Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 07-08-2012, n. 14174

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il P.G. presso questa Corte promosse, il 20.7.2010, azione disciplinare nei confronti della dott.ssa C.M., sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste, contestandole gli addebiti di seguito indicati:

a) "dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. g) e ff), perchè, quale sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Trieste, in violazione del dovere di diligenza, ometteva di assumere le determinazioni necessarie ad evitare l’indebito vantaggio della scarcerazione per decorso dei termini di custodia cautelare di M.E., per il quale pure permanevano ragioni di cautela, essendo lo stesso sottoposto a indagini per una serie di gravi reati, cosicchè il giudice per le indagini preliminari con provvedimento in data 14 agosto 2009 dichiarava estinta la misura cautelare sin dal 12 agosto 2009;

b) dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. g) e ff), perchè, quale sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Trieste, per inescusabile negligenza e per grave errore di diritto (consistito nell’aver considerato quale dies a quo per il calcolo dei termini di custodia cautelare in un caso di contestazione per delitto continuato non quello della privazione della libertà personale per il primo dei delitti legati dal vincolo della continuazione, ma quello di emissione della misura per i delitti successivamente contestati, in violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3, ed in contrasto col principio già richiamato dal G.I.P. con riferimento all’analoga posizione del coindagato M.E. nel provvedimento in data 14 agosto 2009), ometteva di assumere le determinazioni necessarie a evitare la scarcerazione per decorso dei termini di custodia cautelare di M.A. e R.B., per i quali permanevano ragioni di cautela, essendo gli stessi sottoposti ad una serie di gravi reati, cosicchè il giudice per le indagini preliminari dichiarava, in data 27 agosto 2009, estinta la misura cautelare.

Notizia circostanziata dei fatti acquisita in data 28 ottobre 2009".

Le incontroverse vicende processuali, ricostruite anche ("puntualmente", secondo la sentenza impugnata) attraverso una relazione di servizio in data 4.9.09 dell’incolpata, possono compendiarsi nei termini di seguito esposti.

Il cittadino albanese M.E. era stato il 12.2.2009 sottoposto a fermo di p.g. da agenti della Polizia di Stato di Trieste, in quanto indiziato di ricettazione e furto aggravato in abitazione, commessi la notte precedente in concorso con due complici datisi alla fuga, e su richiesta del P.M., in persona della dott.ssa C., all’esito della convalida, sottoposto dal G.I.P. del Tribunale di Trieste alla custodia in carcere, specificandosi nel relativo provvedimento che detta misura sarebbe venuta a scadenza, per termine di fase, il 12.8.2009.

Le successive indagini consentivano di individuare i due complici del suddetto in M.A. e R.B., sottoposti il 27.2.2009 in Treviso a fermo di p.g., ivi convalidato con emissione di misura custodiale in carcere, a carico dei quali successivamente il G.I.P. di Trieste, con ordinanza del 7.3.09, eseguita il 14.3.09, adottò analoga misura cautelare per gli stessi reati contestati al loro connazionale.

In assenza di atti interruttivi la custodia cautelare in carcere per i tre suddetti indagatici sensi dell’art. 303 c.p.c., lett. a), n. 2, avrebbe dunque perso efficacia, per il primo, in data 11 agosto 2009, per gli altri due, il 26 agosto 2009.

Tali eventi ebbero entrambi a verificarsi, avendo il G.I.P. disposto, con rispettive ordinanze del 14 e 27 agosto 2009 la scarcerazione degli indagati, per perenzione delle misure cautelari. Peraltro il P.M. (in persona di magistrato diverso dalla C., all’epoca in congedo feriale) aveva, nello stesso giorno 12 agosto, di scadenza della custodia di M.E., sottoposto quest’ultimo a nuovo fermo, perchè indagato con gli altri due albanesi di plurimi furti in abitazione, ma il G.I.P con la stessa ordinanza del 14.8.09, respinse la richiesta di nuova misura cautelare, sul rilievo che, versandosi in fattispecie di contestazioni a catena, la sussistenza del vincolo della continuazione, rilevata dallo stesso P.M., tra i reati indicati nel decreto di fermo e quelli oggetto della prima misura custodiale, comportava, in base a consolidata giurisprudenza della S.U. penali di questa Corte, che pur in presenza dei presupposti di cui agli artt. 273 e 274 c.p.c., la nuova misura non avrebbe avuto alcun effetto, dovendo la decorrenza del termine di fase retrodatarsi all’2.2.2009, data del primo fermo.

Il medesimo principio veniva richiamato nell’ordinanza del successivo 27.8, relativa ad M.A. e R.B., per i quali il dies a quo di fase veniva individuato in quello del loro arresto, avvenuto il 27.2.09 in Treviso, e non nel 14.3.09, di esecuzione della successiva misura restrittiva emessa dal G.I.P. di Trieste il 7 precedente.

La dott.ssa C., nel corso dell’istruttoria, premesso di non aver tenuto alcun registro informale per l’annotazione delle scadenze delle misure cautelari, dichiarò di aver custodito separatamente i fascicoli relatività tenere in evidenza, riportando sulle copertine le date in questione; aggiunse che prima di allontanarsi dall’ufficio per il congedo feriale, durante il quale si erano poi verificate le scarcerazioni, aveva chiesto informazioni al personale di segreteria in merito ai procedimenti a carico di detenuti, ricevendo tranquillizzanti assicurazioni al riguardo; precisò che l’errore commesso nel calcolo dei termini custodiali relativi al primo indagato aveva influito nella erronea determinazione anche di quelli relativi agli altri due e che analogo errore sulla data di arresto risultava nell’annotazione sul RE.GE.; depositò infine una memoria difensiva del 7.10.11.

Concluse le suddette indagini, procedutosi su richiesta del P.G. al dibattimento, durante il quale veniva esaminato un teste, con sentenza del 7/10/11, depositata l’8.2.121 e notificata all’incolpata il 15.2.12, la Sezione Disciplinare del C.S.M., in accoglimento delle conclusioni dell’ufficio requirente e disattese quelle della difesa, dichiarò la dott.ssa C. responsabile degli addebiti di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. g), così come da contestazione, esclusi tuttavia quelli di cui sub ff) del medesimo decreto legislativo, e le inflisse la sanzione disciplinare della censura.

Tali le essenziali ragioni della suddetta decisione:

a) incombendo sul P.M. titolare dell’indagine preliminare, nella specie la dott.ssa C., la responsabilità dell’osservanza dei termini di fase, nessuna ragionevole giustificazione poteva in concreto ravvisarsi per la ripetuta mancata osservanza di quei termini;

b) tale responsabilità, in particolare, non poteva essere esclusa dalla circostanza che la scarcerazione fosse avvenuta durante il periodo in cui detto magistrato era in ferie, essendo dovere della medesima, prima di allontanarsi dall’ufficio, accertare personalmente, e non a mezzo del personale di segreteria, se vi fossero fascicoli con termini in scadenza;

c) le stesse riferite modalità di custodia dei fascicoli denotavano approssimazione e superficialità nell’organizzazione del proprio lavoro nel particolare settore in cui erano in gioco la libertà personale e l’esito stesso di delicate indagini per gravi fatti, oggetto di allarme sociale, quali quelli in considerazione;

d) in ordine al primo episodio la negligenza ed il conseguente errore risultavano particolarmente inescusabili, considerando che la data di scadenza della custodia cautelare era stata chiaramente evidenziata nella stessa ordinanza del G.I.P. che aveva accolto la richiesta della dott.ssa C.;

e) ancor più grave era stato il successivo comportamento dell’incolpata tenuto al rientro dalle ferie, quando, pur essendo venuta a conoscenza della scarcerazione di M.E., aveva omesso di assumere alcuna determinazione nei confronti degli altri due indagati, nell’erroneo convincimento che il termine di fase sarebbe scaduto il 13 settembre 2009, al riguardo non avendo tenuto conto di principi ormai da tempo consolidati in tema di contestazioni a catena di reati legati dal vincolo della continuazione, peraltro richiamati dal G.I.P. nell’ordinanza del precedente 14 agosto;

f) la gravità degli errori, che avevano "provocato la scarcerazione di pericolose persone indagate di innumerevoli fatti che avevano destato grande apprensione presso la collettività", venendo seguiti con attenzione non solo dall’opinione pubblica, ma dallo stesso magistrato, come ammesso dalla medesima, non poteva essere esclusa dalla, pur accertata laboriosità dell’incolpata, configurando una evidente ed ingiustificabile "caduta di professionalità", così integrando gli estremi di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1), lett. g), ma non anche dell’illecito disciplinare di cui alla lett. ff), non essendovi stata emissione di provvedimenti illegali ovvero adottati in base ad errori macroscopici o frutto di grave e inescusabile negligenza;

g) adeguata alla gravità dell’illecito, tenuto conto dell’assenza di precedenti disciplinari, era la sanzione della censura.

