Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 01-03-2013, n. 9872

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
M.G. ricorre avverso l’ordinanza 17.7.12 del Tribunale del riesame di Catanzaro che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 26.6.12 dal G.i.p. di Rossano per il reato di concorso in furto aggravato in abitazione.
Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnato provvedimento, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), con riferimento all’art. 292 c.p.p., comma 2 lett. c)-bis, per non avere i giudici del riesame operato alcun riferimento ai motivi addotti dalla difesa in sede di udienza di discussione e "a tutto quanto eccepito dalla difesa in ben 11 pagine di memoria difensiva", laddove le deduzioni difensive avrebbero dovuto condurre il tribunale ad escludere la gravità indiziaria e la probabile colpevolezza ritenuta dal g.i.p.. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in quanto, a fronte dei flebili, non univoci e contrastanti elementi a carattere indiziario, era stato formulato un giudizio di probabilità di colpevolezza richiamando il contenuto dell’ordinanza cautelare che aveva fatto riferimento al contenuto dei fotogrammi ritraenti il M. ed il coindagato Ma.St. transitare lungo il marciapiede antistante il portone d’ingresso dello stabile in cui abita la p.o. D.V.S., in orari diversi, durante la mattina del (OMISSIS), circostanza giustificata dagli indagati che avevano affermato, in sede di interrogatorio di garanzia, di essersi recati effettivamente in un appartamento sito nel medesimo stabile in cui è stato compiuto il furto, ma per consumare un atto sessuale con una donna di cui non avevano inteso, per motivi di riservatezza, rivelare l’identità, mentre il Ma. aveva inoltre plausibilmente riferito che il borsello riconosciuto come proprio dalla p.o. era da lui stato rinvenuto nell’appartamento della donna e per errore asportato in quanto identico a quello che egli normalmente adoperava per lavoro.
Inoltre -prosegue la difesa del ricorrente – erano rimaste oscure le modalità di accesso dei due indagati all’interno dell’abitazione del D.V., i cui accessi non presentavano alcun segno di effrazione, per cui non si era in presenza di un grave quadro indiziario e peraltro, si deduce con il terzo motivo, quanto alle esigenze cautelari non vi erano elementi concreti sulla base dei quali potersi affermare che il ricorrente potesse reiterare condotte criminose analoghe, non essendo il M. gravato da procedimenti penali in corso per reati contro il patrimonio, avendo solo riportato una condanna ai sensi dell’art. 444 c.p.p., peraltro risalente. Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.
Ricordato come il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), legittima il ricorso per cassazione in tema di misure cautelare personali deve risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, il che significa che solo l’assoluta carenza sul piano logico dell’iter argomentativo seguito dal giudice può avere rilievo in sede di legittimità, senza che lo possa la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul piano logico (v. Sez.un., 15 febbraio 1996, n.41), per cui alla Corte di cassazione, allorchè sia denunciato vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza (v. Sez. un., 22 marzo 2000, n.11), oltre che all’esigenza di completezza espositiva (v. Cass., sez. 6, 1 ottobre 2008, n.40609), rileva la Corte che nell’ordinanza impugnata non si rinvengono profili di incongruenza della motivazione in tema di gravità indiziaria concernente l’ipotesi delittuosa ascritta a M..
Rilevato come il primo motivo di ricorso si presenti del tutto aspecifico, non contenendo l’indicazione dei concreti elementi che sarebbero stati addotti dalla difesa, in favore del M., e non considerati dai giudici del riesame, facendosi solo riferimento alla discussione svolta e al contenuto di una memoria difensiva depositata in udienza, sì che non è dato in questa sede coglierne il contenuto in quanto non offerto alla valutazione della Corte, va evidenziato che la gravità indiziaria concernente l’ipotesi delittuosa ascritta all’odierno ricorrente è stata dai giudici calabresi scolpita, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.273 c.p.p., in ragione, oltre che della denuncia presentata dalla p.o., delle risultanze di cui all’annotazione di p.g. relativa alla visione delle riprese filmate e del riconoscimento del M. e del suo complice eseguito in termini di certezza dagli agenti operanti, da cui emerso che i due indagati, dopo essersi introdotti nell’abitazione della p.o., si erano impossessati di 8.000,00 Euro e di due assegni bancari del valore complessivo di Euro 1.200,00, sottraendoli al proprietario che li custodiva in una cassetta di sicurezza.
Quanto alle esigenze cautelari, del tutto legittimamente sono state ritenute dai giudici tutelabili solo con la misura restrittiva intramuraria in ragione della estrema pericolosità del M., soggetto pregiudicato e che, pur sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s., non ha esitato ad ulteriormente delinquere mostrando così una allarmante proclività alla commissione di reati che non consente l’applicazione di una gradata misura cautelare. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la cancelleria per gli avvisi di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2013
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