Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 01-03-2013, n. 9870

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
F.A. ricorre avverso l’ordinanza 25.9.12 del Tribunale di Brescia con la quale è stata respinta la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza del G.i.p. di XXX 3.9.12, con cui era stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di bancarotta fraudolenta, relativo al fallimento della Salari s.r.l..
Deduce il ricorrente, con il primo motivo, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per avere sia il g.i.p. che il tribunale del riesame ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza sulla base degli elementi indicati nella relazione del curatore fallimentare, in quella del consulente tecnico del p.m., nonchè in relazione alle informazioni spontanee di persone informate sui fatti, benchè queste ultime e la relazione del c.t. fossero inutilizzabili in quanto atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei relativi termini.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per avere i giudici ritenuto che l’indagato avesse tenuto libri e scritture contabili in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio della fallita, nonostante l’esistenza di numerose, dettagliate e specifiche scritture contabili, erroneamente ritenute inattendibili e senza che potesse considerarsi anomalo il numero complessivo di quindici contratti stipulati nel corso di cinque anni a fronte della gestione da parte del F. di ben otto negozi di abbigliamento.
Quanto alle esigenze cautelari, contraddittoriamente ed illogicamente i giudici avevano considerato sussistente il pericolo di recidiva senza considerare che tutte le compagini societarie di cui l’indagato sarebbe ancora socio o amministratore di fatto ad oggi erano fallite o avevano cessato l’attività.
Rilevato che in data 13.9.12 il g.i.p. ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora nel Comune di XXX in considerazione – come risulta dalla stessa ordinanza impugnata – "delle peculiari condizioni personali (di salute) e familiari in cui versava l’indagato, condizioni che avevano altresì determinato la cessazione di ogni attività di tipo imprenditoriale da parte del medesimo", il ricorso proposto dal F. deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse.
In materia di impugnazioni, infatti, la nozione della "carenza di interesse sopraggiunta" va individuata nella valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità sia venuta meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perchè la stessa abbia già trovato concreta attuazione ovvero in quanto abbia perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso (v.
Sez. un., 27 ottobre 2011, n.6624).
Poichè nella specie il ricorso ha ad oggetto espressamente ed esclusivamente (tale risultando dall’intestazione stessa del ricorso la volontà dell’impugnante), il provvedimento con cui è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di F.A., l’essere già venuta meno tale misura in epoca precedente il proposto gravame rende inammissibile, per carenza di interesse a coltivare l’impugnazione, il gravame stesso, essendo necessario perchè possa comunque ritenersi sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento a una futura utilizzazione dell’eventuale pronuncia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, che la circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa, formulata personalmente dall’interessato (Sez. un., 16 dicembre 2010, n.7931).
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2013

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