Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 18-03-2013, n. 12593

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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 27/07/2012, il Tribunale di Reggio Calabria, decidendo a seguito di annullamento con rinvio da parte di questa Corte della precedente ordinanza resa dal medesimo Tribunale in data 24/02/2011: a) ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame presentata da F.D. in relazione all’ordinanza applicativa della misura custodiate con riferimento al reato associativo e all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv. con L. n. 203 del 1991, dal momento che lo stesso giudice, accogliendo l’appello cautelare della difesa, aveva in precedenza disposto la scarcerazione del ricorrente per insussistenza della gravità indiziaria; b) ha confermato il titolo custodiate nel resto, ossia con riferimento al reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies conv. con L. n. 356 del 1992.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha rilevato che: a) non è facile reperire soggetti "puliti e fidati" ai quali intestare le attività commerciali e i beni immobili; b) ai fini della ricorrenza del dolo specifico di elusione è solo necessario che interessato operi con tale finalità, potendo fondatamente presumere l’inizio di una procedura di prevenzione ai suoi danni, mentre appare irrilevante che la situazione di apparenza creata sia idonea sul piano oggettivo ad eludere con certezza l’applicazione di eventuali misure di prevenzione; c) che il F., oltre ad essere fratello di F. G., attinto da diversi titoli custodiali per reati in materia di criminalità organizzata, in quanto capo del locale di "ndrangheta di XXX, e cugino di F.V., pluricondannato all’ergastolo per svariati omicidi commessi durante la seconda guerra di mafia, era stato indiziato di appartenere ad associazione di tipo mafioso (la data di iscrizione nel registro degli, indagati risale al 2006), talchè aveva motivo di temere l’avvio nei suoi confronti di una procedura per l’applicazione di una misura di prevenzione; che le presunzioni di legge comportano l’estensione delle indagini ai soggetti indicati nella L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3, ma non implicano l’automatica estensione del provvedimento al patrimonio di questi ultimi; d) che, pertanto, l’appartenenza dei beni a terzi comunque comporta un’evidente maggiore difficoltà di aggredire tali patrimoni, per cui non appare inutile l’intestazione fittizia nei loro confronti; e) che la dedotta finalità di eludere le ragioni dei creditori, in considerazione dello stato di decozione del F., culminato con la sentenza datata 08/07/2008, era irrilevante, potendo le finalità perseguite dall’agente concorrere.
2. Nell’interesse del F. è stato proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) e e), violazione degli artt. 627 e 23 cod. proc. pen. e della L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies per avere il Tribunale eluso nella propria motivazione la questione degli elementi fatturali idonei a dimostrare la sussistenza del dolo dell’agente. In particolare, l’ordinanza non aveva illustrato le ragioni per le quali si era ritenuto che la condotta del F. sottendesse il perseguimento di uno scopo di elusione delle conseguenze di una procedura di prevenzione, attesa l’irrilevanza dei meri rapporti parentali con soggetti coinvolti in vicende processuali, relative a fatti assai risalenti nel tempo, e la significatività del fatto che egli era sempre rimasto estraneo a tali vicende. Peraltro, le attività di traslazione delle due società erano intervenute nel 2005, mentre egli era stato iscritto nel registro degli indagati nel 2006. Il Tribunale, inoltre, non aveva considerato che il F. perseguiva altro scopo, quello di eludere gli accertamenti di un imminente procedimento fallimentare, e si era affidato, per giungere alle proprie conclusioni, ad argomenti congetturali privi di riscontro processuale, quale la difficoltà di trovare soggetti "puliti e fidati" cui intestare le attività commerciali, trascurando di considerare la portata della L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. Va ribadito che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v., ad es., Sez. 6, n. 42028 del 04/11/2010, Regine, Rv.
248738), in tema di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio non è obbligato ad esaminare solo i punti specificati nella sentenza rescindente, isolandoli dal residuo materiale probatorio, ma mantiene, nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione dei dati, nonchè il potere di desumere, anche sulla base di elementi prima trascurati, il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con l’unico limite di non ripetere i vizi già censurati in sede di giudizio rescindente e di conformarsi all’interpretazione ivi data alle questioni di diritto.
3. La sentenza di questa Corte che ha disposto l’annullamento con rinvio, muovendo dalla premessa che il legislatore, nel delineare la fattispecie incriminatrice contestata al ricorrente non esclude i parenti dal novero dei soggetti in favore dei quali può intervenire l’illecito trasferimento, ha demandato al Tribunale il compito di verificare l’esistenza di dati fattuali aggiuntivi idonei a far ritenere che il trasferimento potesse sortire l’effetto sperato.
4. I fatti contestati al F. riguardano la fittizia intestazione alla moglie Q.B. dell’attività imprenditoriale esercitata dalla XXXs.a.s. di XXX e del 50% delle quote della s.n.c XXX. Sul carattere fittizio dell’intestazione non v’è discussione.
5. La prima censura svolta nel ricorso riguarda l’asserita mancata dimostrazione dell’esistenza delle condizioni perchè il ricorrente potesse percepire l’eventuale, possibile avvio di un procedimento di prevenzione.
Sul punto, l’ordinanza impugnata ha fornito delle giustificazioni che, agganciate come sono alle plurime risultanze processuali rivelatrici dell’esistenza di un collegamento, sia pure al livello indiziante richiesto dalla fattispecie in esame, non meramente fondato su rapporti di parentela del ricorrente alla cosca XXX – XXX, si sottraggono alle censure di apoditticità.
Il carattere risalente del coinvolgimento dei parenti del ricorrente viene valorizzato dal provvedimento impugnato per sostenere il radicamento del clan nella realtà criminale e per giustificare una preoccupazione non fondata su episodiche manifestazioni delittuose.
Per questa ragione, l’intrinseca logicità dell’apparato argomentativo non è incrinata dal fatto, sottolineato in ricorso, che l’attività di traslazione delle quote di partecipazione risale al 2005, mentre l’iscrizione nel registro degli indagati è successiva. Infatti, l’esistenza di una finalità elusiva non presuppone l’avvio formale di un procedimento e, in concreto, è stata dall’ordinanza impugnata agganciata a ben diversi dati fattuali.
Quanto all’esistenza di una causale alternativa, a tacer dell’indimostrata esistenza nel 2005 di uno stato di decozione, che si sarebbe cristallizzato solo nel 2008 con la menzionata sentenza dichiarativa di fallimento, resta il rilievo che, in ogni caso, l’accertamento – si ribadisce fondato su una valutazione del compendio istruttorio non manifestamente illogica – dell’esistenza della finalità elusiva delle disposizioni in materia di misure di prevenzione rende priva di rilievo la sussistenza di altri obiettivi eventualmente perseguiti in modo concorrente dal ricorrente.
6. Al rigetto dell’impugnazione, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2013

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