ai fini della continuazione, ritenendo reato più grave quello della cessione della cocaina a Pa.Vi., "anche in ragione della qualifica di cessionario", che è un agente di polizia. Questa scelta è stata criticata in sede di appello, perchè illogica e paradossale (le debolezze del cessionario si risolvono in un danno per il cedente e la cessione della droga a un tossicodipendente sarebbe meno grave della cessione a un professore universitario. La corte ha integrato questa motivazione, richiamando la certa identificazione della sostanza ceduta (cocaina), senza tener conto che, essendo identica la sostanza, oggetto dell’altra cessione (ugualmente cocaina), rimane priva di giustificazione questa identificazione della pena più grave.

9.6. violazione delle norme ex artt. 133, 81 cpv. e 361 c.p.: la concessione delle attenuanti generiche e il riconoscimento dell’attenuante della modica quantità logicamente dovrebbero condurre a ridurre ulteriormente la pena;inoltre l’aumento per la continuazione, derivante dalla responsabilità per il reato di omessa denuncia ex art. 361 c.p. è fissata in 5 mesi di detenzione, sebbene la pena edittale, a seguito della concessione delle attenuanti generiche, è quella prevista per l’art. 361 c.p., comma 1 che è esclusivamente di natura pecuniaria.

L’eccessività della pena è anche confermata indirettamente dalla diminuzione della sanzione per il T., la cui condotta processuale è censurata dalla corte di merito.

9.7 violazione di legge in relazione all’art. 125 c.p.p., commi 3 e 595: in sede di appello è stata chiesta la rettifica della motivazione relativa all’assoluzione dai reati di cui ai capi 1, 3, 12, nel senso di dare maggio rilievo a elementi favorevoli alla posizione del Ce. rispetto alla prevalenza riconosciuta a due modeste conversazioni : una con la fidanzata(in occasione di un intervento in un negozio di computer); un’altra con il collega Ca. su un paio di costose scarpe; entrambe sono da ritenere screditanti e oggetto di elevata considerazione, da parte del primo giudice, ai fini del trattamento sanzionatorio per gli altri due reati, e da parte dell’autorità amministrativa, in sede disciplinare.

A seguito dell’appello del p.m. avverso la pronuncia assolutoria, il Ce. ha depositato atto, definendolo appello incidentale, con cui ha ribadito gli argomenti posti a fondamento della modifica chiesta in occasione dell’impugnazione principale, in ordine alla motivazione dell’assoluzione. La corte di appello non ha modificato la motivazione della pronuncia assolutoria, senza dare adeguata motivazione e ha qualificato erroneamente l’appello incidentale come memoria difensiva, rigettando la richiesta di assoluzione ex art. 530 c.p.p., comma 1, senza dare il dovuto rilievo agli argomenti diretti ad ottenere una formula assolutoria più favorevole e senza replicare a tutte le censure formulate dal p.m., dirette ad ottenere la condanna per i reati sub 1, 3, 12.

MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I ricorsi presentati nell’interesse degli imputati non meritano accoglimento, in quanto i motivi – con l’unica eccezione che più innanzi sarà esaminata – propongono, in chiave critica, valutazioni fattuali, sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, nonchè prive di qualsiasi coerenza logica, idonea a soverchiante e a infrangere la lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni della corte di merito.

Con esse, in realtà, ciascun ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente, il sostanziale riesame nel merito. Questa pretesa è tanto più improponibile nel caso in esame:

la struttura razionale della motivazione – facendo proprie le analisi fattuali e le valutazioni logico-giuridiche della sentenza di primo grado – ha determinato un organico e inscindibile accertamento giudiziale, avente una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa, che è saldamente ancorata agli inequivoci risultati delle indagini, alla luce dei quali i giudici di merito hanno ricostruito, con estrema cura e con acute analisi logico-giuridiche, una storia di crimini e di malcostume all’interno della società e delle istituzioni, avente un’unica radice, messa in luce da un’indagine coordinata dalla procura distrettuale di Milano e condotta dalla sezione antidroga di Como, a partire dal novembre 2003, nel contesto del procedimento n. 37474/03 RGNR, nei confronti di To.Vi.

