Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-08-2012, n. 14362

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Svolgimento del processo
Con provvedimento depositato il 3/12/2008, il Tribunale di Ancona ha respinto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento XXX s.r.l., avanzata da S.B..
Nello specifico, il Tribunale, premesso che nella memoria ex art. 95 l.f., la S., per provare il rapporto di lavoro subordinato, aveva prodotto documenti e due dichiarazioni testimoniali; che la stessa non si era opposta all’acquisizione delle dichiarazioni rese al Curatore da alcuni dipendenti della società, e che avanti al G.D. erano state assunte informazioni dall’amministratore, L.P. S.; rilevato che il giudizio di opposizione è soggetto alla disciplina dei giudizi di impugnazione, ha ritenuto nuovi i capi di prova dedotti nel ricorso in opposizione ed i documenti prodotti, in quanto non formulati nè allegati nella fase precedente(e la disciplina vigente all’epoca prevedeva il deposito dei documenti "a pena di decadenza" prima dell’udienza), comunque non indispensabili ai fini della decisione, stante l’esaustività degli elementi probatori in atti.
Ciò posto, il Giudice del merito ha ritenuto le dichiarazioni rese al Curatore dai dipendenti come chiare, precise e concordanti, idonee a dimostrare che la S. aveva rivestito il ruolo di amministratore di fatto, unitamente al marito Z.P. (in particolare, in tal senso, le dichiarazioni dell’ex dipendente L.P., della dipendente C.D., dell’ex dipendente P.D.).
Ancora, continua la Corte del merito, il Curatore, nella fase di verifica, aveva prodotto schede informative compilate dai clienti, da cui risultava che gli stessi avevano intrattenuto rapporti con lo Z. e la S., concordando con gli stessi eventuali dilazioni di pagamento, contestazioni sulla merce, ecc..
A fronte di detti elementi, nessuna valenza andava riconosciuta all’organigramma della società, da cui risultava la funzione della S. di mera responsabile commerciale senza poteri gestori in senso stretto, per cui il rapporto di lavoro doveva ritenersi simulato. La S. propone ricorso, sulla base di quattro motivi.
Il Fallimento si difende con controricorso.
Il Fallimento ha depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 98 e 99 1.f., per avere il Giudice del merito ritenuto il giudizio di opposizione quale giudizio d’appello in senso stretto.
1.2.- Con il secondo motivo, la S. censura la pronuncia per violazione o falsa applicazione dell’art. 3 Cost., art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 2, artt. 101, 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., per avere il Tribunale deciso sulla base di prove non raccolte in contraddittorio.
1.3.- Col terzo motivo, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1322, 1325, 1362, 2094 e 1417 c.c. e art. 244 c.p.c..
A fronte della prova documentale del rapporto di lavoro, contratto e buste paga, non si poteva provare la simulazione sulla base delle dichiarazioni testimoniali scritte che non sono prova tipica, ed è compatibile il rapporto di lavoro con la carica di amministratore(non unico).
1.4.-Col quarto motivo, la ricorrente si duole della insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, anche in relazione all’art. 99, comma 3 l.f., vigente ratione temporis, che prevedeva l’assunzione di prove d’ufficio.
2.1.- I motivi del ricorso, strettamente collegati, possono essere valutati congiuntamente.
In linea di diritto, la doglianza di cui al primo motivo è fondata, alla stregua dell’orientamento seguito da questa Corte nella pronuncia 19697/2009, nello specifico relativa al regime intermedio (e vedi anche la successiva 4708/2011), che si è espressa nel senso di ritenere che, qualora sia applicabile la disciplina cd. intermedia prevista dal D.Lgs. n. 5 del 2006 per le procedure apertesi nel periodo compreso tra il 16 luglio 2006 ed il 1 gennaio 2008 (data di entrata in vigore delle ulteriori modifiche apportate al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 dal D.Lgs. n. 169 del 2007), il termine di decadenza previsto dall’art. 93, comma 7, della legge fall., per la produzione di documenti a sostegno dell’istanza di ammissione al passivo si riferisce esclusivamente al procedimento di verificazione dei crediti, caratterizzato da sommarietà della cognizione, speditezza dell’istruttoria e non obbligatorietà dell’assistenza tecnica del creditore, mentre nel successivo giudizio di opposizione, avente natura di giudizio a cognizione piena, il creditore può indicare nel ricorso introduttivo i mezzi di prova di cui intende avvalersi ed i documenti prodotti, verificandosi altrimenti una lesione del diritto di difesa del creditore, che sarebbe tenuto a produrre i documenti entro lo stesso termine fissato per il deposito dello stato passivo da parte del curatore, e non essendo applicabile la disciplina di cui all’art. 345 cod. proc. civ., in quanto l’opposizione non è qualificabile come appello.
La fondatezza della doglianza, peraltro, è inidonea a condurre alla cassazione della pronuncia, per essere priva di decisività, atteso che il quarto motivo, il cui esame precede logicamente gli altri due, è inammissibile.
Col quarto motivo, la ricorrente si duole della mancata ammissione delle prove, indicate come "assunzione delle prove testimoniali dell’amministratore e dei colleghi di lavoro dell’opponente, oltre che degli estranei all’impresa, che con quella avevano avuto rapporti e particolarmente con l’ingegnere del XXX che aveva accertato le specifiche mansioni per la redazione dell’organigramma nell’ambito della certificazione commissionatagli…" (pag. 11 del ricorso); a pag. 12 del ricorso, la parte si duole della mancata ammissione delle prove richieste e dei documenti prodotti nel corso dell’istruttoria avanti al Collegio e che il Giudice del merito avrebbe dovuto chiedere informazioni al XXX che a mezzo del proprio ingegnere, aveva accertato le specifiche mansioni dei dipendenti ai fini della certificazione di qualità.
E’ di palese evidenza la genericità del rinvio alle prove costituende e costituite, la mancata indicazione dei testi, e la mancata indicazione della fase processuale in cui le prove sono state dedotte o i documenti versati in atti(la parte anzi accenna alla produzione nel corso dell’ istruttoria, che fa ritenere che i documenti non siano stati prodotti con il ricorso).
E’ infatti costantemente affermato il principio,secondo il quale la censura relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali sono essi qualificati a testimoniare, elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorie richiesto, non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione, al fine di consentire alla Corte di valutare ex actis la veridicità dell’asserzione (in tal senso, tra le ultime, la pronuncia 9748/2010).
Infine, l’assunzione di prove d’ufficio costituiva una mera facoltà.
Nel resto, si deve ritenere, come statuito nella pronuncia 4666/2003, che nell’ordinamento processuale vigente, in forza del principio di cui all’art. 116 cod. proc. civ. il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purchè idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la sua valutazione. La Corte d’appello, a riguardo, premesso che la difesa della S. non si era opposta all’acquisizione delle dichiarazioni testimoniali rese avanti al Curatore (da cui discende la reiezione della censura odierna della ricorrente di violazione del principio del contraddittorio), ha dato ampia e congrua ragione del proprio convincimento, analiticamente evidenziando i punti decisivi ai fini della propria valutazione dei fatti, come tale incensurabile in sede di legittimità.
Conclusivamente, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 2700, 00, di cui Euro 200,00 per esborsi; oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012
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