Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-08-2012, n. 14254

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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma accolse la domanda avanzata dall’XXX (XXX) nei confronti della Regione Piemonte e dell’ASL XXX 15 volta ad ottenere il pagamento della maggiorazione del 2% prevista dalla L. n. 136 del 1991, art. 12, rispettivamente a carico della Regione per gli anni 1992 -1994 e della ASL per gli anni successivi.
Con sentenza del 25.10.2006 – 23.1.2007 la Corte d’Appello di Roma rigettò, per quanto qui specificamente rileva, il gravame proposto dalla sola Regione Piemonte, sul rilievo che il presupposto della maggiorazione previdenziale è rappresentato dalla percezione del corrispettivo della prestazione professionale resa, corrispettivo che deve includere la maggiorazione stessa.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la Regione Piemonte ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.
L’XXX ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
L’intimata ASL XXX (OMISSIS) non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Deve preliminarmente osservarsi l’avvenuta formazione del giudicato interno in ordine alla pretesa svolta nei confronti della ASL XXX (OMISSIS), stante la mancata impugnazione, da parte della medesima, della sentenza di prime cure.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, violazione dell’art. 278 c.p.c. e vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale abbia respinto la doglianza relativa all’avvenuta pronuncia, in prime cure, di una sentenza di condanna generica, laddove doveva ritenersi che, con il ricorso introduttivo del giudizio, fosse stata chiesta una pronuncia di condanna specifica.
Con il secondo motivo, denunciando violazione della L. n. 136 del 1991, art. 12, la ricorrente assume che solo i singoli veterinari dipendenti dovrebbero ritenersi tenuti al versamento all’XXX della maggiorazione in parola.
3. La disamina del secondo motivo si presenta come logicamente prioritaria.
3.1 Le eccezioni di inammissibilità della doglianza sollevate dal contro ricorrente non appaiono fondate.
La formulazione del motivo quale violazione della L. n. 136 del 1991, art. 12 non può infatti dar adito a dubbi sulla riconduzione del mezzo al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il quesito formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile nel caso all’esame ratione temporis ("Dica la Corte se, a norma della L. 12 aprile 1991, n. 136, art. 12, siano i singoli veterinari dipendenti degli enti pubblici a dover versare all’XXX la prevista maggiorazione del 2%"), enuncia la regula iuris, in tesi applicabile alla fattispecie, risolutiva della questione dedotta e, pertanto, risponde a quanto richiesto dalla norma processuale suddetta.
3.2 La questione sollevata con il motivo all’esame presuppone la ricostruzione della disciplina giuridica afferente la debenza e il versamento della maggiorazione in parola.
Secondo un orientamento ermeneutico seguito (anche) dalla giurisprudenza di legittimità (cfr, Cass., n. 9554/2008), ai fini dell’individuazione del soggetto che, ai sensi della L. n. 136 del 1991, art. 12, comma 1, è tenuto a riscuotere e versare la maggiorazione contributiva sui corrispettivi percepiti dai veterinari iscritti negli albi professionali per l’attività professionale e di certificazione prestata a favore di associazioni, enti o soggetti pubblici, sarebbe necessario distinguere a seconda che si tratti di veterinari legati da rapporto di lavoro subordinato con una persona giuridica, nel qual caso "operatore" ai detti fini dovrebbe ritenersi l’ente e non la persona fisica del dipendente, o che si tratti di libero professionista legato all’ente od all’associazione da un rapporto di collaborazione professionale, nel qual caso occorrerebbe fare riferimento in concreto alla convenzione che lega le parti, restando obbligato all’adempimento il soggetto deputato a riscuotere il corrispettivo. Tale orientamento è stato oggetto di successivo ripensamento da parte della giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex pluhmis, Cass., nn. 161/2009; 258/2009), che ha avuto modo di rilevare quanto segue.
A mente della L. n. 136 del 1991, art. 12, comma 1, "A partire dal 1 gennaio dell’anno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, su tutti i corrispettivi percepiti dai veterinari iscritti agli albi professionali per l’attività professionale e di certificazione prestata a favore di associazioni, enti o soggetti pubblici, da veterinari convenzionati con le associazioni o gli enti o i soggetti medesimi, o da essi dipendenti, è dovuta una maggiorazione a carico degli operatori interessati o dei richiedenti.
