Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 08-08-2012, n. 14259

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Svolgimento del processo
La società XXXspa convenne, davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d’Appello di Milano, la Regione Lombardia chiedendo la corretta determinazione del canone di derivazione d’acqua ad uso industriale esercitata dalla stessa XXXspa presso la centrale termoelettrica di XXX, con riferimento all’anno 2006.
Il tribunale Regionale delle Acque Pubbliche accolse la domanda in relazione al dimidiamento del canone per "uso industriale" per l’anno 2006 nella misura del 50%, rigettando l’ulteriore domanda di pagamento in ragione dei quantitativi effettivamente prelevati presso la stessa centrale.
La sentenza era appellata, in via principale dalla Regione Lombardia e in via incidentale dalla spa XXX.
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con sentenza del 30.9.2011, confermò la sentenza impugnata rigettando gli appelli.
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi la Regione Lombardia.
Resiste, con controricorso, la XXXspa che ha anche proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va dato atto che – come risulta dalla documentazione depositata in data 13.6.2012 – la Regione Lombardia ha proposto ricorso per revocazione della sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche impugnata con il presente ricorso per cassazione, con istanza di sospensione ex art. 398 c.p.c., comma 4, come novellato dalla L. n. 353 del 1990.
La sua proposizione non acquista alcun rilievo ai fini dell’esame del presente ricorso per cassazione, posto che, da un lato, la proposizione della revocazione non sospende il procedimento relativo al ricorso per cassazione (art. 398 c.p.c., u.c., primo inciso);
dall’altro, alla data dell’udienza del 19.6.2012, fissata per la discussione del ricorso per cassazione, il giudice della revocazione nulla ha disposto in relazione all’istanza di sospensione allo stesso proposta (v. anche Cass. 3.3.2006, n. 4702; Cass. 19.5.2009 n. 11608).
Ricorso principale.
Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e mancata applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 15, comma 1, nonchè violazione ed errata applicazione dell’art. 34, comma 6, R.R. 2/06. Con il secondo motivo si denuncia la violazione art. 111 Cost., commi 1 e 6, inesistenza della motivazione.
I due motivi, per l’intima connessione delle censure con gli stessi avanzate, sono esaminati congiuntamente.
Sostiene la ricorrente l’erroneità della sentenza impugnata, per avere ritenuto ricorrere il dimidiamento del canone sulla base del riconoscimento, fatto dall’autorità ritenuta concedente, ma individuata nel Ministero delle Finanze, mentre ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 15, comma 1, l’autorità concedente è individuata nel Ministero dei LL.PP.; ed, ai sensi dell’art. 34, comma 6 del regolamento n. 2 del 2006, l’Autorità concedente è l’unico soggetto da cui può promanare il riconoscimento.
E’, quindi, errata la sentenza impugnata, che ha ritenuto sussistere il riconoscimento dell’Autorità concedente sulla base della nota del 29.8.2000, n. 90753, proveniente dal Ministero delle Finanze, e non da quello dei Lavori Pubblici.
Nè, sul punto del mancato assenso al dimidiamento da parte dell’Autorità competente, lo stesso Organo giurisdizionale ha adottato alcuna motivazione.
I motivi non sono fondati.
Al di là della novità dei rilievi, avanzati per la prima volta in questa sede, e come tali inammissibili, deve, comunque, evidenziarsi quanto segue.
Le acque pubbliche, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 1 sono "I fiumi, i torrenti, i laghi, tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate e incrementate, le quali, considerate sia isolatamente sia per la loro portata, abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse".
Esse fanno parte del demanio necessario dello Stato.
A seguito alla delega di funzioni statali alle Regioni la competenza in materia di acque pubbliche è attualmente ripartita tra Stato e Regioni. Alle Regioni spettano la tutela, la disciplina e l’utilizzazione delle risorse idriche; allo Stato, invece, è attribuita la funzione di programmazione generale della destinazione delle risorse idriche, la dichiarazione di pubblica utilità delle acque, e l’imposizione di vincoli. La materia delle concessioni di acque pubbliche è ora attualmente attribuita alla competenza regionale, eccettuate le concessioni di grandi derivazioni, riservate allo Stato.
Il Ministro per i Lavori Pubblici di concerto con il Ministro delle Finanze accorda con decreto la concessione che determina le opere di derivazione e le modalità delle prese d’acqua e stabilisce gli obblighi ai quali il concessionario deve sottostare. Questa la disciplina attuale.
Le indicazioni fornite consentono la conclusione che sia sempre lo Stato il titolare di tali beni pubblici, così come, peraltro, prevede l’art. 42 Cost. come tale, depositario delle facoltà relative agli stessi, ivi compresa quella di concederli in uso.
Con la concessione, infatti, lo Stato concede l’uso di tali beni demaniali ai privati, attraverso una concessione traslativa di un diritto soggettivo (sul concetto v. anche S.U. 12.6.1992 n, 7232;
Cass. 17.5.1976 n. 1742). Ai Ministeri, invece, spetta l’organizzazione amministrativa dello Stato – apparato.
