Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 01-03-2013, n. 9851

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.S., a mezzo del proprio difensore, ricorre avverso la sentenza 29.6.11 della Corte di assise di appello di Palermo che, pronunciando a seguito di annullamento con rinvio della 1^ Sezione di questa Corte del 4.2.10, in riforma della sentenza assolutoria pronunciata il 7.4.08 dalla Corte di assise di Palermo, ha dichiarato il prevenuto colpevole del delitto di concorso (con i coimputati P.B., V.C., P.G. e M. G., i cui ricorsi erano già stati rigettati con la suindicata sentenza della Cassazione, divenendo così definitive le condanne agli stessi rispettivamente inflitte dai giudici territoriali, nonchè con G.A. e R.R., non ricorrenti) nell’omicidio premeditato di P.G., commesso in (OMISSIS) allorchè la vittima era stata uccisa all’interno di un capannone adibito ad officina meccanica, raggiunta al petto da due colpi di pistola cal. 38 special o 357 magnum e da due colpi di fucile cal. 12, esplosi da due persone travisate con passamontagna, la prima, più alta, che impugnava un fucile a canne mozze; la seconda, più bassa, impugnante un’arma corta, e lo ha condannato, concesse attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni ventiquattro di reclusione, oltre le pene accessorie di legge.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) per avere erroneamente i giudici di rinvio valutato le dichiarazioni complessivamente rese dal collaboratore di giustizia V.C. quali riscontro individualizzante alle propalazioni accusatorie rese dall’altro collaboratore, G.A., in difformità da quanto stabilito dalla Cassazione in tema di chiamata di correo e, in particolare, di "convergenza del molteplice".

Per la realizzazione della "convergenza del molteplice", infatti – osserva la difesa – è obbligatorio che venga preliminarmente svolta una valutazione analitica del contenuto delle dichiarazioni rese da entrambi i propalanti, con riferimento ai tre imprescindibili momenti costituiti dalla credibilità del dichiarante, dalla attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni e dal "riscontro esterno", e al P.S. era contestato l’omicidio del P., con il ruolo di esecutore materiale in concorso con gli altri soggetti già giudicati, ma la sentenza di primo grado aveva ritenuto che le dichiarazioni del V. non superassero il preliminare vaglio di "attendibilità intrinseca", attese l’assoluta genericità e progressione delle sue accuse, per cui le stesse non potevano essere neppure utilizzate quale riscontro individualizzante a quelle rese dall’altro collaboratore, anche perchè il V. non aveva indicato in modo certo il P.S. quale esecutore dell’omicidio. Le stesse propalazioni del V. erano però state ritenute dalla Corte di assise di appello di Palermo, con la sentenza 23.4.09, utilizzabili quale riscontro a quelle rese dal G., ma la Cassazione aveva annullato tale decisione, confermando così – secondo il ricorrente – il giudizio della Corte di assise di primo grado che aveva ritenuto le dichiarazioni del V. intrinsecamente inattendibili e non in grado quindi di riscontrare quelle dell’altro collaboratore di giustizia. I giudici del rinvio, invece, dopo aver disposto un nuovo esame di V.C., avvenuto all’udienza del 29.4.11, nel corso del quale il predetto era stato sottoposto ad un nuovo riconoscimento fotografico, in ragione del suo esito positivo avevano affermato la colpevolezza dell’odierno ricorrente ritenendo le dichiarazioni del G. riscontrate, quanto alla partecipazione anche di P.S. all’omicidio del P., dall’elemento individualizzante rappresentato dalle propalazioni di V.C..

Senonchè – lamenta il ricorrente – il positivo riconoscimento fotografico era avvenuto a ben 23 anni dall’omicidio e dopo che, sempre in sede di individuazione fotografica, dinanzi al p.m. il V. non aveva riconosciuto la foto che ritraeva P. S., per cui esso non poteva costituire riscontro individualizzante alla chiamata dell’altro collaboratore, anche perchè i giudici del rinvio non avevano operato alcuna autonoma verifica scrupolosa, nè in ordine alla intrinseca attendibilità del V. nè in ordine alla attendibilità delle sue dichiarazioni.

