Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2013) 05-04-2013, n. 15820

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 18 aprile 2011 il Tribunale di Terni, applicava a R.K., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, la pena concordata tra le parti di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, previo riconoscimento allo stesso delle attenuanti generiche e tenuto conto della diminuente per la scelta del rito.

L’Imputato, destinatario del provvedimento di espulsione emesso il 18 novembre 2008 dal Prefetto di Verona ed eseguito il 22 novembre 2008, era entrato nuovamente in Italia in maniera illegale, come accertato in (OMISSIS).

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugia, il quale denuncia violazione ed erronea applicazione della legge penale, attesa l’incompatibilità del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, e successive modifiche con la direttiva rimpatri sotto i seguenti profili.

L’ambito di operatività della direttiva è segnato dall’art. 2, in base al quale la stessa si applica "ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio dello Stato membro è Irregolare". Per "soggiorno irregolare" deve intendersi "la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi le condizioni di Ingresso di soggiorno o di residenza in tale Stato membro" (art. 3, n. 2). Quando, pertanto, la direttiva parla di violazione di condizioni d’Ingresso comprende anche il caso del divieto di ingresso che correda l’ordine di allontanamento. La direttiva, infatti, fra i possibili divieti di ingresso prende espressamente in considerazione solo quelli che "si accompagnano alla decisione di rimpatrio" (art. 3, n. 6). Ne consegue che la direttiva si applica qualunque sia la fonte di irregolarità della presenza nel territorio: il caso in cui la violazione del divieto di reingresso segua ad un precedente ordine di rimpatrio, evidentemente ottemperato, rappresenta una delle ipotesi tipiche contemplate dalla direttiva. Non vi sono, in essa, disposizioni che fissino distinzioni tra le situazioni di irregolarità derivanti dalla violazione di un divieto di ingresso e situazioni di irregolarità derivanti dall’inottemperanza alla misura di allontanamento. Anche per la legge italiana, d’altra parte, lo straniero Irregolarmente rientrato in Italia è trattato in modo identico a quello che non ha ottemperato ad un ordine di allontanamento.

Di conseguenza i principi enunciati dalla Corte di giustizia con la sentenza 28 aprile 2011 sono validi anche con riferimento alla fattispecie disciplinata dal D.Lgs. n. 286 del 199, art. 13, comma 13, e successive modifiche.

Il divieto di reingresso contenuto nella suddetta norma contrasta con la direttiva sotto plurimi profili, in quanto: a) segue automaticamente all’espulsione (art. 13, comma 7), mentre dovrebbe accompagnare solo facoltativamente la decisione di rimpatrio, salvo alcune eccezioni (art. 11, lett. a e b della direttiva); b) ha una durata predeterminata dalla legge in dieci anni, termine superiore a quello contemplato nella direttiva, in base alla quale la durata deve essere stabilita caso per caso, "alla luce di tutte le circostanze pertinenti per ciascun caso" (art. 11, n. 2 della direttiva); c) non gradua la durata del divieto in rapporto alle peculiarità del caso concreto.

In tale contesto, l’illegittimità del provvedimento di divieto del reingresso, costituente il presupposto del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, si riverbera sulla configurabilità dello stesso.

Inoltre, attesa l’equiparazione tra lo straniero rientrato irregolarmente in Italia e quello che si renda inottemperante all’ordine di allontanamento comporta l’applicabilità ad entrambi della procedura di espulsione, già dichiarata dalla Corte di giustizia incompatibile con la direttiva e comporta l’applicazione di una sanzione (la pena della reclusione) che la Corte stessa ha già ritenuto illegittima.

Esiste, inoltre, un contrasto evidente tra la normativa nazionale e l’art. 11, par. 2 della direttiva, atteso che il termine massimo di durata del divieto stabilito in sede comunitaria costituisce il termine minimo, inderogabile, di durata del divieto secondo la norma di diritto interno. Nel caso di specie, pur tenendo conto delle modifiche introdotte dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89 (entrato in vigore il 24 giugno 2011) che ha ridotto a cinque anni il termine di durata del divieto di reingresso nel territorio dello Stato, al momento dell’arresto dell’Imputato erano scaduto il termine massimo di durata del divieto previsto dalla legge.

Sulla base delle considerazioni sinora illustrate il Procuratore generale ha chiesto, in via principale, l’annullamento della sentenza impugnata, perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato; in subordine, ha sollecitato la sospensione del procedimento e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea affinchè si pronunci sulla questione interpretativa riguardante la compatibilità con i principi fissati dalla direttiva della normativa Interna che prevede la pena della reclusione per la condotta di reingresso senza giustificato motivo nel territorio dello Stato; in via ulteriormente subordinata chiede che sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, anche così come modificato dal D.L. n. 89 del 2011 per contrasto con l’art. 3 Cost..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato. Le pur articolate argomentazioni svolte in ricorso muovono infatti da non condivisibili presupposti esegetici.

Come questa Corte ha già avuto occasione di precisare, infatti, con riferimento ad una fattispecie del tutto simile (Sez. 1, n. 35871 del 25/05/2012 – dep. 19/09/2012, Pg in proc. Mejdi, Rv. 253353) – ed alle cui diffuse motivazioni, che questo Collegio ritiene senz’altro di condividere, espressamente si rinvia – la condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio, ha conservato rilevanza penale pur dopo l’emissione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea del 16 dicembre 2008 e la conseguente pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso El Dridi, perchè i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione.

In particolare, va ribadita l’impossibilità di trasporre automaticamente le conclusioni della sentenza El Dridi, pronunziata con riguardo al delitto previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, e successive modifiche alla diversa fattispecie disciplinata dal medesimo D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, che, come già ricordato, incrimina la condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio in quanto tale operazione esegetica comporterebbe una non consentita invalidazione a posteriori del provvedimento amministrativo di espulsione a suo tempo legittimamente adottato che, oltre a non costituire elemento strutturale della fattispecie penale di cui all’art. 13, comma 13, ha esaurito i suoi effetti con l’avvenuta espulsione del cittadino extracomunitario dal territorio dello Stato.

Ciò posto, le argomentazioni del Procuratore generale si rilevano non fondate anche laddove prospettano un contrasto del divieto di reingresso con alcuni principi fissati dalla direttiva.

Il divieto di reingresso non è connotato da alcun automatismo rispetto al provvedimento di espulsione, essendo prevista, sia nella versione normativa antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 129 del 2011 che in quella successiva, la possibilità di appositi provvedimenti ministeriali di deroga e l’attribuzione di specifico rilievo a determinate situazioni legislativamente disciplinate (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13 e successive modifiche).

Inoltre la durata del divieto è graduata in rapporto alle peculiarità del caso concreto, come si desume dalla formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 14, che, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 129 del 2011, imponeva di tenere conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia e, nella formulazione attualmente in vigore, obbliga l’Autorità a tenere conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso.

Con riferimento alla durata del divieto di reingresso il Collegio osserva, in particolare, che mentre prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 129 del 2011, esso operava per un periodo minimo di cinque anni fino ad un massimo di dieci, attualmente, a seguito della novella legislativa che ha doverosamente recepito la direttiva, esso concerne un lasso di tempo compreso fra i tre e cinque anni.

Nel caso concreto, per altro, il reingresso dell’imputato nel territorio dello Stato è stato accertato il (OMISSIS) e, quindi, a distanza di poco meno di tre anni dall’espulsione, avvenuta il 22 novembre 2018. Pertanto, pure dovendosi indubbiamente tenere conto del disposto dell’art. 11, par. 2, della direttiva, che fissa In un massimo di cinque anni la rilevanza penale della condotta di reingresso nel territorio dello Stato in assenza di autorizzazione, è incontestabile che, nella peculiare fattispecie sottoposta all’esame del Collegio, la sentenza impugnata è esente da censure nella parte in cui ha ritenuto che la condotta dell’imputato integrasse, anche sotto questo profilo, il reato contestato.

Sotto tutti questi profili e per le ragioni sinora esposte non sussistono neppure i presupposti per investire la Corte di giustizia delle questioni interpretative prospettate dal Procuratore generale ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *