Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 07-08-2012, n. 14173

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Svolgimento del processo

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona, con atto dell’11.6.2010, deliberò l’apertura di un procedimento disciplinare a carico del proprio iscritto, avv. C.A., per violazione di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 38 e 27 del Codice Deontologico Forense, provvedimento avverso il quale il professionista, deducendo vari profili d’illegittimità, propose ricorso innanzi al Consiglio Nazionale Forense.

All’esito del conseguente giudizio, nel quale il C.O.A di Verona non si era costituito, con decisione dell’11.12.2008, il C.N.F. dichiarò il ricorso inammissibile, anzitutto ritenendo, in motivato dissenso dalla sentenza di queste Sezioni Unite n. 29294 del 2008, citata dal ricorrente, la natura di mero atto endoprocedimentale del provvedimento in questione, finalizzato a valutare l’astratta rilevanza disciplinare dei fatti ascritti e a darne comunicazione all’interessato al fine di consentirgli l’esercizio del diritto alla difesa.

Tale atto, prodromico alla vera e propria fase del processo disciplinare, come tale inidoneo a configurare gli estremi di una "decisione" atta ad incidere sullo status del professionista, non poteva considerarsi una "decisione" impugnabile ai sensi dell’art. 50 della citata legge professionale forense.

In subordine – soggiungeva il C.N.F., – il ricorso era affidato a motivi di merito, eccedenti la limitata gamma di quelli, attinenti alla mera legalità del provvedimento, ritenuti ammissibili dalla citata pronunzia di legittimità, risolvendosi in una contestazione anticipata degli addebiti, sulla base della quale si pretendeva di sottoporre l’esercizio della discrezionale ed autonoma attività amministrativa spettante al C.O.A., in ordine al promovimento o meno dell’azione disciplinare, al controllo del C.N.F., organo non gerarchicamente sovraordinato ai consigli territoriali e non dotato di sostitutivi poteri d’iniziativa in materia, ma soltanto addetto al di controllo giurisdizionale sulle relative decisioni.

Avverso tale decisione l’avv. C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il C.O.A. di Verona non ha resistito.

Motivi della decisione

p. 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del R.D.L. 27 gennaio 1933, n. 1578, art. 50 e succ. modd., censurando la prima ratio decidendi esposta dal C.N.F. a sostegno della pronunzia d’inammissibilità, in quanto non aderente ai principi, derivanti dalla citata norma costituzionale ed affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, richiamati nella sentenza di queste S.S.U.U. n. 29294 del 2008, secondo i quali ogni processo, civile, penale o anche amministrativo, sarebbe di per sè fonte di pregiudizio, in quanto, idoneo a provocare danni patrimoniali, turbamenti e sofferenze, con la conseguente ammissibilità di avviare senza indugio un giudizio, per contestarne l’instaurazione, così come nel caso disciplinare.

Il motivo va respinto, non tenendo conto che la richiamata pronunzia di legittimità, che aveva affermato, in difformità da, pur risalenti, precedenti (S.U. nn. 3897/76, 5573/79), la ricorribilità per cassazione del provvedimento di apertura del procedimento disciplinare forense, risulta superata dalla successiva recente sentenza di queste Sezioni Unite n. 28335 del 2011, che riesaminati funditus i vari aspetti della questione, è pervenuta all’affermazione del diverso principio, a termini del quale "L’atto di apertura del procedimento disciplinare a carico di un avvocato comunicato all’incolpato e al P.M., in quanto non costituisce una delle decisioni di cui alla legge professionale, ma un mero atto amministrativo endoprocedimentale, come tale solamente comunicato e non notificato alle parti, non incidendo su stati professionali in via definitiva nè essendo decisorio di questioni pregiudiziali a garanzia del corretto svolgimento della procedura, come la legittimazione delle persone che dovranno deliberare l’atto finale o la competenza territoriale del collegio che lo delibera, produce effetti solo su posizioni strumentali delle parti da tutelare in sede giurisdizionale insieme a quelle incise dal provvedimento definitivo.

In analogia a quanto previsto per tutti i provvedimenti cautelari o provvisori, emettibilì dal consiglio dell’ordine locale in sede di procedimento disciplinare e di regola non impugnabili per il loro carattere non definitivo, gli atti d’inizio della procedura disciplinare non possono essere oggetto di ricorso autonomo ai sensi della L. del 1933, art. 50, non rientrando tra le decisioni di cui a tale ultima norma notificate alle parti, per le quali la stessa legge prevede ai sensi dell’art. 54 n. 1 dell’ordinamento professionale, il ricorso al CNF. Così come accade per ogni altro atto di mero inizio di qualsiasi procedimento amministrativo fino alla decisione che lo chiudevi cui al R.D. n. 37 del 1934, art. 51, deliberata dal consiglio e redatta dal relatore, il ricorso non può proporsi contro tali provvedimenti prodromici o preliminari a quello finale".

Da tale principio il collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, condividendo integralmente le ragioni sulle quali si fonda, in particolare l’argomentazione secondo cui l’impugnabilità dell’atto di apertura del procedimento, la cui finalità è proprio quella di consentire l’instaurazione del contraddittorio in funzione dell’esercizio del diritto alla difesa, nell’ambito di un procedimento che può anche chiudersi in breve tempo, non può ritenersi imposta dai principi del giusto processo, considerato che l’ipotizzato intervento, non previsto dalla legge, di un giudice, fin da tale fase iniziale, contrasterebbe con le esigenze di concentrazione ed efficienza dell’attività amministrativa, risolvendosi in un rallentamento del procedimento stesso, che, così come delineato dal legislatore, risulta comunque suscettibile di una rapida definizione mediante uno dei provvedimenti decisori, espressamente dichiarati impugnabili, in via giurisdizionale, innanzi al C.N.F..

La possibilità di conseguimento di una sollecita pronunzia di proscioglimento, nei casi di riconosciuta evidente infondatezza o invalidità dell’azione disciplinare, comporta il superamento delle ragioni prospettate in ricorso, correlate all’esigenza di pronta rimozione dei pregiudizi, patrimoniali o morali, connessi all’esercizio della potestà punitiva.

p. 2. Il secondo motivo, con il quale si censura, per violazione dell’art. 101 c.p.c. (recte: art. 112 c.p.c.), la seconda e subordinata ratio della decisione impugnata, per non aver tenuto conto anche delle ragioni di carattere formale poste a base dell’impugnazione del provvedimento del COA, resta assorbito.

p. 3. Il ricorso va, conclusivamente, respinto.

p. 4. Non vi è luogo, infine, a regolamento delle spese, in assenza di controparti resistenti.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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