L., inserito in un gruppo di trafficanti internazionali di sostanze stupefacenti-primariamente di cocaina- e in costante contatto con cittadini italiani e – in maniera del tutto peculiare – in costante rapporto di cooperazione con agenti della Polizia dello Stato Italiano, appartenenti all’Ufficio Scorte della Procura della Repubblica di Milano e all’Ufficio Volanti della Questura di Milano.

In particolare, emergeva l’operatività di due associazioni criminali: una ex art. 416 c.p.p., commi 1, 2, 3 e 5 e art. 61 c.p., n. 9 (capo 1 della rubrica); una ex art. 74, commi 1 e 2 cit. D.P.R., art. 61 c.p., n. 9 (capo 27 della rubrica) ; venivano anche formulati numerosissimi capi di imputazione a carico di appartenenti alla Polizia di Stato e a cittadini italiani e stranieri, e si articolavano molteplici procedimenti con diverso rito.

Quanto all’associazione dedita allo spaccio di stupefacenti (capo 27), i giudici hanno messo in evidenza struttura organizzativa e articolazione di compiti : al vertice è stato individuato il TO., con associati i ricorrenti e, specificamente, C. A., addetto alle consegne, anche a domicilio; A. D., quale addetto a mansioni esecutive e marginali ( consegna di piccole quantità di sostanza, nonchè disponibilità all’uso della propria abitazione per il deposito della medesima); P. A., T.M. e M.O., protagonisti nel recupero della droga venduta – nel quadro della simulazione architettata in frode degli acquirenti – e nella peculiare attività svolta, nell’anomalo esercizio della pubblica funzione, loro assegnata dallo Stato, in difesa della legalità. In particolare, M., T. e P. compivano "atti a sorpresa", in occasione della vendita di sostanza stupefacente, da parte del To.: gli agenti perquisivano l’acquirente e sequestravano la droga, che riconsegnavano al To., ottenendo da questi un compenso, pari ad una percentuale del ricavato della iniziale cessione.

In data 18.9.06 è stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari, ex art. 415 bis c.p.p. e all’udienza preliminare del 11.1.07 gli indagati To.Vi.La., A.D., A.G., C.A., D.C.M., Do.Ma.Iv., P. G. (agente di polizia, Ufficio Volanti della Questura di (OMISSIS)), Ce.Di. (idem), M.O. (agente di polizia, Ufficio Scorte della Procura della Repubblica di (OMISSIS)) P.A. (idem) T.M. (idem) hanno formulato richiesta di giudizio abbreviato, che, recante il n. 27522/06 R.G.N.R., si è concluso con sentenza, in data 22.5.07, con cui i predetti sono stati ritenuti colpevoli dei reati contestati, ad eccezione del Ce.Di., che è stato assolto, per non aver commesso il fatto, dai reati di cui ai capi 1, 3, 12 della rubrica, in quanto il complesso di dati storici raccolti a suo carico "non integrò affatto gli elementi minimi necessari "per configurare la sua partecipazione ai tre reati contestati. A seguito di appello, presentato dal p.m. avverso l’assoluzione del Ce. e presentato da tutti gli imputati, ad eccezione della Do., la corte territoriale di Milano ha confermato, con sentenza 18.3.2010.

la suddetta sentenza del Gup del tribunale di Milano, apportando le modifiche all’inizio indicate.

Passando all’esame delle singole doglianze, questa corte osserva:

2. va rilevata l’infondatezza del ricorso della procura generale, avverso la modifica del trattamento sanzionatorio nei confronti del T..

La corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciuto dagli artt. 132 e 133 c.p., ha riconosciuto nel comportamento processuale del T. una positiva evoluzione : era stato del tutto ostativo ed impostato sulla negazione di ogni addebito, fino all’udienza preliminare, mentre, in sede di giudizio abbreviato, ha mutato questo atteggiamento, attraverso un testo scritto, anche se non propriamente confessori. Secondo l’insindacabile valutazione del giudice di appello, questo successivo atteggiamento di resipiscenza giustifica una modifica, in suo favore, del bilanciamento tra le circostanze, limitata al giudizio di equivalenza. Nessuna violazione di legge e nessuna incongruenza logica sono quindi ravvisabili in questo punto della decisione.

3. Il ricorso presentato nell’interesse del To. è infondato, a causa della genericità delle doglianze proposte : il ricorrente ha rilevato la lesione del proprio diritto di difesa per mancata conoscenza di atti acquisiti tardivamente in modo da non consentirgli di impostare un’adeguata strategia difensiva e specifici rilievi critici nei confronti delle accuse formulate a sua carico. Non ha però tenuto conto che:

a) le nuove ordinanze cautelari sono state acquisite e dal loro contenuto, all’esito di approfondita valutazione della corte di merito – la cui sentenza, unitamente a quella del primo giudice costituisce un organico e indivisibile accertamento giudiziale – non sono emersi elementi di fatto idonei a scalfire il quadro probatorio costruito dalle indagini a sua carico, in ordine a tutti i reati contestati;

b) non sono allegati e specificati quali possano essere gli elementi di fatto, contenuti nelle suddette ordinanze, che siano in grado di rovesciare a suo favore il quadro probatorio e, in quali termini, la loro mancata considerazione possa tradursi in un rilevante vizio di motivazione per travisamento del quadro medesimo.

4. Anche i motivi del ricorso del T. sono infondati.

Innanzitutto, nessun rilievo possono ricevere le doglianze sul mancato rispetto del diritto di difesa, attesa la regolarità della citazione innanzi al giudice di appello, riconosciuta dallo stesso difensore, e la carente indicazione di specifiche inadempienza, ostative alla sua non determinante presenza nel corso del giudizio di secondo grado.

La doglianza concernente il rilievo dato dalla corte ad atti non conosciuti tempestivamente dal difensore è vanificata alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui deve essere recepito ed applicato nel processo penale il principio di autosufficienza del ricorso costantemente affermato, In base al disposto ex art. 360 c.p.p., comma 5, dalla giurisprudenza civile (sez. 1, n. 16706 dell’8.3.08, rv 240123, con sez. 5, n. 11910 del 22.1.10, rv 246552). Ne consegue che, quando il ricorrente si dolga dell’illegittima acquisizione di un elemento di prova e dell’utilizzazione degli atti relativi, da parte dei giudici di merito, è suo onere suffragare la fondatezza del suo assunto, mediante l’allegazione della documentazione e l’indicazione dimostrativa della decisiva rilevanza conosciuta dai giudici di merito al contenuto degli atti stessi Nel caso in esame, quindi, il T. ha mancato di adempiere l’onere:

a) di allegare la documentazione di cui sostiene l’illegittima utilizzazione;

b) di indicare gli elementi di fatto, contenuti negli atti suddetti che abbiano costituito base ineludibile della tesi della sua responsabilità, la cui esclusione sia in grado di condizionare a suo favore il quadro probatorio.

Quanto alle censure formulate nei confronti dell’attendibilità dei correi, va rilevato che:

