Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-08-2012, n. 14248

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. XXX s.p.a. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 9 novembre 2006, che ha rigettato il gravame svolto dalla predetta società avverso la decisione di primo grado di accoglimento della domanda proposta da XXX per il riconoscimento del diritto ad essere trasferito nelle località richieste, previa declaratoria di illegittimità della graduatoria formatasi per la mobilità volontaria in relazione agli accordi aziendali dell7 e del 23 ottobre 2001.
2. XXX aveva agito in giudizio per l’accertamento del diritto all’assegnazione della destinazione prescelta, come previsto dall’accordo di mobilità interaziendale 17.10.2001, in qualità di familiare di soggetto portatore di handicap e conseguente condanna della società a trasferirlo presso le sedi per le quali aveva optato, Avellino, Napoli, Salerno.
3. Per la società, ai fini dell’applicazione dell’accordo di mobilità al personale nei cui confronti trovi applicazione la L. n. 104 del 1992 e successive modificazioni, il predetto rinvio non implicava il richiamo integrale al contenuto normativo della L. n. 104 citata, art. 33 e difettavano, nella specie, il requisito dell’esclusività, inteso come condizione di unica persona in grado di assistere l’invalido con continuità e l’effettiva vacanza del posto nella sede richiesta dal dipendente.
4. La Corte d’appello riteneva, a sostegno del decisum, che:
– il richiamo alla L. n. 104 del 1992 dovesse intendersi come riferito ad una condizione di assistenza continua del soggetto disabile, con interpretazione coerente con la finalità sottesa al titolo di preferenza, il trasferimento su base volontaria presso la sede ove si attuava l’assistenza;
– il beneficio accordato ai dipendenti si fondava sulla fonte contrattuale, gli accordi citati, e la predetta previsione negoziale ove ritenuta applicabile solo ai dipendenti già dediti all’assistenza continua, come previsto dalla legge, sarebbe stata priva di utilità e di effettività;
– comunque, nella specie, il dipendente rappresentava l’unico familiare in grado di garantire presso i genitori la continuità della necessaria assistenza.
5. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la società ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’intimato ha resistito con controricorso eccependo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
6. La parte ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1362 c.c., degli accordi collettivi di mobilità interaziendale del 17-23 ottobre 2001, della L. n. 104 del 1992, art. 33, degli artt. 115 e 116 c.p.c., si duole che l’interpretazione data dalla Corte di merito, ai fini dell’interpretazione del titolo preferenziale per la mobilità volontaria, abbia disatteso lo scopo dell’accordo, di attribuire precedenza ai lavoratori con situazioni assistenziali già in atto, nella specie non provata dal dipendente, e non già di consentire l’avvio di situazioni assistenziali;
denuncia vizio di motivazione per aver la sentenza impugnata fondato sull’esclusività l’assistenza al familiare, ma apprezzato, con motivazione insufficiente, le risultanze istruttorie, in specie le dichiarazioni del dipendente in sede di interrogatorio libero.
7. Osserva la Corte che le censure, per violazione delle disposizioni contrattuali e dei canoni legali di ermeneutica investono l’accordo collettivo di mobilità interaziendale del 17-23 ottobre 2001, senza che risulti osservata la prescrizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), secondo cui, col ricorso per cassazione devono essere depositati, a pena di improcedibilità, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda".
8. Il requisito non appare soddisfatto, atteso che si è omesso di produrre l’accordo collettivo invocato e di precisare in quale sede processuale sia stato eventualmente prodotto nelle fasi di merito, onde consentire alla Corte di legittimità di esaminarlo in questa sede, per effetto della relativa già avvenuta produzione nelle fasi di merito.
9. E’ stato in proposito chiarito, dalla giurisprudenza di questa Corte, che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dal citato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendo ritenersi che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 e ss. c.c. e, in specie, con la regola prevista dall’art. 1363 c.c., atteso che la mancanza del testo integrale dell’accordo collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (cfr., ex multis, Cass. 15495/2009).
10. Nè muta i termini della questione la sentenza delle sezioni unite di questa Corte, che ha sancito che "in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr. Cass., S.U., 22726/2011).
11. Nel caso in esame la società ricorrente si è limitata a richiamare il contenuto delle disposizioni collettive non ottemperando agli oneri appena richiamati.
12. La sentenza è, inoltre, denunciata per vizio di motivazione senza, tuttavia conformare la censura alla regola imposta dall’art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e in vigore fino al 4 luglio 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010).
13. Come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’onere di indicare chiaramente il fatto controverso ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 11094/2009, 8897/2008; SU 20603/2007). Il motivo è, nella specie, totalmente privo di tale indicazione, onde deve dichiararsi rinammissibilità della censura.
14. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore dell’avv. Luigi Z. dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 40,00 (quaranta), oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge, con distrazione in favore dell’avv. Luigi Z. dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2012

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