Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-08-2012, n. 14241

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Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Napoli, B.V. esponeva di aver lavorato alle dipendenze della s.r.l. XXX, operante nel settore vigilanza privata, del 24 marzo 1990 al 21 maggio 2005, quando veniva licenziato a seguito di due contestazioni disciplinari, datate rispettivamente 5 aprile e 22 aprile 2005.
Con la prima la società datrice di lavoro gli contestava di essere stato visto da alcuni colleghi il 1 aprile 2005 alle ore 11.00, mentre era assente dal lavoro per malattia, presso la Mostra d’Oltremare di Napoli, mentre era in corso un meeting sulXXX organizzato dalla CNS, sotto lo stand allestito dalla XXX, in compagnia della moglie e del figlio. Con la seconda contestazione XXX s.r.l., contestava al ricorrente che in data 17 novembre 2004, episodio da porsi in relazione con la precedente contestazione, il B. avrebbe partecipato ad una riunione sindacale per la risoluzione di una grave crisi aziendale ed occupazionale scaturita dalla risoluzione anticipata del contratto di appalto del servizio di guardiania affidato alla XXX, siglando in nome e per conto di tale Società un accordo sindacale.
Il ricorrente presentava le sue giustificazioni, ma con lettera del 17 maggio 2005, veniva licenziato.
Tanto premesso, il ricorrente, con riferimento alla lettera di contestazione del 22 aprile 2005, ne deduceva la genericità, per non essere state indicate le circostanze specifiche che portarono la società a venire a conoscenza dei fatti contestati, avvenuti nel novembre 2004. Quanto alla contestazione del 5 aprile 2005, deduceva di essere stato assente dal lavoro per malattia, consistente nell’acutizzarsi di una situazione di ipertensione arteriosa, e di essersi recato presso la Mostra d’Oltremare, dove si teneva una pubblica rappresentazione, per distrarsi in compagnia della moglie e del figlio, che partecipavano alla manifestazione quali collaboratori della Società XXX.
In ordine alla contestazione del 22 aprile affermava inoltre di aver sottoscritto il verbale sindacale in qualità di procuratore speciale, e dunque in virtù di un potere conferitogli per quello specifico atto da sua sorella, amministratrice della XXX.
Affermava comunque che la XXX svolgeva attività non concorrenziale rispetto a quella espletata da XXX s.r.l., in quanto si occupava di attività di portierato e guardiania non armata, mentre la resistente svolgeva attività di vigilanza armata.
Deduceva infine la sproporzione della sanzione rispetto ai fatti contestati.
Chiedeva dunque al Tribunale di: dichiarare l’inefficacia e/o l’illegittimità delle sanzioni disciplinari conservative impugnate;
accertare e dichiarare l’inefficacia e/o l’illegittimità del licenziamento intimatogli e conseguentemente emettere ordine di reintegra nel posto di lavoro, con condanna della resistente al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento e fino alla reintegra, con ricostituzione della posizione contributiva.
Si costituiva XXX s.r.l., contestando tutte le avverse domande e relative argomentazioni.
Escussi numerosi testi, il Tribunale di Napoli, ritenendo non provati i fatti posti a fondamento del licenziamento, lo annullava, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.
Proponeva appello la società; resisteva il B..
Con sentenza depositata il 21 agosto 2009, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza impugnata, respingeva la domanda proposta dal B., che qui propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste la società XXX con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla prova dei fatti addebitatigli con la lettera di contestazione del 5 aprile 2005.
Lamentava in particolare che i testimoni escussi, di cui riportava alcuni brani, avevano smentito la circostanza. Il motivo è inammissibile per richiedere alla Corte un riesame delle risultanze istruttorie, senza neppure specificare le ragioni per cui la Corte di merito avrebbe errato nella ricostruzione dei fatti.
Giova al riguardo rammentare che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274;
Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500;
Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla prova dei fatti addebitatigli con la lettera di contestazione del 22 aprile 2005.
Lamentava che "le deposizioni dei testi V. e B. avevano confermato la prospettazione offerta dal B." (pag.
31 ricorso), laddove il giudice di merito si era limitato a ritenere i testi inattendibili.
Anche tale motivo è inammissibile.
A tal riguardo occorre rimarcare la violazione del principio di autosufficienza del ricorso, posto che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione (o quanto meno all’indicazione della loro esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, Cass. sez, un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915).
Il ricorrente, inoltre, non spiega adeguatamente per quali ragioni la ricostruzione dei fatti, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, sia erronea.
3. Con il terzo motivo il B. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 "non potendosi considerare ai fini della recidiva sanzioni disciplinari conservative adottate ma non applicate". Si duole il ricorrente che ai fini della recidiva può tenersi conto solo delle sanzioni applicate e non già delle sanzioni, pur adottate, ma non applicate. Il motivo è infondato.
Ai fini della recidiva contestata, ben può il datore di lavoro tener conto delle sanzioni disciplinari adottate (e non solo delle relative contestazioni), non rilevando, in assenza di una chiara volontà di rinuncia all’esercizio del potere sanzionatorio o di revoca della sanzione, che di fatto esse siano state o meno effettivamente eseguite. Quel che al riguardo rileva, invero, è che la sanzione, dopo la contestazione e le difese del lavoratore, sia stata adottata, risultando invece irrilevante, specie nelle sanzioni conservative di modesta entità, che esse siano poi state in concreto applicate, in assenza di prova, gravante sul lavoratore, di revoca delle stesse.
Deve peraltro evidenziarsi che ai fini disciplinari, la recidiva, per sua stessa natura, presuppone non solo che un fatto illecito sia posto in essere una seconda volta, ma che lo sia stato dopo che la precedente infrazione sia stata (quanto meno) contestata formalmente al medesimo lavoratore; ove tale contestazione per la precedente infrazione sia mancata, e non sia pertanto configurabile la recidiva, la reiterazione del comportamento, che si ha per effetto della mera ripetizione della condotta in sè considerata, non è comunque irrilevante, incidendo sulla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, che, essendo ripetuto nel tempo, realizza una più intensa violazione degli obblighi del lavoratore e può, pertanto, essere comunque sanzionato in modo più grave (Cass. 20 ottobre 2009 n. 22162).
A tali principi si è attenuta la motivazione della Corte di merito (pag. 8 sentenza), non oggetto di specifica censura sul punto.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 quanto alla genericità della lettera di contestazione del 22 aprile 2005, lamentando che la Corte di merito non aveva considerato che in tale missiva la società non aveva affatto indicato le circostanze che l’avevano portata a conoscere i fatti disciplinarmente rilevanti solo qualche giorno prima della contestazione, impedendogli così di contestare la tardività della reazione disciplinare.
Il motivo è infondato, non essendo affatto necessario, al fine di contestare la tardività della contestazione, che il lavoratore sia posto a conoscenza delle fonti informative aziendali, essendo l’eccezione di tardività formulabile a prescindere da tale circostanza, gravando sul datore di lavoro la prova delle tempestività della contestazione.
5. Il ricorso deve in definitiva rigettarsi.
Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2012

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