i giudici di merito hanno ritenuto che per i fatti antecedenti al (OMISSIS) la prova della colpevolezza è derivata dalle dichiarazioni di To., P. e M., pienamente credibili, per convergenza, per assenza di dimostrate ragioni di risentimento, rivalsa o vendetta, per reciprocità confermativa. La causa delle marginali discrasie è stata razionalmente individuata non in un disorganico piano calunniatorio e/o in carenze di capacità mnemoniche dei dichiaranti, bensì nel comune intento di rievocare i fatti criminosi ponendosi, ciascun correo, nella posizione più sfumata e marginale possibile. Dalle convergenti accuse provenienti dalle suindicate fonti, i giudici di merito hanno comunque desunto, con lucida e razionale interpretazione, il ruolo del T.: il massimo collaboratore del criminale internazionale To., la cui fiducia aveva guadagnato, sin dall’inizio del suo ingresso nello scenario della trasgressione, dalla parte dei trasgressori, soppiantando M. e adoperandosi per la "promozione" del P.. Quanto ai fatti commessi successivamente al (OMISSIS), i giudici di merito hanno scandito le prove dimostrative della responsabilità di questo protagonista nella complessa storia di anomala alleanza di schieramenti istituzionalmente "contrapposti" (impegnatosi anche nel consolidare il suo ruolo di ponte tra l’organizzazione e le strutture criminose in cui operava e i poliziotti corrotti). Al T. la corte di merito ha poi ritenuto, con argomentazione non suscettibile di censura in questa sede, di ridurre la pena, ferma restando l’elevata capacità a delinquere già riconosciutagli, in considerazione del suo comportamento successivo alla carcerazione e alla successiva scarcerazione.

5. Il ricorso presentato nell’interesse del M. non è meritevole di accoglimento, in quanto i giudici di merito, hanno correttamente valorizzato la forza persuasiva, in ordine alla sua responsabilità, di un complesso quadro probatorio, articolato in dichiarazioni accusatorie principalmente di To. integrata da quelle di P. (la credibilità delle quali è stata minuziosamente vagliata), da intercettazioni telefoniche, da parziali ammissioni(correttamente ritenute dai giudici di merito intempestive, in quanto sopraggiunte rispetto a un già esaustivo materiale dimostrativo della fondatezza dell’accusa). I giudici hanno individuato nel ricorrente, al di là della durata della sua collaborazione e della consistenza degli episodi di finta vendita a cui ha partecipato, il ruolo di antesignano e capostipite dell’alleanza To. – polizia, nonchè di volano della crescita della potenza criminale del narcotrafficante romeno. Solo l’esosità della retribuzione e la concorrenza al ribasso di altro partecipe, hanno condotto a una flessione della sua collaborazione, la cui rilevanza, per il To., è risultata indispensabile in tempi successivi E’ quindi perfettamente razionale e insindacabile la conclusione della corte di merito sulla incompatibilità di questo quadro storico-valutativo con l’asserita figura di partecipe occasionale e marginale del M. nella struttura organizzativa incentrata sulla strategia delinquenziale del To..

Quanto alla richiesta del riconoscimento dell’ipotesi ex art. 73, comma 5 cit. D.P.R., i parametri emersi dalle indagini e dalla loro razionale interpretazione sono stati coerentemente ritenuti incompatibili con la sussistenza della suddetta ipotesi attenuata.

La contraffazione reiterata della documentazione di cui al capo 47 non è stata ritenuta di rilevante grossolanità sia in base alla insindacabile valutazione, compiuta dai giudici di merito, derivata dalla diretta percezione delle due ricevute, sia in base alla logica considerazione che dalla esperienza di servizio dell’agente di polizia non potevano non derivare prodotti cartacei dotati di obiettiva capacità ingannatoria.

6. Il ricorso presentato nell’interesse di C.A. non è meritevole di accoglimento : da un cospicuo e robusto intreccio di intercettazioni telefoniche emerge il suo ruolo di addetto alle consegne a domicilio, anche quotidianamente, ai clienti del sodalizio della droga, consegnatagli da To., A. e D.M. I. (nella cui abitazione era custodita e confezionata per la vendita al dettaglio la cocaina). Dall’ampio materiale probatorio, i giudici di merito hanno tratto la razionale convinzione che il C. aveva gregarie (e indispensabili) funzioni di distributore materiale della droga non solo per conto e nell’interesse del To., ma per conto e nell’interesse di tutta l’associazione, i cui componenti( D., M.) ben conoscevano e ripetutamente utilizzavano il ruolo del C.. I giudici di merito hanno anche correttamente interpretato come elemento dimostrativo in tal senso il generico pentimento del C. per quanto commesso.

La tesi difensiva, mirante all’atomizzazione dei vari comportamenti, alla diversificazione dell’efficacia persuasiva degli elementi probatori, alla scansione della diversa misura ponderale delle molteplici consegne di cocaina, si articola in argomentazioni fattuali, che, oltre ad essere totalmente generiche, sono del tutto estranee all’alveo valutativo, previsto per il giudizio di legittimità. Le censure sul trattamento sanzionatorio sono assolutamente inammissibili. Legittimamente la corte territoriale, confermando la valutazione assolutamente insindacabile in sede di giudizio di legittimità del primo giudice, ha ritenuto incompatibile con un trattamento punitivo meno severo la gravità dei reati .ricostruiti nella loro complessità con le precedenti argomentazioni, e la capacità a delinquere, desunta, da un lato dalla sua proiezione all’arricchimento con i suddetti mezzi illeciti, dall’altro della persistente scelta di vita, non incrinata dall’acquisita occupazione lavorativa lecita.

7. Il ricorso di A.D., al pari dei precedenti non è meritevole di accoglimento perchè propone, in chiave critica, valutazioni fattuali, sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, nonchè prive di qualsiasi coerenza logica.

Con esse in realtà, il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente, il sostanziale riesame nel merito.

Questa pretesa è tanto più improponibile nel caso in esame:

la struttura razionale della motivazione – facendo proprie le analisi fattuali e le valutazioni logico-giuridiche della sentenza di primo grado – ha determinato un organico e inscindibile accertamento giudiziale (in gran parte fondato su intercettazioni telefoniche) che è, dimostrativo dell’iniziale ruolo di vettore, nell’ambito del sodalizio facente capo al To., ruolo a cui si è sovrapposto quello di custode, nella propria abitazione, della cocaina, In correlazione al progressivo abbandono dell’appartamento di (OMISSIS) (abitato da To. e da Do.), quale deposito della sostanza stupefacente. I giudici di merito hanno correttamente riconosciuto la forza dimostrativa del suo coinvolgimento nell’associazione, in cui ha svolto il ruolo di "braccio destro" del To., dedicandosi anche a coadiuvarlo nelle forniture, consegne, riscossione dei crediti. Tale convinzione è maturata anche all’esito della perquisizione, effettuata al momento del fermo del 24.1.06, dal quale derivarono i sequestri riferiti al fratello Gi.. Dalle intercettazioni risulta anche l’apposito compenso corrisposto dal To., nonchè l’intensa attività ivi svolta anche come sede di confezionamento delle dosi, con accessi del fratello Gi., del To. e del principale pusher del gruppo, C.A..

Quanto al precedente reato di cui agli artt. 81 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 la sentenza impugnata da ragionevole e insindacabile rilievo al concatenarsi delle inequivoche conversazioni telefoniche, al successivo comportamento dei soggetti coinvolti ( To., C., Do.) quale complessivo quadro probatorio dell’attività di vettore di sostanza stupefacente, nell’interesse dell’associazione. Da tale materiale emerge coerentemente anche che tale attività ha avuto ad oggetto un quantitativo non inferiore a quello di corrente commercializzazione, incompatibile con il riconoscimento dell’ipotesi attenuata.

