Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 18-03-2013, n. 12579

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 18/10/2011, per quanto ancora rileva, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di D.M. e S.R. in ordine al reato di cui al capo G) perchè estinto per intervenuta prescrizione e ha rideterminato le pene irrogate dal G.u.p. del Tribunale di Trani con la sentenza del 09/06/2003.

La Corte territoriale ha disatteso l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal coimputato C.P., nell’interrogatorio svoltosi prima dell’entrata in vigore della L. n. 63 del 2001, e delle dichiarazioni rese contra se dagli imputati in sede di interrogatorio senza l’avvertimento di cui all’art. 63 cod. proc. pen., in quanto nel giudizio abbreviato il giudice decide sulla base degli atti legittimamente confluiti nel fascicolo del P.M. Inoltre, la Corte d’Appello ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità, per violazione dell’art. 63 cod. proc. pen., delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dai clienti delle agenzie automobilistiche nei confronti dei ricorrenti, titolari e/o gestori delle stesse, ritenendo che i primi non dovessero essere sentiti sin dall’inizio del loro esame in qualità di indagati. In particolare, si è rilevato che si era proceduto ad escussione a s.i.t. a campione di 44 persone dall’elenco nominativo relativo a tutte le persone che nel 1996 avevano proceduto al rinnovo della patente di guida: il fatto che solo parte di loro avesse dichiarato di avere ottenuto il rilascio o il rinnovo del titolo abilitativi senza essersi sottoposto a visita medica dimostrava, secondo la sentenza impugnata, che il sistema illecito non era generalizzato, con la conseguenza che, al momento della delega d’indagine del P.M. al NORM dei Carabinieri di (OMISSIS), anche per il fatto che nessun imputato aveva indicato il nominativo dei clienti interessanti, non vi erano elementi indiziari a carico di singoli utenti delle agenzie.

La Corte d’Appello ha aggiunto che le censure di merito contenute negli atti di appello erano generiche, in quanto sostanzialmente ripropositive delle argomentazioni già vagliate dal giudice di prime cure, che aveva posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità degli imputati la chiamata in correità del C. – non investita nella valutazione di credibilità soggettiva e di intrinseca coerenza da alcuna censura -, riscontrata dalle sostanziali ammissioni di responsabilità degli stessi imputati e dalle dichiarazioni rese a s.i.t. da alcuni dei clienti, i quali, in alcuni casi, avevano fatto espressamente il nome del titolare, mentre, in altri casi, avevano indicato l’agenzia presso cui si erano recati, senza essere in grado di individuare le persone con cui avevano trattato la pratica. La Corte territoriale ha aggiunto che, anche in queste ultime ipotesi, la lacuna era agevolmente colmabile sia per effetto del contenuto individualizzante della chiamata in correità del C., sia per effetto delle ammissioni di responsabilità degli imputati, che, con particolare riguardo alle posizioni del D. e del S., elidevano ogni dubbio legato alla forma societaria dell’agenzia. Con riguardo, infine alla posizione del D’., la Corte ha precisato che i certificati di cui al capo C6 dovevano ritenersi emessi successivamente al momento in cui il primo aveva aderito al sistema delittuoso in concorso con il coimputato D.C. e che era irrilevante il fatto che il D’. avesse dichiarato di avere trattato esclusivamente con il C..

2. Avverso tale sentenza sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione nell’interesse del S., con riferimento al capo C5, del D., con riferimento al capo C7, del D’., con riferimento al capo C6. Tali ricorsi, con una puntualizzazione che riguarda il D’. e di cui si dirà nel prosieguo, censurano la sentenza in relazione alle stesse argomentazioni giuridiche, per cui, per ragioni di comodità espositiva, esse verranno trattate congiuntamente.

2.1. In particolare, vengono proposti i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 111 Cost., comma 6 per assenza di argomentazioni in ordine ai motivi di appello proposti in relazione alla eccepita inutilizzabilità ex art. 63 c.p.p., commi 1 e 2, delle dichiarazioni rese a s.i.t. dei clienti delle agenzie automobilistiche e in ordine alla riqualificazione giuridica del fatto contestato ai sensi degli artt. 110 e 489 cod. pen., con conseguente declaratoria di intervenuta prescrizione;

b) motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione alle critiche formulate negli atti d’appello, con riguardo agli stessi profili ricordati sub a);

c) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 191 e 526 c.p.p., art. 63 c.p.p., commi 1 e 2, sempre con riferimento ai medesimi profili;

d) violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 1, art. 533 c.p.p., comma 1, e vizio di motivazione, per travisamento del fatto, in quanto il giudice di secondo grado, limitandosi ad una motivazione apparente e per relationem, aveva attribuito alle dichiarazioni degli informatori e degli imputati un contenuto diverso rispetto al dato letterale e non aveva considerato le alternative ricostruzioni dei fatti prospettate dai ricorrenti.