Avverso la suddetta sentenza la dott.ssa C.M. ha proposto, a mezzo di difensore di fiducia, ricorso per cassazione affidato ad otto motivi. L’intimato Ministero della Giustizia non ha svolto attività.

Motivi della decisione

p. 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della normativa sulla responsabilità civile dei magistrati di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, lett. g), censurandosi, in quanto assiomatica, la comune premessa dell’uno e dell’altro capo di incolpazione, con la quale si sarebbe data per scontata, senza ulteriori precisazioni, la sussistenza di ragioni che avrebbero imposto la protrazione della custodia cautelare degli indagaticene dopo la scadenza dei rispettivi termini di fase.

Si soggiunge che indebitamente ed in violazione del principio di tipicità degli illeciti disciplinari, nell’affermare che permanevano ragioni di cautela imponenti detta prorogaci P.G. presso questa Corte, prima, e la Sezione Disciplinare del C.S.M., poi, si sarebbero, con apodittica valutazione ex posi, sostituiti al magistrato incolpato, unico titolare del potere discrezionale in questione.

Il motivo non merita accoglimento, confutando soltanto in questa sede la necessità di protrazione della custodia dei tre indagati, mai posta in discussione durante il procedimento disciplinare ed anzi implicitamente, ma inequivocamente, ammessa dalla stessa incolpata, il tenore delle cui giustificazioni erano limitate ad evidenziare assunti disguidi a lei non imputabili, che le avrebbero impedito di adottare in tempo utile le determinazioni in tal senso.

Costituendo, quindi, la sussistenza ex art. 305 c.p.p., comma 2 delle gravi ed eccezionali esigenze, correlate alla complessità delle indagini, relative ad una numerosa serie di furti in appartamenti, avvenuti in diverse località del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia ed ascritti agli indagati, un dato acquisito ed incontroverso del procedimento a quo (tanto che nella sentenza si riferisce che la stessa dr.ssa C. aveva, per sua stessa ammissione, seguito con particolare attenzione gli sviluppi della vicenda, relativa agli "innumerevoli fatti che avevano destato grande apprensione preso la collettività"), nessuna violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. g) o del principio di tipicità degli illeciti disciplinari ha inficiato l’operato del P.G. e della Sezione Disciplinare, che non si sono sostituiti al magistrato in una scelta processuale al medesimo riservata, bensì hanno dato atto della negligenza e mancanza di professionalità connotante il comportamento dello stesso nella gestione, in tale delicata fase, di un processo, in un contesto nel quale l’unica opzione processuale ragionevole, giustificante la protrazione della custodia, pur prossima a scadere, altra non avrebbe potuto essere, anche nelle intenzioni di quel P.M., che quella prevista dalla sopra citata norma del c.p.p..

In altri termini, il nucleo essenziale degli addebiti ascritti all’incolpata, correttamente ritenuti fondati, va individuato nel non essersi posta in condizioni di poter tempestivamente attuare, o far sì, mediante opportune direttive o segnalazioni dei fascicoli all’uopo lasciati in evidenza, che potesse farlo in tempo utile il magistrato succedutole nel periodo feriale, quella scelta processuale, vale dire la richiesta di proroga della custodia cautelare in carcere, cui la gestione dei processi risultava, fino a quel momento, concretamente indirizzata.