8. Anche le argomentazioni critiche del P. non sono idonee a sminuire la fedeltà alle risultanze processuali e la linearità logica, caratterizzanti le sentenze dei giudici di merito. La sua presenza nell’associazione ex art. 74 cit. D.P.R. non è risultata limitata al ruolo di acquirente di cocaina e di "esattore" del credito della propria compagna: il suo ingresso è risultato sollecitato dal T., per soppiantare il troppo esoso M., per rilevarne il ruolo attivo nelle scorribande in cui necessitava la presenza di correi in divisa, di pronta e affidabile disponibilità. I giudici di merito scandiscono la sua partecipazione negli episodi di corruzione, di cui ai capi 2) e 3), il cui esito non incide naturalmente sul rilievo penale dell’impegno criminoso del ricorrente. I giudici di merito mettono anche in evidenza l’infondatezza della tesi difensiva, secondo cui i reati di corruzione sono esterni, rispetto alle finalità programmate dall’associazione : logicamente, la loro funzione è inquadrata nella finalità di arricchimento dell’associazione, di più rapido ed efficace conseguimento, grazie al mercimonio della pubblica funzione.

Sull’imputazione sub 29), i giudici di merito hanno correttamente fondato l’affermazione di responsabilità del P. sulla parziale ammissione, sulla chiamata in correità del To., sulle dichiarazioni del M.. Nessuna censura è configurabile in merito ai criteri che hanno guidato i giudici nel fissare il trattamento sanzionatorio: a fronte del comportamento processuale collaborativo – che ha legittimato la concessione delle attenuanti generiche – è stato dato rilievo alla gravità dei fatti, rivelatrice di una abilità criminale, che ha generato nel T. e nel To. un significativo affidamento nei suoi confronti.

9. Quanto alle doglianze prospettate nell’interesse del Ce., va rilevato che:

a) appare di immediata rilevanza nella valutazione delle censure mosse dal difensore, la storia del presente processo, che lo Stato ha instaurato sviluppato e concluso in sede di merito.

Questo agente di polizia dell’Ufficio Volanti della questura di (OMISSIS) è stato coinvolto nell’indagine avente ad oggetto l’associazione criminosa gravitante su colleghi del medesimo ufficio, e dedita a varie forme di abuso, perpetrate nello svolgimento di perlustrazione del territorio e di pronto intervento, per sottrarre beni rinvenuti in possesso di cittadini stranieri clandestini (v, capi di imputazione n. 1 e 12); è stato inoltre coinvolto nell’indagine avente ad oggetto l’attività di commercio di sostanze stupefacenti, incentrate sul To. e su agenti di polizia, appartenenti all’Ufficio Scorte della Procura della Repubblica (capo 3 della rubrica). Da questi tre reati è stato assolto in primo e secondo grado per non aver commesso il fatto. Il Gup, esaminate dettagliatamente le conversazioni telefoniche intercorse tra il Ce., la fidanzata e altri colleghi (v. pag. 102), ha così concluso, in ordine ai reati sub 1, 3, 12: tali conversazioni, anche se non individualizzanti rispetto ai due fatti specifici contestati, nonchè alla partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo 1 della rubrica, rivelano una sorta di adesivo compiacimento rispetto a una consuetudinaria condotta illecita, vissuta all’interno di quegli uffici di polizia. Dalla conoscenza di questa prassi trasgressiva – di indubitabile rilevanza criminale – "implicitamente approvata, non può desumersi anche il necessario apporto causale nè ai reati scopo nè a quello associativo . Difetta dunque sia il contributo materiale, sia quello psicologico … . Ne consegue che, per quanto stigmatizzabili come riflesso inequivocabilmente della profonda e irrimediabile alterità e anzi negazione, da parte del Ce., rispetto ai canoni fondamentali dei compiti e dei doveri istituzionali affidatigli, non possono tali commenti genericamente adesivi reputarsi sufficienti per integrare gli elementi costitutivi nemmeno della partecipazione all’associazione criminale in questione".

