Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-08-2012, n. 14247

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Firenze confermava la statuizione di primo grado, con cui era stato dichiarato insussistente il credito azionato dall’Inps con la cartella esattoriale nei confronti di XXX srl ed era stato dichiarato il diritto di questa a fruire del beneficio contributivo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 8, commi 2 e 4. La Corte adita affermava preliminarmente la necessità di accertare nella specie se il passaggio del personale assunto da detta società si fosse realizzato, per modalità e tempi, in modo tale da integrare un trasferimento d’azienda, sì da poter ritenere che la riassunzione fosse avvenuta nella "medesima" azienda. Rilevava la Corte che la XXX esisteva dal 1981 ed era operativa del 1988 per cui non era stata costituita ad hoc. La messa in mobilità dei dipendenti da parte della XXX era del maggio 1992, data in cui era cessata l’attività di quest’ultima società, mentre le assunzioni ad opera della XXX erano avvenute tra il settembre ed il dicembre 1992. La XXX aveva poi iniziato una nuova attività, in una sede diversa rispetto a quella della XXX, aveva realizzato nuove strutture mediante nuovi investimenti rilevando solo parte delle attrezzature industriali della XXX: da questi elementi la Corte escludeva che la fattispecie non si potesse configurare come trasferimento d’azienda. Il beneficio richiesto era peraltro preordinato all’incremento della occupazione ed era riservato alle aziende che assumono dalla mobilità, così procurando nuove occasioni di lavoro e aggravando la finanza previdenziale, di talchè il beneficio medesimo deve essere negato solo quanto l’operazione si riveli fittizia. La legge infatti esclude il beneficio quando sia la stessa azienda ad assumere e quindi quando vi sia stato un passaggio ex art. 2112 c.c. oppure quando vi sia coincidenza di assetti proprietari o collegamento societario. Nella specie le trattative svolte con la mediazione di soggetti pubblici escludevano ogni intento fraudolento e dimostravano la effettiva cessazione dell’attività da parte dell’azienda di provenienza ed una diversa organizzazione aziendale della società che aveva proceduto all’assunzione a cui peraltro non era tenuta, in ragione dell’effettiva frattura cronologica e sostanziale tra la fase di cessazione della R. e quella di inizio della nuova attività da parte della XXX.
Avverso detta sentenza l’Inps ricorre con tre motivi.
Resistono con controricorso la XXX ed XXX spa con controricorso. La XXX ga abcge depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo l’Inps lamenta difetto di motivazione per la mancata considerazione di elementi che starebbero a dimostrare l’esistenza del trasferimento d’azienda.
Con il secondo motivo si denunzia ancora difetto di motivazione per avere ritenuto provata la cessazione della XXX e la novità della nuova iniziativa imprenditoriale stante il succedersi degli avvenimenti e stante le trattative svolte tramite soggetti pubblici.
Con il terzo motivo, si denunzia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4 bis, giacchè il beneficio sarebbe precluso da assetti societari coincidenti.
Il ricorso non è fondato.
La controversia impone una attenta disamina della normativa che viene in applicazione.
1. La L. n. 223 del 1991, art. 8 concede il beneficio della decontribuzione per cui è causa "Al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità…".
Se ne deduce che nel caso di assunzione di tale categoria di lavoratori, il beneficio compete anche nei casi in cui chi assume i lavoratori in mobilità sia "tenuto" all’assunzione", purchè l’obbligo di assunzione non discenda dalla previsione del primo comma dell’art. 8.
Il fatto quindi che chi procede all’assunzione non lo faccia "spontaneamente", ma vi sia invece "tenuto" non preclude di per sè il beneficio, che compete quindi anche quando questi ne sia obbligato, come ad es. nel caso di trasferimento d’azienda ex art. 2112 cod. civ..
L’unico caso in cui il beneficio è escluso (art. 8, comma 1), questo è il tenore insuperabile della legge, attiene al caso in cui il datore che assume, ne sia tenuto in forza di una disposizione specifica, ossia in forza del diritto di precedenza nell’assunzione che hanno i lavoratori licenziati.
Se il legislatore avesse inteso riservare il beneficio ai soli di casi di assunzione spontanea dei lavoratori in mobilità, avrebbe escluso i datore che vi fossero semplicemente "tenuti", senza circoscrivere la disposizione di esclusione facendo riferimento al primo comma dell’art. 8.
I lavoratori in mobilità hanno infatti questo diritto di precedenza ai sensi della L. n. 264 del 1949, art. 15 giacchè la norma dispone al comma 6 che " I lavoratori licenziati da un’azienda per riduzione di personale hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro un anno "ed è noto che il relativo termine è stato ridotto a sei mesi dal D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297, art. 6, u.c.. La riduzione del termine stabilisce un più efficace bilanciamento tra le esigenze antielusive e quelle di promozione dell’occupazione.
Ma. si badi, l’obbligo di precedenza nell’assunzione in capo ai lavoratori licenziati vale nel termine di legge "presso la medesima azienda". Non vale perciò nei confronti del cessionario dell’azienda.
2. D’altra parte ciò è coerente con le regole in tema di trasferimento d’azienda. Infatti il cessionario è obbligato all’assunzione solo dei lavoratori che sono in forza presso l’azienda ceduta prima del trasferimento, mentre non ha nessun obbligo nei confronti di coloro il cui rapporto con il cedente era già cessato anteriormente (cfr. Cass. 2 marzo 1995 n. 2417).
Il medesimo principio è stato più volte confermato dai Giudici dell’Unione Europea. Ad es. con la sentenza del 26 maggio 2005, n. 478 nel procedimento C-478/03 la Corte di giustizia ha ricapitolato il proprio precedente percorso interpretativo in questi termini: "a) come già stabilito (in particolare, sentenze 25 luglio 1991, in causa C-362/89, D’Urso punto 9, e 12 novembre 1998, in causa C- 399/96, Europieces, punto 37), la direttiva 77/187 mira ad assicurare il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento d’imprenditore permettendo loro di restare al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni di quelle pattuite con il cedente; b) lo scopo della detta direttiva è quello di garantire, per quanto possibile, la continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, senza modifiche, col cessionario, onde impedire che i lavoratori interessati si trovino in una situazione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (sentenza 17 dicembre 1987, in causa C-287/86, Ny Melle Kro, punto 25); c) a tal fine l’art. 3, n. 1, della direttiva 77/187 comprende i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento".
3. Si deve allora concludere che l’assunzione di lavoratori in mobilità effettuata dal datore di lavoro che vi era "tenuto" in forza del trasferimento d’azienda, non preclude il beneficio della decontribuzione, posto che il cessionario dell’azienda non è obbligato a rispettare il diritto di precedenza, che sorge in capo ai dipendenti collocati in mobilità, diritto che costoro possono vantare esclusivamente nei confronti del datore che li ha licenziati.
4. Ne consegue che la esclusione del diritto alla decontribuzione opera solo se si ritiene che il cessionario sia "la stessa azienda" che ha collocato i lavoratori in mobilità, perchè in tal caso, "la stessa azienda" è tenuta all’assunzione ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 1, mentre ciò non ricorre necessariamente in caso di trasferimento d’azienda, in cui la nuova iniziativa imprenditoriale viene implementata da altri elementi che ne modificano funditus la fisionomia rispetto a quella preesistente.
Invero, come sottolineato da alcuni commentatori, la norma che nega il diritto alla decontribuzione all’azienda che assuma il personale di una azienda decotta, incamerando in parte o totalmente i suoi beni e attrezzature, incrementandoli però di altri strumenti, sì da configurare una realtà produttiva nuova ed autentica, potrebbe disincentivare valide iniziative imprenditoriali, effettivamente finalizzate alla salvaguardia di un rilevante numero di posti di lavoro e supportate da congrui investimenti.
Si deve quindi concludere che, purchè non debba riconoscersi la prosecuzione senza soluzione di continuità degli originari rapporti di lavoro, non vi è alcuna disposizione che impedisca ad un nuovo imprenditore di riattivare un’azienda dismessa, legittimamente fruendo dei benefici in questione qualora assuma i lavoratori in mobilità, in quanto comunque produttore di nuova occupazione e di nuove strutture economiche.
Mentre il beneficio non spetta se si tratti di operazione puramente fittizia preordinata solo a fruire indebitamente della agevolazioni (cfr. in tal senso Cass. n. 17071 del 03/08/2007 e n. 16444 del 03/11/2003).
Va quindi affermato il principio di diritto per cui "la L. n. 223 del 1991, art. 8 concede il beneficio della decontribuzione per cui è causa "Al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità…". Se ne deduce che nel caso di assunzione di tale categoria di lavoratori, il beneficio compete anche nei casi in cui chi assume i lavoratori in mobilità sia "tenuto" all’assunzione", purchè l’obbligo di assunzione non discenda dalla previsione dell’art. 8, comma 1. La decontribuzione compete quindi anche al cessionario dell’azienda che assuma i lavoratori collocati in mobilità da parte dell’azienda cedente, in quanto il cessionario medesimo non è tenuto ad osservare l’obbligo di precedenza nelle assunzioni prescritto al comma 1, art. 8, essendo invece obbligato ad assumere solo i lavoratori ancora in forza presso l’azienda cedente".
Poichè la XXX aveva aperto la nuova attività in una sede diversa da quella ove operava la XXX, aveva realizzato nuove strutture mediante nuovi investimenti rilevando solo parte delle attrezzature industriali della XXX, poichè quest’ultima era effettivamente cessata in via definitiva e l’operazione aveva ricevuto la mediazione ad opera di soggetti pubblici, si deve concludere che la sentenza impugnata s è attenuta ai principi sopra indicati.
Non sono quindi ravvisabili i dedotti difetti di motivazione, nè vi è violazione della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4 bis (anche a ritenerlo operativo ratione temporis) non risultando l’esistenza di assetti proprietari coincidenti tra le due società.
Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese della XXX sono a carico dell’Inps, mentre si compensano le spese della Cerit.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese a favore della XXX liquidate in Euro 40,00, oltre cinquemila Euro per onorari ed oltre spese generali Iva e CPA. Compensa le spese tra l’Inps e la Cerit.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2012

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