2.2. Con riguardo alla posizione del D’. si prospetta, infine, la specifica doglianza relativa all’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per difetto di correlazione tra l’imputazione (falso ideologico commesso dal D.C. e richiesta del documento falso da parte del D’.) e fatto per cui era intervenuta condanna (concorso materiale nel reato di formazione di un atto falso commesso dal C.), dal momento che il giudice, pur avendo rilevato la diversità del fatto commesso dall’imputato rispetto a quello contestato sub C6, non aveva disposto la trasmissione degli atti al P.M. ai sensi dell’art. 521 c.p.p., comma 2.

Motivi della decisione

1. In difetto di evidenti cause di inammissibilità dei ricorsi, va dato atto dell’estinzione dei reati per effetto della prescrizione intervenuta in relazione a tutti i fatti contestati agli imputati e risalenti al 1997. Al riguardo, deve rilevarsi che, come emerge dalla memoria del P.M. del 19/12/2002 (pag. 11), anche il certificato rilasciato in favore di Ci.Pa. e di cui al capo C6, non risale, come per errore materiale indicato nel capo di imputazione, al giorno (OMISSIS) ma al giorno (OMISSIS).

Va subito rilevato, al riguardo, che l’intervenuta prescrizione dei fatti così come contestati priva di interesse i ricorrenti a coltivare i motivi di impugnazione che aspiravano a raggiungere tale risultato attraverso una diversa qualificazione delle condotte, Agli effetti penali, la sentenza va, pertanto, annullata senza rinvio, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. a).

2. Ciò posto, attesa la presenza della parte civile, occorre scrutinare i vizi lamentati dai ricorrenti.

2.1. Con riferimento alle censure sopra riassunte sub a), b) e c), deve rilevarsi che, secondo il costante orientamento di questa Corte (v., al riguardo, Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, Di Paola, Rv.

253510), l’inutilizzabilità assoluta nei confronti di terzi, prevista dall’art. 63 c.p.p., comma 1 per le dichiarazioni rilasciate da persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagato o imputato, è subordinata, in ogni caso, alla condizione che il dichiarante sia colpito da indizi in ordine al medesimo reato ovvero al reato connesso o collegato attribuito al terzo ed è finalizzata ad impedire che l’utilizzazione di dette dichiarazioni possa risolversi, comunque, sia pure indirettamente, in un possibile nocumento nei confronti di chi le ha rese.

Nella specie, la Corte territoriale, con adeguata motivazione in fatto, ha ritenuto che, nel momento in cui era intervenuta la delega per l’escussione a s.i.t. dei clienti delle agenzie automobilistiche, non vi erano elementi indiziar a carico di questi ultimi, dal momento che nessuno degli imputati aveva riferito alcun nome.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 63 c.p.p., comma 1, essa, oltre a trarre fondamento da una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio, nella misura in cui pretende di dimostrare, attraverso una generica espressione dei clienti interessati, la loro consapevolezza dell’illiceità penale del loro agire, non considera che le dichiarazioni rese dopo tali espressioni sono sostanzialmente prive di decisività nelle argomentazioni che hanno condotto la Corte d’Appello a raggiungere le proprie conclusioni.

2.2. Inammissibile è poi la censura, riassunta sub d, che concerne la ricostruzione operata dalla Corte del significato delle dichiarazioni raccolte, alla quale i ricorrenti oppongono, inammissibilmente in questa sede, una diversa, alternativa valutazione delle prove.

Al riguardo, va ribadito che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte).

2.3. Quanto al motivo concernente la specifica posizione del D’. e sopra riassunto sub 2.2. del "Ritenuto in fatto", le argomentazioni della Corte territoriale, che richiamano integralmente le considerazioni del giudice di primo grado, esprimono nel loro nucleo essenziale una adeguata valutazione di inesistenza di rilevanti scostamenti tra il fatto contestato e quello ritenuto.

A tal proposito, va ricordato che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Sez. un., 15 giugno 2010, n. 36551, Carelli, Rv. 248050 e, di recente, Sez. 3, n. 36817del 14/06/2011, T.D.M., Rv, 251081) – in tema di correlazione tra accusa e sentenza, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (artt. 516 e 522 c.p.p.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicchè non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato. In altri termini, poichè la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi.

3. In conclusione, vanno confermate le statuizioni civili già rese.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè estinti per prescrizione i reati addebitati. Conferma le statuizioni civili già rese.

Così deciso in Roma, il 4 febbrai 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2013

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