Questi sono, quindi, deputati allo svolgimento di funzioni amministrative, come può ricavarsi dallo stesso tenore del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 2, comma 2, in tema di organizzazione del governo, secondo cui "I ministeri svolgono, per mezzo della propria organizzazione…… le funzioni di spettanza statale nelle materie e secondo le aree funzionali indicate per ciascuna amministrazione dal presente decreto".
La titolarità in capo allo Stato del bene pubblico rende allora ininfluente, ai fini che qui interessano, che la nota dalla quale è promanato il riconoscimento provenga dal Ministero delle Finanze anzichè da quello dei lavori pubblici, posto che si tratta di una questione di organizzazione interna e di competenze funzionali, e non di titolarità del diritto in capo a soggetti diversi.
Autorità concedente ed autorità competente sono due concetti non isomorfi, laddove con il primo si indica lo Stato – soggetto, mentre il secondo è finalizzato a definire la ripartizione di funzioni fra gli organi dello Stato – apparato.
Non senza osservare che, per il periodo compreso fra l’entrata in vigore della L. n. 36 del 1994 ed il D.Lgs. n. 152 del 1999, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. d) era al Ministero delle Finanze che competeva la determinazione dei canoni; con la conseguenza che anche il dimidiamento dei canoni, per tale periodo, non poteva che provenire – così come è avvenuto nel caso in esame – dallo stesso Ministero al quale spettava l’amministrazione del demanio, con il potere di imporre e riscuotere i canoni concessori (v. anche Cass. 9.11.2009 n. 23704).
Pertanto, anche sotto questo profilo, la censura non può essere seguita.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione art. 175, comma 1, lett. u) ed errata applicazione del D.Lgs n. 152 del 2006, art. 170, comma 11, nonchè errata applicazione dell’art. 34, commi 5 e 6, R.R. 2/06, nonchè mancata applicazione della L. n. 36 del 1994, art. 18, comma 1, lett. d).
Con il quarto motivo di denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 34, comma 6, R.R. 2/06.
Con il quinto motivo si denuncia la errata applicazione dell’art. 34, comma 6, del R.R. 2/06, per violazione della L.R. n. 34 del 1998, art. 3, commi 5 e 6.
I motivi, per la connessione delle censure proposte, sono esaminati congiuntamente.
Essi non sono fondati.
L’art. 34, comma, del regolamento regionale n. 2/2006, per quel che qui interessa, stabilisce: "…. La riduzione del 50% del canone prevista dalla L. n. 36 del 1994, art. 18, lett. a) e d)….:
a) per l’uso industriale può essere applicata, limitatamente alla sola quantità d’acqua restituita, nel caso in cui le caratteristiche qualitative delle acque restituite a valle del processo produttivo mantengano le medesime caratteristiche qualitative delle acque prelevate….".
Il successivo comma 6 disciplina il dimidiamento prevedendo che:
"dall’entrata in vigore del presente regolamento la riduzione del 50% del canone può essere ammessa nelle nuove concessioni e nei rinnovi solo nel caso in cui siano rispettate le condizioni stabilite nel precedente comma 5, lett. a) e b)".
Prevedendo, poi (nella situazione transitoria, applicabile al caso in esame), che "Nel caso di concessione ad uso industriale con riduzione del canone assentita dall’autorità concedente nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della L. n. 36 del 1994 e l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, la predetta riduzione manterrà validità oltre la data del 31 dicembre 2007 solamente nel caso in cui il concessionario garantisca il rispetto dei parametri…".
Concludendo, l’ultimo capoverso dello stesso comma 6, che "nel caso in cui il concessionario non riesca a garantire nelle acque restituite il rispetto delle condizioni qualitative indicate al comma 5, a decorrere dall’1 gennaio 2008 cesserà la riduzione assentita e, da quella datarii canone dovrà essere versato per intero".
Ne deriva che, se la riduzione del canone è stata, in precedenza, assentita dall’Autorità concedente, con riferimento ai canoni dovuti nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della L. n. 36 del 1994 e l’entrata in vigore della decreto legislativo, la stessa riduzione sarà rispettata fino al 31.12.2007, mentre dall’1 gennaio 2008 la stessa cesserà se il concessionario non rispetterà i parametri che la Regione ha indicato nell’art. 34, comma 5, lett. a).
L’odierna resistente ha provato, con la produzione della nota del Ministero delle Finanze prot. n. 90753 del 29.8.2000, che fin dall’entrata in vigore della L. n. 36 del 1994 il canone era stato richiesto e calcolato secondo l’art. 18, lett. d) della legge citata.
L’art. 18 è stato abrogato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 175 il quale, ai fini che qui interessano, ha previsto che "al fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del canone nell’ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche di quelle prelevate. L’aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale" (art. 154, comma 3).
Peraltro, la norma dell’art. 170, comma 11, ha affermato che restano comunque validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175, fra le quali anche l’art. 18, fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto.
Su tale base, la stessa Corte di cassazione a sezioni unite (S.U. 30.7.2007, n. 16796), ha escluso la rilevanza – in fattispecie analoga alla presente – dell’abrogazione, da parte del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 175, sia della L. n. 36 del 1994, art. 18 che del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26, decorrendo tale abrogazione dalla data di entrata in vigore della parte terza del D.Lgs. n. 152 del 2006 e restando validi ed efficaci, secondo il D.Lgs. n. 151 del 2006, art. 170, comma 11, fino all’emanazione dei corrispondenti atti adottati in attuazione della medesima parte terza, i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175.
La Regione Lombardia – subentrata nella funzioni amministrative relative alla determinazione dei canoni di concessione del demanio pubblico con D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112; e successivamente d.d.u.o.
n. 22086/2002; d.g. Risorse idriche e bilancio – atti dirigenziali Giunta Regionale n. 20233 del 25.11.2003, determinazione successivamente annullata – è, quindi, intervenuta, nella materia di canoni di derivazione di acque pubbliche – anteriormente all’abrogazione della L. n. 36 del 1994, art. 18 da parte del D.Lgs. n. 152 del 2006 – con il regolamento regionale n. 2 del 2006.
Soltanto, però, con la L.R. 27 dicembre 2010, n. 19 la stessa Regione ha introdotto una disciplina che abroga quella del regolamento regionale n. 2 del 2006, prevedendo, con riferimento ai canoni di derivazione che "gli utenti di acqua pubblica sono tenuti al pagamento del canone nella misura intera, anche in caso di restituzione delle acque derivate con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate o in caso di riuso delle acque a circuito chiuso con reimpiego delle acque risultanti a valle del processo produttivo".
D’altra parte – con la citata sentenza n. 16796 del 2007 – le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno enunciato il principio di diritto per il quale "La disposizione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 26, comma 4, – secondo cui con decreto ministeriale avrebbero dovuto essere definite le modalità per l’applicazione della riduzione di canone già prevista dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 18, comma 1, lett. d) – non esclude la perdurante applicazione di tale riduzione ove non sia in contestazione la corrispondenza qualitativa delle acque restituite a quelle prelevate".
Posto che, nella specie, una tale contestazione non sussiste, correttamente il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha fondato – sul presupposto dell’esistenza del requisito di cui all’art. 18, lett. d) – il diritto al mantenimento del beneficio fino al 31.12.2007.
Ricorso incidentale.
Con un motivo il ricorrente incidentale denuncia la errata applicazione della L. n. 36 del 1994, art. 18 – art. 360 c.p.c., n. 3).
Sostiene l’erroneità della sentenza impugnata per non avere ritenuto che, ai sensi della L. n. 36 del 1994, art. 18, comma 1, lett. d), il canone di derivazione dovesse essere determinato sulla base dei prelievi effettivi, laddove la norma prevede che il canone costituisce il corrispettivo per le acque utilizzate; utilizzo che, per l’anno 2006, era stato provato essere pari a 235 moduli.
Il motivo non è fondato.
La norma dell’art. 18 richiamato deve essere letta ed interpretata coordinando l’inciso che prevede che "i canoni relativi alle utenze di acqua pubblica……..costituiscono il corrispettivo per gli usi delle acque prelevate …" con i diversi usi – indicati nelle lettere a), b), c) e d) della stessa norma – che delle acque pubbliche s’intendono effettuare, stabilendo, per ogni fattispecie tipizzata (uso irrigazione, consumo umano uso, industriale), il quantitativo ed il canone corrispettivo. In questo ambito alla lett. d) è previsto che il corrispettivo per l’uso industriale sia stabilito per ogni modulo di acqua assentito.
D’altra parte, l’interpretazione, per la quale il canone deve essere legato ai moduli di acqua utilizzabili, è – così come ha correttamente ritenuto la sentenza impugnata – avvalorata dall’essere "la concessione di acqua ad uso industriale" finalizzata "al soddisfacimento di un pubblico generale interesse, sicchè se il concessionario non utilizza l’acqua assentita e vuole pagare il canone nella misura corrispondente a quella utilizzata, ha l’onere di chiedere all’autorità concedente la revisione della concessione per ottenere la variazione della misura del canone – che costituisce corrispettivo globale del servizio ed è volto a coprire i costi di investimento ed esercizio – provando la riduzione della quantità di acqua utilizzabile onde consentire alla P.A. di riacquistare la piena disponibilità dell’acqua non utilizzata per destinarla ad altri scopi di utilità generale, ma non può unilateralmente modificare il contenuto della concessione formalmente e bilateralmente stabilito" (v. anche S.U. 30.3.2011 n. 7189).
Conclusivamente, i ricorsi, principale ed incidentale, sono rigettati.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta i ricorsi. Compensa spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 19 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2012

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