Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-08-2012, n. 14354

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Svolgimento del processo
1. – Con sentenza del 16 novembre 2000, il Tribunale di Messina accolse l’azione revocatoria proposta dal curatore del fallimento della XXX S.n.c. di XXX e Isgrò nei confronti di I.F., dichiarando, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67, comma 1, l’inefficacia dell’atto stipulato il 18 marzo 1991, con cui la società fallita aveva venduto al convenuto un appartamento con posto auto sito in (OMISSIS), condannando lo I. alla restituzione dei frutti civili con decorrenza dalla domanda.
2. – L’impugnazione proposta dallo I. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Messina con sentenza del 16 aprile 2008.
Premesso che l’immobile, venduto al prezzo di Lire 80.000.000, all’epoca della compravendita aveva un valore di mercato pari a Lire 146.860.000, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che l’appellante non avesse fornito la prova di averlo acquistato allo stato rustico e di avere provveduto a proprie spese al suo completamento, mediante il versamento della somma di Lire 69.500.000 alla società fallita, osservando che tale versamento non era menzionato nel contratto di compravendita, nel quale si dava atto dell’avvenuta ultimazione dell’appartamento, e che gli assegni rilasciati per il pagamento, oltre ad essere stati negoziati in data anteriore alla stipulazione, risultavano emessi in parte da persona diversa dallo I., in parte a favore di un soggetto diverso dalla società fallita ed in parte a favore dello stesso appellante e da lui incassati.
La Corte ha inoltre confermato l’inammissibilità della prova testimoniale dedotta dall’appellante per dimostrare di aver provveduto a proprie spese al completamento dell’immobile, sia per contrasto con l’atto pubblico di compravendita che per incapacità del teste, indicato nella persona del fallito.
La Corte ha infine rilevato che l’appellante non aveva fornito la prova della mancata conoscenza dello stato d’insolvenza della venditrice, osservando comunque che la consapevolezza di tale stato emergeva dalla notevole sproporzione tra le prestazioni e da numerosissimi protesti levati nei confronti della società fallita e del socio accomandatario, ed aggiungendo che l’ignoranza era da escludersi in considerazione della qualità di bancario dell’appellante e della sua residenza in (OMISSIS).
3. – Avverso la predetta sentenza lo I. propone ricorso per cassazione. articolato in tre motivi. Il curatore del fallimento resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 246 cod. proc. civ., dell’art. 2722 cod. civ. e dell’art. 43 e art. 67, comma 1, della legge fall., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la prova testimoniale da lui dedotta. Sostiene infatti che tale prova non aveva ad oggetto un patto contrario all’atto di compravendita, ma il mero fatto dell’avvenuta fornitura degli clementi interni dell’appartamento, il cui costo avrebbe dovuto essere tenuto in conto nel calcolo del prezzo di vendita, e la consegna a tal fine di assegni per complessive Lire 69.500.000;
aggiunge che il tallito non è incapace a testimoniare nel giudizio avente ad oggetto la revocatoria fallimentare, non essendo titolare di un interesse personale e diretto che lo abiliti a parteciparvi, e non incorrendo nelle incapacità previste dagli artt. 50 e 142 della legge fall., nè negli impedimenti di cui agli artt. 43 e 118 della medesima legge.
1.1. – Il motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza, nella parte riguardante la mancata ammissione della prova testimoniale in ordine ai fatti dedotti dal ricorrente, essendosi quest’ultimo limitato ad indicare sommariamente le circostanze che la prova era volta a dimostrare, senza riportare puntualmente nel ricorso i capitoli di prova articolati nel giudizio di merito. La parte che in sede di legittimità denunci la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito ha infatti l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire il necessario controllo in ordine alla decisività dei fatti da provare, e quindi della prova stessa, che questa Corte dev’essere posta in grado di compiere sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. Cass., Sez. Un., 22 dicembre 2011m n. 28336; Cass. Sez. 3, 19 marzo 2007, n. 6440;
Cass., Sez. lav., 29 settembre 2005, n. 19051).
1.2. – Resta pertanto assorbita l’ulteriore censura riflettente l’errata dichiarazione dell’incapacità a testimoniare del fallito, il cui esame è reso superfluo dalla preclusione di quella riguardante l’ammissibilità dei capitoli di prova.