L’ammontare della predetta maggiorazione dovrà essere versato all’Ente dagli operatori stessi all’atto della liquidazione del corrispettivo della prestazione". Avuto riguardo al criterio di interpretazione legislativa dettato dall’art. 12 disp. gen. e, dunque, facendo riferimento al senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore, deve pertanto rilevarsi che:
– la base imponibile su cui deve essere applicata la maggiorazione in parola è rappresentata dai corrispettivi "percepiti dai veterinari";
– l’oggetto delle prestazioni in relazione alle quali la maggiorazione è dovuta è costituito dall’attività professionale e da quella di certificazione prestata a favore di associazioni, enti o soggetti pubblici;
– i veterinari percettori dei corrispettivi soggetti a maggiorazione sono quelli iscritti agli albi professionali, nonchè quelli convenzionati con associazioni, enti o soggetti pubblici, ovvero dipendenti da questi ultimi;
– i soggetti a carico dei quali è dovuta la maggiorazione sono gli "operatori interessati" (cioè i veterinari) ovvero i richiedenti;
– la maggiorazione in parola dovrà essere versata all’XXX dagli "operatori stessi" (cioè dai veterinari) all’atto della liquidazione del corrispettivo della prestazione.
Se ne ricava, anzitutto, che i corrispettivi di che trattasi sono quelli di spettanza dei veterinari e, quindi, non già quelli dovuti agli enti da cui i veterinari eventualmente dipendano per l’effettuazione di prestazioni rese nell’ambito della loro attività istituzionale. L’attività interessata alla maggiorazione è poi quella "professionale", ossia, secondo il contenuto che tale locuzione generalmente assume, quell’attività consistente in prestazioni rese in regime di autonomia ed autoorganizzazione da parte dell’operatore; che tale sia stata, anche nel caso all’esame, l’intenzione del legislatore, è ricavabile dal successivo comma 5, secondo cui "La maggiorazione di cui al comma 1 non è soggetta all’Irpef e non costituisce reddito professionale" e dal disposto dell’art. 14 della stessa legge, secondo cui "Ai fini della presente legge, per reddito professionale si intende il reddito di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 47, comma 1, nonchè il reddito proveniente dall’attività professionale convenzionata svolta per conto delle associazioni, enti o soggetti di cui all’art. 12, comma 1", laddove il D.P.R. n. 597 del 1973, richiamato art. 49 definisce espressamente il reddito da lavoro autonomo; infatti la precisazione che la maggiorazione di cui al comma 1 non costituisce reddito professionale ha un senso soltanto se la stessa trovi applicazione in relazione ad un corrispettivo costituente reddito professionale e, dunque, "percepito" a seguito dell’espletamento di attività di lavoro autonomo.
L’interpretazione sistematica della norma conferma la suddetta opzione, dovendo considerarsi che il contributo soggettivo obbligatorio (L. n. 136 del 1991, art. 11) gravante sugli iscritti è determinato in una percentuale del reddito professionale e che sia la pensione di vecchiaia che quella di anzianità (così come, del resto, quelle di inabilità e di invalidità) erogate dall’XXX sono liquidate sulla base dei redditi professionali dichiarati dagli iscritti (più specificamente in base alla media dei più elevati dieci redditi annuali professionali risultanti dalle dichiarazioni presentate per gli ultimi quindici anni solari di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione – L. n. 136 del 1991, artt. 2 e 3), cosicchè risulta logico desumere che anche la maggiorazione di cui all’art. 12, comma 1, sia da riferirsi a proventi percepiti nell’ambito di attività di lavoro autonomo e costituenti quindi reddito professionale. Testualmente poi la norma all’esame individua i soggetti su cui grava la maggiorazione negli "operatori interessati", ossia negli stessi veterinari, ovvero nei richiedenti, e non già negli enti dai quali eventualmente i veterinari dipendano.
Ancora, sempre testualmente, tenuti a versare la maggiorazione all’XXX sono gli "operatori", dunque i veterinari a cui spetta il corrispettivo e non già gli enti dai quali eventualmente costoro dipendano.
L’esplicito riferimento testuale alla sussistenza di un rapporto di dipendenza non può ritenersi confliggente con la suddetta interpretazione della norma, nè sostanzialmente superfluo, avendo per contro la funzione di chiarire che la maggiorazione in parola spetta anche sui corrispettivi da attività professionale (dunque autonoma) che i veterinari legati da rapporti di dipendenza siano autorizzati ad espletare (tipica al riguardo l’attività professionale cosiddetta intra od extra moenia).
A diverse conclusioni non può condurre il rilievo che, proprio nell’ambito delle prestazioni intra moenia, i corrispettivi spettanti ai professionisti siano immediatamente incassati dagli Enti di appartenenza, atteso che questi ultimi non sono i creditori degli importi corrisposti, ma soltanto dei destinatari del pagamento (art. 1188 c.c.), che poi riversano al professionista detraendo quanto di loro spettanza per l’uso dei locali, delle attrezzature e quant’altro. Tale essendo l’interpretazione da fornirsi alla normativa in parola, quale ricavabile alla stregua dei principi indicati dall’art. 12 disp. att. c.p.p., deve osservarsi che la stessa risulta altresì in linea con un sistema che, secondo il principio solidaristico, grava di particolari forme di contribuzioni le attività svolte dai soggetti a favore dei quali sono poste le prestazioni previdenziali che l’Ente beneficiario è tenuto a rendere, risultando per contro incoerente la individuazione di una contribuzione collegata a prestazioni rese, per il tramite dei propri funzionari tecnici (nella specie i veterinari dipendenti), direttamente da strutture pubbliche nell’espletamento dei servizi di pubblica utilità loro demandati.
Il difforme disposto dell’art. 7 del Regolamento XXX (laddove prevede il versamento della maggiorazione a cura del datore di lavoro in caso di prestazioni effettuate da lavoratori dipendenti) non può evidentemente fare aggio, per il rispetto del principio della gerarchia delle fonti, sull’inequivoca ricordata disposizione di legge secondo cui tale obbligo di versamento ricade sugli "operatori stessi", cioè sui veterinari a cui è dovuto il corrispettivo costituente la base imponibile, all’atto della liquidazione del corrispettivo della prestazione; così come, per analoghe ragioni, risultano ininfluenti le difformi interpretazioni sulle questioni di che trattasi rese da talune circolari ministeriali.
Va poi rilevato che la suddetta interpretazione si pone sostanzialmente in linea con la ricostruzione della normativa di riferimento già svolta da questa Corte con la pronuncia n. 15232/2000, ove venne specificato che "mediante la L. 12 aprile 1991, n. 136, il legislatore, compiendo una scelta diversa, ha previsto – limitatamente ai veterinari percettori di reddito – un doppio regime di iscrizione; quella obbligatoria, per tutti i veterinari iscritti agli albi professionali che esercitano la libera professione o svolgono attività professionale come lavoratori autonomi convenzionati con associazioni, enti o soggetti pubblici o privati, e quella facoltativa, per i veterinari parimenti iscritti negli albi professionali, ma che esercitano esclusivamente attività di lavoro dipendente, o attività di lavoro autonomo, per le quali siano iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria, oltre che per i soggetti che al compimento del sessantacinquesimo anno di età non possano far valere trenta anni di contribuzione. I primi sono tenuti, ai sensi dell’art. 11 – commi 1, 2 e 3 – e art. 12, al pagamento dei contributi previdenziali, distinti in contributo soggettivo, in misura proporzionale al reddito professionale prodotto nell’anno precedente e, comunque, con un importo minimo di L. 1.500.000 dovuto in ogni caso, anche indipendentemente dai limiti reddituali, e contributo integrativo, parametrato sull’attività professionale e di certificazione; i secondi, pur se fuori dal sistema previdenziale del settore, partecipano ugualmente al suo finanziamento con un contributo di solidarietà anch’esso proporzionale al reddito professionale prodotto nell’anno precedente, a partire da un importo minimo di L 1.000.000 rectius: 100.000 annuo dovuto in ogni caso (art. 11, comma 4, della richiamata legge)".
Questa Corte ha quindi enunciato il principio di diritto secondo cui la maggiorazione di cui alla L. n. 136 del 1991, art. 12, comma 1, è dovuta soltanto sui corrispettivi percepiti dai veterinari nell’esercizio di attività professionale in regime di autonomia, ivi compresa quella intra ed extra moenia espletata dai veterinari dipendenti, e non già anche sui corrispettivi tariffari dovuti direttamente agli enti pubblici per l’erogazioni di prestazioni istituzionali rese attraverso l’impiego di veterinari dipendenti.
Alla stregua delle suesposte considerazioni in diritto, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, il motivo di ricorso all’esame si appalesa fondato.
4. Il primo motivo resta conseguentemente assorbito e, con esso, le eccezioni di inammissibilità svolte al riguardo.
5. In definitiva il ricorso merita accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti fattuali, la controversia può essere decisa con il rigetto della domanda svolta nei confronti della Regione Piemonte.
Il difforme esito dei gradi di merito e la ricordata presenza di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali della normativa di riferimento consigliano la compensazione delle spese afferenti all’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda svolta nei confronti della Regione Piemonte; spese dell’intero processo compensate.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2012

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