L’intrinseca fedeltà alle risultanze processuali e l’intrinseca razionalità della loro interpretazione tolgono qualsiasi rilevanza alla pretesa dell’ agnostico agente di polizia di ricomporre la propria figura morale e professionale all’interno di un ambiente di lavoro di cui è stata dimostrata un’incontestata corruzione, a fronte della quale il cittadino e il pubblico ufficiale Ce.

ha manifestato un’ irresponsabile solidarietà e connivenza. Al di là delle infondate censure formali, in ordine alla negata qualifica di appello incidentale all’atto di doglianza sulla motivazione dell’assoluzione (la corte di merito ha correttamente rilevato che trattasi di memoria difensiva, depositata dopo la notifica dell’appello del PM), è da rilevare la sostanziale inconsistenza della pretesa di ricevere, all’esito dello specifico accertamento giudiziario della sua condotta omissiva, un giudizio lusinghiero sulla sua capacità di tutore della legalità( in tal modo .viene rilevata l’infondatezza del motivo di ricorso sub 9).

La storia del processo vale anche porre in evidenza l’improponibiUtà della pretesa difensiva di operare la frantumazione di questa vicenda processuale in compartimenti autonomi (filone spaccio-prostituzione- corruzione, filone corruzione, perquisizioni illegali sequestri;

filone piccola attività di spaccio-omessa denuncia), privi di una comune radice investigativa e di un comune patrimonio probatorio, per cui ogni prova dovrebbe essere munita di una singola e specifica procedura di ammissione, formazione, valutazione. Come già anticipato, aH’origine del processo vi è un’unica radice, messa in luce da un’indagine coordinata dalla procura distrettuale di (OMISSIS) e condotta dalla sezione antidroga di Como, a partire dal (OMISSIS), nel contesto del procedimento n. 37474/03 RGNR, nei confronti di To.Vi.La., inserito in un gruppo di trafficanti internazionali di sostanze stupefacenti-primariamente di cocaina – e in costante contatto con cittadini italiani e – in maniera del tutto peculiare- in costante rapporto cooperativo con agenti della Polizia dello Stato Italiano, appartenenti all’Ufficio Scorte della Procura della Repubblica di (OMISSIS) e all’Ufficio Volanti della Questura di (OMISSIS) (presso cui lavorava il ricorrente).

In data 18.9.06 gli è stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari, ex art. 415 bis c.p.p. e all’udienza preliminare dell’ 11.1.07 unitamente ad altri indagati ha formulato richiesta di giudizio abbreviato, che, recante il n. 27522/06 R.G.N.R., si è concluso con sentenza, in data 22.5.07, con cui è stato ritenuto colpevole dei reati contestati. sub nn 49 e 50. E’ logicamente e proceduralmente evidente che, al momento della richiesta e dell’instaurazione di rito abbreviato per gli imputati, non si è dissolta la comune base investigativa, ponendo le parti e i giudici dinanzi a procedimenti basati sul vuoto e quindi dinanzi alla necessità di ricominciare l’attività investigativa con correlata esigenza di riaprire le procedure di ammissione e formazione degli elementi indiziari e probatori. Pertanto è del tutto infondata la tesi della difesa, secondo cui il filone riguardante il Ce.

(piccola attività di spaccio-omessa denuncia) costituisce procedimento diverso, nel cui ambito sono patologicamente inutilizzabili i risultati delle attività investigative, svolte nel corso delle indagini preliminari, che, nei confronti del Ce.

si sarebbero rivelate tamquam non essent.

Va quindi conclusivamente osservato che – sulla mancata emissione dei decreti autorizzativi, concernenti le intercettazioni delle conversazioni telefoniche 21 ottobre e 30 novembre 2005 e sulla utilizzabilità di tutte le intercettazioni, poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità – la piena legittimità di tutte le indagini svolte nel procedimento madre n. 37407/03- convincentemente affermata dal Gup all’udienza dell’11.1.2007 e confermata dalle argomentazioni della corte di merito- non può non riflettersi nei vari procedimenti separati nella medesima udienza e svolti con il rito abbreviato, proprio sulla base dei risultati delle indagini originarie. E’ quindi del tutto illogica e meramente ostativa allo svolgimento e alla conclusione del presente accertamento giudiziario la pretesa del ricorrente di effettuare un’astratta e artificiosa separazione, funzionale a rendere operativa la pretesa della moltiplicazione di tutte le formalità, previste a garanzia della difesa.

Va inoltre rilevato che:

a) Il riferimento allo stupefacente nelle conversazioni captate è stato logicamente ritenuto provato dai giudici di merito sia dall’uso di termini convenzionali -altrimenti privi di qualsiasi significato- sia dall’accertato uso di stupefacenti, da parte della fidanzata del ricorrente, la quale ripetutamente gli ha confidato tale situazione, sfociata nello status di commerciante, nonchè i guadagni e i problemi che ne sono derivati; proprio le intercettazioni telefoniche dimostrano, secondo l’insindacabile valutazione dei giudici di merito, il pieno coinvolgimento dell’agente di polizia Ce.

nelle attività di distribuzione a titolo gratuito e a titolo oneroso della cocaina. Sotto quest’ultimo profilo, è emersa la concreta attivazione del ricorrente – a seguito di richiesta del collega Pa. – nell’acquisto di droga dal fornitore Sa.Mo. e nel cederla direttamente all’acquirente, ad un prezzo superiore, tale da poterne ottenere un illecito profitto. L’impegno di promotore della maggiore diffusione dell’uso della cocaina è confermato- secondo l’attenta e logica valutazione dei giudici di merito- dalla sua adesione alla scelta della Tu. di donare a un conoscente di nome Ma., in occasione della festa di compleanno, un quantitativo di stupefacente di quello buono;

b) I giudici di merito hanno anche messo in evidenza l’atteggiamento nettamente antitetico del Ce. rispetto al suo dovere di agente di polizia al cospetto di una prolungata e varia attività distributiva della cocaina: le intercettazioni telefoniche dimostrano non solo la piena conoscenza di tali crimini, ma anche, il calarsi – per il profitto e per l’impunità propri e della fidanzata- nel lessico e nel linguaggio convenzionali, quale espediente per "ripararsi" dall’attività di indagine dei colleghi corretti e fedeli alla propria funzione. I giudici di merito hanno correttamente negato che la sua omissione di denunciare l’attività di spaccio della collega e fidanzata To. sia giustificata dal principio del nemo tenetur se detegere e dall’interpretazione analogica, in suo favore, dell’ipotesi di non punibilità, prevista dall’art. 384 c.p., in relazione alla necessità di evitare grave nocumento alla Tu., quale convivente more uxorio. La corte non solo ha disconosciuto la sussistenza del presupposto di fatto (non c’è convivenza), ma ha anche confermato la logica considerazione del divieto ex art 14 preleggi, relativo all’applicazione delle norme eccezionali, nonchè il rifiuto di addivenire al paradossale riconoscimento alle forze dell’ordine di proteggere la delinquenza radicata nel proprio vissuto sentimentale;

c) Le doglianze sul trattamento sanzionatorio sono del tutto inammissibili, in quanto sono dirette in maniera di mera valutazione critica, nei confronti di un ineccepibile esercizio, da parte dei giudici di merito, del potere discrezionale, riconosciuto dal legislatore, ex artt. 132 e 133 c.p..

d) Merita accoglimento la censura diretta sull’aumento della pena base derivante dal sanzione prevista per il reato satellite, ex art. 361 c.p.: per tale reato, a seguito della concessione delle attenuanti generiche – di cui non è stata ritenuta la sub valenza rispetto all’aggravante prevista dal comma 2 del citato articolo- la pena prevista è quella della multa. La sentenza va quindi annullata sul punto, con rinvio alla corte di appello di Milano per nuovo esame.

Gli altri ricorsi vanno rigettati, con condanna di ciascuno degli imputati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale Territoriale.

Annulla le statuizioni relative al ricorrente Ce., limitatamente al trattamento sanzionatorio di cui al capo 50 della rubrica, con rinvio alla corte di appello di Milano per nuovo esame sul punto. Rigetta tutti gli altri ricorsi e condanna gli altri restanti ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013

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