Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 01-03-2013, n. 9871

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.A., a mezzo del proprio difensore, ricorre avverso l’ordinanza 21.8.12 con la quale il Tribunale del riesame di Bologna, riunite le due procedure attivate dal predetto indagato con ricorso per riesame avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 30.7.12 dal G.i.p. di Modena, per il reato di bancarotta fraudolenta, e con appello proposto ai sensi dell’art. 310 c.p.p. avverso l’ordinanza 4.8.12 con la quale il medesimo g.i.p. aveva rigettato l’istanza ex art. 299 c.p.p. volta all’annullamento dell’ordinanza applicativa per violazione dei diritti della difesa, ha confermato entrambi i provvedimenti impugnati.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale bolognese, errata applicazione della legge processuale, per violazione dell’art. 369-bis c.p.p., in relazione al combinato disposto di cui all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), artt. 180 e 185 c.p.p., evidenziando che in data 12.12.11 era stato emesso decreto di sequestro preventivo su tutte le somme di denaro o valore per equivalente della somma di Euro 1.481.859,78; che il decreto era stato eseguito dalla Guardia di finanza di Correggio, previa notificazione a mani dello stesso N.; che il 26.1.12 quest’ultimo aveva anche ricevuto la richiesta di proroga delle indagini preliminari, senza che gli venisse nominato, anche in questo caso, un difensore d’ufficio; che in data 1.8.12 N. era stato tratto in arresto in esecuzione di ordinanza cautelare del G.i.p. di Modena e che solo in tale sede l’indagato aveva nominato un difensore di fiducia il quale, il 3.8.12, preliminarmente all’interrogatorio di garanzia, aveva presentato memoria eccependo la nullità dell’ordinanza genetica della misura – cautelare per un vizio di natura processuale, dipendente dalla nullità del decreto di sequestro preventivo che non recava nessuna informazione di garanzia, nè sotto forma di interpello ex art. 369-bis c.p.p., nè attraverso altre forme equipollenti idonee a consentire all’indagato l’esercizio del diritto di difesa nella pienezza delle facoltà riconducibili al deposito degli atti previsto dall’art. 366 c.p.p..

Poichè fondamento del diritto alla difesa tecnica – conclude il ricorrente – è l’esigenza di controbattere sui temi d’accusa e denunciare eventuali vizi nello svolgimento del processo, anche quelli attinenti alla fase cautelare in cui gli indizi, prima ancora che le prove, possono legittimare l’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, nella specie l’inibizione subita dalla difesa aveva compromesso la possibilità di prendere immediatamente cognizione degli elementi di accusa, attraverso un riesame reale fondato quanto esplorativo; di effettuare indagini difensive e di consentite all’indagato condotte riparatorie o dichiarazioni spontanee anche al fine di evitare la misura cautelare.

Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.

Del tutto correttamente, infatti, i giudici del riesame, con l’ordinanza oggi impugnata, hanno negato l’esistenza di un rapporto di consequenzialità tra il sequestro preventivo disposto dal g.i.p. in data 12.12.11 e gli atti successivi, ivi compresa l’ordinanza cautelare del 30.7.12 emessa nei confronti del N., sottolineando come dal testo del decreto di sequestro stesso risultassero già le somme oggetto di distrazione e le relative operazioni bancarie poi trasfuse sia nell’ordinanza cautelare che nella successiva imputazione, sì che emergeva chiaramente che proprio gli accertamenti svolti dal curatore fallimentare e le risultanze delle indagini eseguite dalla Guardia di finanza avevano consentito di acquisire tutti gli elementi posti dal g.i.p. a fondamento del provvedimento restrittivo della libertà personale.

Peraltro – hanno ancora rimarcato esaustivamente i giudici del riesame – attraverso il decreto di sequestro preventivo si era voluto sottoporre a vincolo solo le somme nella disponibilità degli indagati, al fine del soddisfacimento delle esigenze di cui all’art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, non acquisire fonti di prova dei reati che, al momento dell’emissione del predetto decreto (che aveva consentito il sequestro di soli 97 Euro), erano già stati accertati.

Non può quindi che concludersi per la mancanza, nella specie – come del tutto legittimamente affermato dai giudici bolognesi – di alcun nesso di consequenzialità tra la misura di cautela reale adottata (la cui nullità è stata dedotta dall’odierno ricorrente per violazione del diritto di difesa) e la successiva ordinanza custodiale emessa nei confronti del N., dovendosi da ultimo osservare peraltro che la norma di cui all’art. 369-bis c.p.p. riguarda solo l’attività del p.m. e le comunicazioni ad esso demandate "al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere", restando così tale norma del tutto estranea alla disciplina dettata in tema di misure cautelari personali.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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