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, della legge fall., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la conoscenza dello stato d’insolvenza non avrebbe potuto essere desunta dalla sperequazione tra il valore dell’immobile ed il prezzo d’acquisto, inferiore a quella addotta dalla sentenza impugnata, nè dai protesti levati a carico della società fallita, riportati genericamente e senza alcun elemento identificativo, nè infine dalla qualità di bancario di esso ricorrente e dalla sua residenza nel luogo in cui era ubicato l’immobile acquistato. La prova dell’ignoranza dello stato d’insolvenza emergeva peraltro dalla circostanza che l’acquisto era stato effettuato mediante un mutuo concesso dal Banco di Sicilia, Sezione di Credito Fondiario, con atto del 19 novembre 1990, il quale, nel prevedere l’iscrizione d’ipoteca sull’appartamento, dava atto che sullo stesso non gravavano iscrizioni, privilegi e trascrizioni pregiudizievoli.
2.1. – Il motivo è inammissibile, in quanto fonde in un unico contesto censure di violazione di legge e vizio di motivazione che, pur costituendo oggetto di separata puntualizzazione mediante la formulazione rispettivamente di un quesito di diritto e di una sintesi conclusiva, non possono trovare ingresso, per difetto di pertinenza del primo ed inadeguatezza della seconda.
Com’è noto, infatti, il quesito di diritto che, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., la parte ha l’onere di formulare a pena d’inammissibilità nel ricorso per cassazione deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del Giudice di legittimità, espressa in termini tali per cui dalla risposta, negativa od affermativa, che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr. Cass., Sez. Un., 28 settembre 2007. n. 20360; 30 ottobre 2008, n. 26020).
Hsso, postulando l’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello applicato nella sentenza impugnata, presuppone una corretta individuazione della ratio decidendi della stessa, alla quale il ricorrente deve contrapporne una alternativa e di segno opposto, tale da condurre ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice di merito (cfr. Cass., Sez. 3, 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass., Sez. lav., 26 novembre 2008, n. 28280; Cass. Sez. 3, 30 settembre 2008, n. 24339). Tali caratteristiche non sono riscontrabili nel quesito proposto dal ricorrente, che, in quanto imperniato sulla valenza indiziaria delle circostanze addotte dalla Corte d’Appello a giustificazione dell’affermata conoscenza da parte dell’acquirente dello stato d’insolvenza in cui versava la venditrice, non attinge la regula juris su cui si fonda la sentenza impugnata; quest’ultima, infatti, avendo pronunciato in ordine ad una domanda proposta ai sensi dell’art. 67, primo comma, della legge fall., ha accertato la scientia decoctionis in base alla presunzione posta da tale disposizione, menzionando le predette circostanze soltanto ad abundantiam, a conforto della rilevata mancanza della prova contraria, che la predetta presunzione pone a carico dell’acquirente:
la risposta che si chiede a questa Corte di fornire al quesito proposto non potrebbe quindi condurre in alcun modo al ribaltamento della decisione adottata dal giudice di merito.
2.2. – L’indicazione del fatto controverso e delle ragioni d’insufficienza della motivazione appare a sua volta inidonea a soddisfare l’esigenza di chiarezza espressa dall’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale impone, nella formulazione della censura, un distinto momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che circoscriva puntualmente i limiti della critica alla motivazione in fatto, in modo da non ingenerare incertezze in sede di valutazione della sua ammissibilità (cfr. Cass.. Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. 3, 18 luglio 2007, n. 16002). Essa risulta infatti svincolata da qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta presa in considerazione dal giudice di merito e dal percorso argomentativo della sentenza impugnata, essendosi il ricorrente limitato a precisare, peraltro contraddittoriamente, che oggetto della questione posta con il motivo d’impugnazione è la prova dell’ignoranza dello stato d’insolvenza e, ad un tempo, quella della conoscenza dello stesso da parte dell’acquirente.
3. – E’ parimenti inammissibile il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, della legge fall., sostenendo che, ai fini della valutazione in ordine alla sproporzione tra il prezzo corrisposto ed il valore del bene venduto, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della riduzione di tale valore conseguente all’ipoteca iscritta sull’immobile.
3.1. – Nonostante l’espresso riferimento alla violazione di legge, la censura appare infatti più propriamente riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, essendo volta a contestare la valutazione in ordine alla notevole sproporzione tra le prestazioni, compiuta dalla Corte territoriale ai fini della dichiarazione d’inefficacia dell’atto ai sensi dell’art. 67, comma 1, della legge fall., la quale costituisce un tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo dell’inadeguatezza o illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. 1, 17 aprile 2007, n. 9142; 9 aprile 1998, n. 3677; 3 gennaio 1998, n. 14). Le critiche mosse alla sentenza impugnata appaiono peraltro anch’esse corredate da una sintesi conclusiva meramente astratta, che si limita a far riferimento all’omessa considerazione dell’ipoteca iscritta sull’immobile venduto, senza neppure dar conto dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la garanzia era stata concessa per un mutuo erogato allo stesso ricorrente contestualmente alla stipulazione dell’atto di compravendita.
4. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna I. F. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 1.700,00, ivi compresi Euro 1.500,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

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