Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-08-2012, n. 14355

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. – La Banca XXXS.p.a. propose opposizione allo stato passivo del fallimento della Dial S.p.a., facendo valere un credito complessivo di Euro 321.207,36, pari al saldo debitore di due conti correnti e di un rapporto anticipi su fatture intrattenuti dalla società fallita, oltre al capitale residuo di un finanziamento ed ai relativi interessi.
2. – All’udienza del 12 novembre 2008, il Tribunale di Napoli, preso atto della mancata comparizione delle parti, ha disposto l’archiviazione del procedimento.
3. – Avverso il predetto decreto propone ricorso per cassazione, per due motivi, la XXX Gestione Crediti S.p.a., in nome e per conto della Banca XXX. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la nullità del decreto impugnato, per violazione e falsa applicazione dell’art. 136 cod. proc. civ. e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, sostenendo di non aver ricevuto comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione e del termine per la notificazione del ricorso, la cui conoscenza legale comporta la decorrenza del termine per gli ulteriori adempimenti posti a carico dell’opponente.
2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 24 Cost. lamentando la violazione del proprio diritto di difesa, in conseguenza della mancata comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione, del quale è venuta a conoscenza soltanto a seguito della comunicazione del decreto impugnato.
In subordine, la ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 3 della legge fall., nella parte in cui non prevede la comunicazione all’opponente del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione, a cura della cancelleria.
3. – Le censure sono inammissibili, in quanto, pur riflettendo profili diversi di violazione di legge, non risultano accompagnate dalla formulazione di distinti quesiti di diritto, ma dall’enunciazione di un unico quesito, riportato nelle conclusioni del ricorso, espresso con astratto riferimento alla norma ritenuta applicabile, e quindi privo di qualsiasi richiamo alla decisione concretamente adottata con il provvedimento impugnato.
Tale formulazione risulta inidonea a soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale richiede che ciascun motivo si concluda con una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del Giudice di legittimità, espressa in termini tali per cui dalla risposta, negativa od affermativa, che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto dell’impugnazione (cfr. Cass., Sez. Un., 28 settembre 2007, n. 20360;
30 ottobre 2008, n. 26020). Il quesito non può dunque risolversi in una generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata violata una certa norma, ma postula l’enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito (cfr.
Cass. Sez. 3, 19 febbraio 2009, n. 4044). Esso, dovendo investire la ralla deciderteli della sentenza impugnata e proporne una alternativa e di segno opposto, deve comprendere l’indicazione sia della regula juris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (cfr. Cass., Sez. lav., 26 novembre 2008, n. 28280; Cass., Sez. 3, 30 settembre 2008, n. 24339). La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il motivo inammissibile, non potendo il quesilo essere desunto dal contenuto della censura alla quale si riferisce, in quanto rispetto al sistema processuale previgente, che già richiedeva nella redazione del motivo l’indicazione della norma violata, la peculiarità dell’innovazione introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 consiste proprio nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionale alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e. quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 1, 24 luglio 2008, n. 20409).
4. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte degl’intimati.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *