Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 06-03-2013, n. 10433

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 24 maggio 2012 il G.u.p. del Tribunale di Roma dichiarava il non luogo a procedere nei confronti di G. M. e M.E. per i reati loro rispettivamente ascritti di diffamazione a mezzo stampa e omesso controllo commessi in relazione al contenuto dell’articolo "La struttura Delta" comparso sull’edizione dell’11 febbraio 2011 del quotidiano "XXX" e per il quale aveva proposto querela S.A. ritenendolo lesivo del proprio onore.
2. Avverso la sentenza ricorre a mezzo del difensore e procuratore speciale la parte civile S.A. articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 51 c.p. e vizi motivazionali della sentenza impugnata in merito alla ritenuta sussistenza dell’esimente del diritto di critica politica, osservando in proposito come il brano dell’articolo oggetto di querela in realtà non conteneva alcuna valutazione personale del suo autore, bensì riportava la notizia di un fatto e cioè che nel corso dell’indagine relativa al fallimento dell’XXX di C.L. sarebbe emerso come il S., all’epoca direttore di XXX, si sarebbe prestato insieme ad altri alla manipolazione dell’informazione e dei palinsesti della rete pubblica al fine di favorire gli interessi politici dell’allora premier B. S.. Notizia che per quanto riguarda il querelante sarebbe invero destituita di fondamento, atteso che il S. non è mai stato coinvolto nella suddetta indagine, mentre le risultanze delle intercettazioni oggetto di altro procedimento relativo ai suoi contatti con il suddetto B. – pure evocate dalla sentenza – non solo avevano oggetto affatto diverso (concernendo la mera segnalazione di alcune attrici da parte del premier), ma altresì sono state ritenute penalmente irrilevanti, tanto che il menzionato procedimento è stato archiviato. E la falsità della notizia non sarebbe stata considerata dal giudice romano nemmeno nell’ottica del riconoscimento dell’esimente erroneamente prospettata, la cui affermazione comunque non poteva prescindere dalla verifica della verità del nucleo essenziale del fatto sul quale la presunta critica si sarebbe innestata, risultando immotivata in tal senso la classificazione come marginale inesattezza operata dalla sentenza dell’indebito accostamento del nome del S. alla citata indagine su XXX. 2.2 Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce invece la violazione di norme processuali ed ulteriori vizi motivazionali, lamentando l’inutilizzabilità delle già menzionate intercettazioni che pure avrebbero riguardato il querelante e che sono state spese per fondare il giudizio di sostanziale veridicità dei fatti riportati nell’articolo. In proposito il ricorso evidenzia come di tali intercettazioni, all’esito dell’archiviazione del procedimento in cui erano state eseguite, fosse stata disposta la distruzione e che comunque le stesse, fermo il divieto di cui all’art. 270 c.p.p., non potevano comunque essere utilizzate in procedimenti diversi da quello in cui erano state generate. Nè rileverebbe in senso contrario che il loro contenuto era stato divulgato dalla stampa prima dell’emanazione dell’ordine di distruzione ovvero che la sentenza impugnata, in realtà, a tale circostanza e non alle intercettazioni in sè faccia riferimento, atteso che la verità del fatto oggetto di critica non potrebbe ritenersi provato sulla base degli articoli di stampa che avevano riportato il contenuto delle conversazioni intercettate.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1 Come si evince dal testo della sentenza impugnata – ed invero dallo stesso ricorso – l’articolo in contestazione contiene un’articolata critica sulle presunte indebite influenze esercitate dall’allora presidente del consiglio sulla televisione pubblica. Ed è dunque alla luce del contesto in cui erano inserite che il giudice doveva correttamente valutare la natura delle frasi oggetto della querela proposta dal S., al fine di verificare l’eventuale sussistenza delle esimenti tipicamente connesse con l’attività giornalistica.
L’esito di tale valutazione appare sorretto da motivazione non manifestamente illogica e per l’appunto coerente con le risultanze probatorie, atteso che – come sostenuto dal giudice del merito – le suddette frasi, nel sintetizzare rievocandole e collegandole notizie già note, possono effettivamente essere considerate come l’enfatizzazione in chiave di critica politica del dato oggettivo dei contatti intrattenuti da alcuni dirigenti della XXX con l’ex premier.
1.2 Ed in effetti la censura mossa dal ricorrente – per la parte in cui non si risolve, dietro lo schermo della denuncia della violazione della legge sostanziale, nella mera sollecitazione rivolta a questa Corte a procedere ad un non consentito riesame del merito – si riduce sostanzialmente alla lamentela dell’indebito accostamento del nome del S. alle indagini penali svolte a seguito del fallimento della XXX. Ma anche su questo punto, alla luce del compendio probatorio acquisito, non appare manifestamente illogico – nè tantomeno contraddittorio – il percorso argomentativo attraverso cui la sentenza giunge alla conclusione trattarsi di una (indubbia) inesattezza, ma ininfluente in quanto di per sè inidonea a compromettere l’aderenza alla verità del nucleo essenziale della notizia su cui si è innestata la critica svolta dal G..
2. E non meno fondate risultano le doglianze avanzate con il secondo motivo di ricorso e tese ad evidenziare l’inutilizzabilità di quel compendio probatorio dal quale il giudice ha tratto la sua convinzione.
E’ infatti lo stesso ricorrente a precisare come oggetto di produzione non siano state le intercettazioni, di cui nel frattempo nel procedimento in cui erano state effettuate era stata ordinata la distruzione, bensì gli articoli di stampa – redatti prima dell’emanazione di tale ordine – che ne riportavano il contenuto, che non sono oggetto di alcun divieto di utilizzazione.
Nè può ritenersi sotto altro profilo – come invece sostanzialmente sostenuto dal ricorrente – che i divieti di utilizzazione dettati dal codice di rito proiettino la loro operatività oltre i confini del processo fino ad operare una censura "retroattiva" nei confronti della pregressa divulgazione del contenuto delle suddette intercettazioni, la quale costituisce un fatto storico che la difesa degli imputati ha per l’appunto legittimamente documentato attraverso la produzione dei menzionati articoli e della cui valutazione la sentenza ha fornito motivazione che appare, come detto, esente da vizi rilevabili in questa sede.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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