Di tanto, del resto, si traeva conferma dal contenuto della stessa relazione di servizio redatta dalla dott.ssa C., laddove veniva riferito della sollecitazione, telefonicamente indirizzata l’11.9.09 al P.M. di turno dott. L., a chiedere in extremis la proroga de qua.

p. 2. Con il secondo motivo si deduce manifesta illogicità della motivazione sulla base della quale la Sezione ha applicato la normativa, in precedenza indicata, sulla responsabilità disciplinare dei magistrati, essendosi fatta "passare per obbligatoria/scontata una richiesta di proroga della misura cautelare "..costituente invece, ai sensi dell’art. 305 c.p.p., comma 2 istituto eccezionale, conferente al magistrato inquirente una facoltà discrezionale, subordinata alla sussistenza di "stringenti presupposti".

Il motivo, sostanzialmente ripetitivo, mutatis verbis, delle censure esposte nel precedente, ne condivide la reiezione.

p. 3. Con il terzo motivo si deduce ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) "mancanza manifesta della motivazione della sentenza risultante dal suo testo e dalla relazione della dott.ssa C. al Procuratore della Repubblica di Trieste del 4 settembre 2009".

Si lamenta, in particolare, la mancata considerazione delle circostanze, riferite nella suddetta relazione, che il giorno 11 agosto 2009, vale dire in quello precedente la scadenza del termine custodiale di fase relativo al primo indagatola dott.ssa C., avvertita dalla segreteria di tale imminente scadenzaci sarebbe posta in contatto telefonico con il P.M. di turno, segnalandogli la necessità della richiesta di proroga, apprendendo tuttavia dallo stesso dell’impossibilità di provvedere al riguardo, per mancanza di un magistrato dell’ufficio G.I.P. disponibile per quel pomeriggio, e della conseguente necessità di optare per una diversa strategia processuale, rivelatasi poi inutile. Di tale tentativo, compiuto in extremis, ma ancora in tempo utile, e della non ascrivibilità all’incolpata della sua impossibilità di riuscita (dovuta alla contingente assenza di un G.I.P.), il giudice disciplinare non avrebbe tenuto conto.

Anche tale motivo va disatteso, tenuto conto del difetto di rilevanza delle circostanze addotteci fini della sussistenza dell’illecito contestato, essenzialmente consistito nel negligente sostanziale abbandono del fascicolo in balia delle scadenze processuali, previa omissione di un doveroso controllo che, prima di allontanarsi dall’ufficio, avrebbe dovuto essere personalmente (e non delegato alla segreteria) compiuto dal magistrato del P.M. responsabile della gestione del processo, segnatamente con riferimento allo status libertatis dell’indagato. In tale negligenza correttamente il giudice disciplinare ha individuato la scorretta condotta professionale, connotata da evidenti trascuratezza ed approssimazione, tenuta dall’incolpata, costituente la causa, se non unica, certamente prevalente di quella inopinata scarcerazione, poco o punto rilevando l’estremo tentativo di evitarla e le contingenti ragioni del relativo insuccesso, da ritenersi non connotate da anomalia, tale da interrompere il nesso causale, tenuto conto che la fase conclusiva della vicenda si svolse durante il periodo feriale, nel quale gli uffici giudiziari notoriamente operano a ranghi ridotti. Pertanto la dedotta difficoltà, da parte del collega di turno, di reperimento, nelle ore pomeridiane dell’ultimo giorno utile, di un magistrato dell’ufficio G.I.P., che esaminasse la richiesta ex art. 305 c.p.p., comma 2 ed assumesse un’immediata decisione, era ben prevedibile, in un contesto nel quale elementari regole di diligenza professionale imponevano che la proroga venisse chiesta con congruo anticipo rispetto alla sua scadenza, di fatto colpevolmente ignorata, nonostante l’annotazione sulla copertina del fascicolo, o comunque dimenticata, dal P.M. responsabile del procedimento.

p. 4. Con il quarto motivo si deduce "nullità della sentenza ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) per omesso esame di una parte rilevante di detta relazione e memoria difensiva".

Il motivo, a parte la palese inconferenza dell’articolazione, richiamante l’art. 178 c.p.p., lett. c) (prevedente la nullità per violazione delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private, nonchè la citazione in giudizio della parte offesa e del querelante), limitandosi, nella breve espositiva, a fare riferimento alle argomentazioni svolte nel precedente, va respinto per le medesime ragioni al riguardo esposte, tenuto conto dell’evidenziata irrilevanza delle circostanze addotte a discolpa nella relazione di servizio e richiamate nella memoria difensiva.

p. 5 Con il quinto motivo si deduce "contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza risultante dal suo testo e dalla relazione della dott.ssa C. al Procuratore della Repubblica di Trieste del 4 settembre 2009", censurandosi "l’omessa valutazione degli eventi intervenuti l’11 agosto 2009", che avrebbero dovuto indurre la Sezione disciplinare a "prendere atto dell’interruzione del nesso di consequenzialità" fra la condotta negligente ascritta all’incolpata e la scarcerazione dell’indagato M.E., avvenuta per le cause e nelle circostanze esposte nel suddetto scritto, in precedenza riferita.

Il motivo va respinto, sulla base delle già svolte considerazioni escludenti la dedotta interruzione del nesso causale, che hanno comportato la reiezione del terzo.

p. 6. Con il sesto motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) "contraddittorietà della motivazione della sentenza risultante dal "suo testo", consistito nel duplice riferimento, ai fini della ritenuta fondatezza degli addebiti, al comportamento negligente ed omissivo che la dott.ssa C. avrebbe tenuto prima di allontanarsi dall’ufficio per le ferie ed al "grave errore di diritto, determinato da negligenza inescusabile", nel quale ella sarebbe incorsa "nell’individuazione del dies a quo dal quale computare i termini della custodia cautelare"; il che non consentirebbe di identificare l’esatto procedimento logico – giuridico posto a base della motivazione, tanto più risultando impossibile individuare la norma di legge imponente la richiesta di proroga della custodia cautelare.

Il motivo è infondato.

Il vizio della contraddittorietà della motivazione, come si desume dalla giurisprudenza delle S.U. citata dalla stessa ricorrente, "presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della motivazione adottata" (sent. n. 26825/09).

Nel caso di specie non è riscontrabile nell’apparato argomentativo della sentenza impugnata alcuna situazione di insanabile contrasto tra le rationes decidendi esposte a fondamento dell’affermazione di responsabilità disciplinare, con riferimento sia al primo, sia al secondo episodio di scarcerazione, addebitati all’odierna ricorrente.

Quanto a quello del 14 agosto 2009, la contestazione disciplinare, come si è già detto, prevedeva quale condotta produttiva dell’evento il comportamento negligente, più volte ricordato, tenuto dalla dott.ssa C. all’atto dell’allontanamento per le ferie dall’ufficio, consistito nell’aver omesso alcun doveroso controllo della posizione dell’indagato, con riferimento ai limiti temporali della custodia in corso, addebito che la Sezione disciplinare ha ritenuto sussistente e determinante detto evento. Così chiaramente indicata la ragione essenziale dell’affermazione di colpevolezza, quella successiva, dell’errore di diritto nella individuazione del dies a quo, quand’anche riferibile anche a detto episodio (e non solo a quello della scarcerazione degli altri due indagati), non ha dato luogo ad alcun contrasto logico, ma soltanto all’indicazione di un ulteriore, non essenziale, argomento esposto a sostegno della decisione, comunque sufficientemente sorretta dal primo, rispetto al quale, peraltro, non è dato ravvisare, in linea di principio, alcuna incompatibilità, ben potendo le due condotte coesistere e concorrere alla determinazione del medesimo evento.

Ancor più evidente è l’infondatezza della censura, con riferimento al secondo episodio, la duplice scarcerazione del 27 agosto 2009, considerato che il contestato e ravvisato errore di diritto era stato ammesso dalla stessa incolpata, che aveva addotto a sua, inidonea, scusante l’erroneità dell’indicazione del dies a quo nel registro, confermando di non avere al riguardo svolto alcun adeguato controllo, ancor più doveroso alla luce di quanto già verificatosi per il primo indagato.

p. 7. Con il settimo motivo si censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per manifesta illogicità, la motivazione, per la ravvisata sussistenza del grave errore di diritto nell’individuazione delle esatte date di scadenza dei termini di fase, senza tener conto: a) quanto ad M.E., che, come pur dato atto in sentenziale indicazione, nel 12.8.2009, era contenuta nella stessa ordinanza del GIP di Trieste che aveva disposto la misura cautelare; b) quanto ad M.A. e R.B., che nessun errore di diritto poteva verificarsi, avendo il loro difensore depositato l’istanza di scarcerazione il giorno 26.8.2009, vale a dire in quello precedente l’esatta scadenza, durante il quale vi sarebbe stato ancora tempo, ove ne fossero ricorse le condizioni, per richiedere la proroga della custodia.

Il motivo, quanto al primo profilo, va disatteso sulla base delle considerazioni in precedenza esposte circa la non essenzialità, ai fini dell’affermazione di responsabilità relativa al primo capo d’incolpazione, dell’argomento relativo all’assunto errore di diritto, comportante l’irrilevanza della censura.

Altrettanto irrilevante è il secondo profilo di censura, considerato che l’errore di diritto, secondo la ricostruzione della vicenda operata dalla Sezione disciplinare, sulla base peraltro delle stesse ammissioni dell’incolpata, comunque si era verificato ed aveva determinato le condizioni per l’inevitabile scarcerazione dei due indagati alla data, correttamente calcolata, del 27.8.2009 (notevolmente anteriore a quella, erroneamente prevista; del 13.9.2009), di effettiva scadenza del termine di fase, mentre la circostanza dell’avvenuta scoperta in extremis, a seguito della presentazione dell’istanza del difensore, non era tale da interrompere il nesso causale tra la condotta addebitata e l’evento, tenuto conto del ristrettissimo margine temporale residuo, palesemente insufficiente a consentire di porre rimedio alla situazione determinatasi.

p. 8 Con l’ottavo motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), "inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 305 c.p.p., comma 2", con riferimento all’evento della scarcerazione dei due indagati avvenuta il 27 agosto 2009, per non aver considerato che la proroga della custodia cautelare dei medesimi avrebbe potuto, non necessariamente dovuto, disporsi soltanto in cospetto delle tassative condizioni previste dalla disposizione, richiedente gravità delle esigenze cautelari, no vita e particolare complessità delle indagini da compiersi.

Inoltre, non sarebbe stato tenuto conto che tale richiesta sarebbe stata incompatibile con l’avvenuta notificazione, il precedente 12 agosto, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p., e che il P.M. non avrebbe potuto, prima del 27 agosto 2009, "trovar il modo di prolungare la custodia cautelare di quei due indagati", emettendo nei loro confronti il decreto di citazione a giudizio, non essendo ancora trascorsi i prescritti venti giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Anche tale mezzo d’impugnazione va respinto, basandosi su censure, che, nella parte richiamante la discrezionalità della richiesta di proroga del termine custodiale e l’eccezionalità delle relative condizioni, risultano sostanzialmente ripetitive di quelle contenute nel primo e nel secondo motivo di ricorso. E’ sufficiente, pertanto, rinviare alle considerazioni rei etti ve già al riguardo esposte, evidenziando come la sussistenza in concreto, per l’uno e per gli altri indagatici percorrere la via processuale di cui all’art. 305 c.p.p., comma 2, abbia costituto un dato incontroverso nel corso del giudizio disciplinare e delle indagini che l’avevano preceduto. Per quanto attiene, poi, alla prospettata impossibilità di adottare alternative soluzioni processuali, tali da consentire comunque il mantenimento in stato di custodia degli indagati, va osservato che l’argomento non esclude, ma anzi conferma, la responsabilità dell’incolpata, la cui precedente negligente gestione dei processi, già incanalati nella predetta direzione, aveva costituito la causa preponderante di quelle scarcerazioni, ponendo l’ufficio del P.M. nelle condizioni di non poterle comunque evitare; sicchè poco o punto rileva che l’insufficiente lasso temporale trascorso dalla notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini, necessariamente comuni (in ragione della concorsualità dei reati ascritti e della ritenuta continuazione) ai tre indagati, alla cui emissione, quale estremo e poco concludente ripiego processuale il magistrato di turno si era ritenuto costretto, a seguito dei recenti sviluppi della vicenda, non consentisse di poter emettere in tempo utile il decreto di citazione a giudizio e di conseguire, per altra via, il prolungamento di quella custodia.

p. 9. Il ricorso va, conclusivamente, respinto.

p. 10. Non vi è luogo, infine, a regolamento delle spese, in assenza di costituzione del Ministero della Giustizia.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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