Quanto alla inattendibilità intrinseca delle dichiarazioni del V. – evidenzia la difesa del ricorrente – non poteva disconoscersi che detto collaboratore aveva iniziato a parlare dell’omicidio di P.G. sin dall’interrogatorio reso dinanzi al p.m. il 5.12.02, non facendo però riferimento, in quella occasione, a P.S. quale esecutore materiale dell’omicidio, mentre nel corso dell’interrogatorio del 21.1.03 aveva fatto riferimento ad "un uomo d’onore, forse un macellaio di Caccamo, certo Pu.", in maniera cioè generica e imprecisa, senza l’indicazione neanche del nome di battesimo, come confermato anche nell’interrogatorio del 2.5.03 nel quale pure il V. si era detto in grado di riconoscere il Pu. in questione, che però non aveva riconosciuto in sede di individuazione fotografica disposta nel corso dell’interrogatorio del 7.5.03. Successivamente, nel corso dell’interrogatorio del 3.11.03, V. aveva quindi fornito una erronea indicazione della macelleria che asseriva appartenere al Pu., per poi all’udienza dibattimentale del 5.5.07 dapprima confermare di avere visto il Pu. dinanzi alla sua macelleria e poi indicare, per la prima volta, l’esistenza di un "fratello del Pu.", specificando di averne appreso l’esistenza nel corso di uno dei tanti interrogatori da parte dei magistrati della DDA di Palermo. Peraltro – evidenzia ancora la difesa – in ordine alla attività di macellaio il V. era stato smentito, in quanto era stata acquisita la nota dei Carabinieri di Termini Imerese del 19.5.03 in cui si specificava che P.S. svolgeva l’attività di coltivatore diretto, mentre era il fratello M. a svolgere quella di macellaio, da ciò derivandone quella complessiva inattendibilità del dichiarante già rilevata dai giudici di primo grado e che avrebbe dovuto indirizzare la Corte di rinvio a ricercare gli altri elementi di sufficiente forza individualizzante alle dichiarazioni del G., non sottoponendo il V. ad un nuovo esame e ad un nuovo riconoscimento fotografico, bensì individuando "altre fonti" aventi carattere di attendibilità.

La sentenza impugnata non aveva logicamente argomentato per quale motivo V. dovesse essere dichiarato "attendibile" per il solo fatto di avere – per la prima volta, a distanza di 23 anni dall’omicidio e dopo un fallito riconoscimento avvenuto otto anni prima – riconosciuto in fotografia P.S., nè per quale motivo la nuova individuazione fotografica potesse ribaltare il giudizio negativo fino ad allora espresso sul conto del propalante e delle sue dichiarazioni, che invece appariva sostanzialmente immutato, anche considerato che altre fotografie del Pu., diverse da quella mostrata al V., erano state più volte pubblicate su diversi quotidiani, mentre V. e Pu. si erano anche incontrati nel corso di una udienza.

Inoltre – conclude sul punto la difesa – il V. aveva anche mentito, come risultava dalle trascrizioni dell’interrogatorio del 7.5.03, allorchè aveva negato di non aver riconosciuto in fotografia, P.S., sostenendo di aver detto al p.m. che "questo assomiglia molto a Pu., per l’omicidio P.", ma di non essere stato ascoltato per "disattenzione" del p.m., il quale gli avrebbe detto "no", ma la sentenza impugnata, in maniera manifestamente illogica, aveva tentato di accreditare la veridicità della narrazione del collaboratore ritenendo che "può sorgere il dubbio che il V., nel visionare (il 7 maggio del 2003) la foto del Pu. (ancorchè ritratto qual era dieci anni dopo), avesse comunque individuato delle somiglianze col soggetto da lui conosciuto in occasione dell’omicidio per cui è processo", omettendo inoltre ogni verifica sulle contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni rese da G. e da V. (come indicato dalla Corte di assise di Palermo nella sentenza del 7.4.08), avendo quest’ultimo, diversamente dal primo, con riferimento al soggetto indicato come "tale Pu." riferito che G. era a bordo della vettura con il R. e che "tale Pu." era in macchina con un giovane, intorno ai 25-30 anni, alto più o meno come G., e che a sparare era stato il solo R., per cui si era trattato di dichiarazioni non convergenti sul nucleo essenziale, senza che neppure le dichiarazioni rese dal V. il 29.4.11 avessero contribuito a sanare tali divergenze, in quanto meramente ripetitive di quelle in precedenza rese. Con il secondo motivo si censura la mancata dichiarazione di prevalenza delle concesse attenuanti generiche, negata senza alcuna motivazione pur essendo stato considerato dalla stessa Corte di rinvio il positivo comportamento processuale dell’imputato, la risalenza dell’omicidio ad oltre 23 anni prima e la presenza di precedenti penali antecedenti al delitto, senza che fosse risultato il coinvolgimento del P., dopo di esso, in altri fatti criminosi.

Con motivi nuovi, in data 18.1.13, il difensore del ricorrente ha ribadito la richiesta di annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto "attendibili" e "riscontrate" le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia G.A. e V.C. anche nella parte in cui costoro avevano riferito che P.S. sarebbe stato "uomo d’onore", nonostante il Pu. non avesse mai riportato alcuna condanna irrevocabile per aver fatto parte di "cosa nostra", tanto che, nelle more del presente procedimento, era intervenuta sentenza di assoluzione del prevenuto in ordine al reato associativo, con sentenza della Corte di appello di Palermo in data 22.10.12, per cui la pronuncia impugnata meritava una totale rivisitazione e, di conseguenza, l’annullamento. Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.

La 1^ Sezione penale di questa Corte, con la sentenza 4.2.10, nell’annullare, con rinvio per nuovo giudizio, la sentenza 23.4.09 della Corte di assise di appello di Palermo con la quale, in riforma di quella assolutoria 7.4.08 della locale Corte di assise, P. S. è stato condannato, per il concorso nell’omicidio premeditato di P.G., alla pena di 24 anni di reclusione, ha statuito la manchevolezza della decisione di secondo grado sul punto concernente "il riscontro alla precisa chiamata del G.", riscontro – hanno rilevato i giudici di legittimità – da ricercarsi "o con altri elementi di sufficiente forza individualizzante provenienti dallo stesso V. (sue dichiarazioni sul riconoscimento fotografico, descrizione somatica, elementi circostanziali, ecc), ovvero provenienti da altre fonti…anche attraverso opportuna riapertura dell’istruttoria, al fine di raggiungere un più definitivo quadro probatorio".

Così delimitato l’oggetto del giudizio da affidare al giudice di rinvio, la Corte di assise di appello di Palermo, con la sentenza oggi impugnata, ha colmato con una motivazione compiuta, esaustiva ed esente da censure di illogicità quel profilo di incompiutezza che non permetteva di ritenere del tutto esaustivo il quadro probatorio a carico di P.S., con riferimento all’omicidio premeditato di P.G., in assenza di quell’elemento di riscontro alle dichiarazioni di G.A. avente sufficiente forza individualizzante che non emergeva dalle propalazioni di V.C. in ragione di alcune "lacune" riscontrate nel suo percorso narrativo. Non può quindi in questa sede, secondo proprio quello che è stato il decisum della sentenza di annullamento, farsi questione alcuna circa l’attendibilità, anche intrinseca, delle chiamate di correo provenienti da G. A. e da V.C., atteso che sul punto detta sentenza è stata inequivoca nell’attribuire al G. un "articolato e preciso, nonchè individualizzante, narrato accusatorio", dandosi altresì atto "che il V. era attendibile nella sua indicazione, più limitata per essere ridotte le sue conoscenze".

Per giungere a tale conclusione, i precedenti giudici di legittimità hanno rimarcato come i due collaboratori di giustizia, secondo quanto ritenuto dai giudici di primo e secondo grado, abbiano riferito in modo conforme in ordine alla causale del delitto (eliminare un soggetto "selvaggio" che esplicava su quel territorio attività delinquenziale autonoma, così come era stato fatto per altri nelle stesse condizioni); sui mandanti ( P., M.G. e G.); sulle fasi organizzative e di ricerca (espletate da G., R., V. e P.); sulle fasi successive al delitto, dirette alla eliminazione delle armi, gettate in un "cunettone", ed alla messa in sicurezza degli autori materiali.

Parimenti piena era risultata – si è ancora statuito con la sentenza di annullamento – la convergenza dei due propalanti sui partecipi diretti all’esecuzione, R.R. essendo stato da entrambi indicato quale l’omicida "più alto che aveva sparato con il fucile", mentre il Pu. (quello più basso che aveva sparato con la pistola) era stato indicato con precisione e dettagli circostanziali dal G., ma non con sufficiente precisione dal V., per cui l’indicazione accusatoria proveniente dal G. non era stata sufficientemente integrata da quella del V., ricadendosi così "nell’ambivalenza dei due fratelli Pu., S. e M., entrambi di Caccamo, entrambi macellai, entrambi all’epoca "uomini d’onore".

Orbene, tale lacuna risulta compiutamente colmata proprio all’esito della rinnovata istruttoria dibattimentale, conclusasi con la sicura individuazione fotografica, avvenuta nel corso del nuovo esame di V.C., di P.S. come uno dei due esecutori materiali dell’omicidio del P., cioè di "quello più basso che aveva sparato col revolveri.

La identificazione di P.S. da parte di V. è poi avvenuta, all’udienza del 29.4.11, in termini di assoluta certezza, all’esito cioè di quel percorso istruttorio ben specificato dai giudici del rinvio i quali hanno rimarcato come il predetto collaborante, sentito come teste assistito, ha riconosciuto nella fotografia raffigurante P.S. la persona da lui in precedenza indicata come " Pu. macellaio conosciuto in occasione dell’omicidio del P.", sottolineando ancora il V. di avere conosciuto un’unica persona di Caccamo rispondente al nome di Pu., cioè proprio quella raffigurata in una delle fotografie esibitegli che ritraeva l’odierno ricorrente, colui che aveva partecipato all’omicidio di P..

Ha poi dato atto, perspicuamente, la Corte di assise di appello come l’attività istruttoria espletata nel giudizio di rinvio si sia svolta attraverso modalità dirette a garantire il più possibile la genuinità dell’individuazione", secondo criteri – analiticamente indicati – e modalità su cui nulla aveva avuto da eccepire la difesa dell’imputato, la cui critica si era invero incentrata sulla circostanza che, essendo il riconoscimento stato preceduto nel 2003 da altro riconoscimento risoltosi negativamente, era stata pregiudicata l’efficacia dell’atto di riconoscimento conclusosi positivamente, infirmandone l’attendibilità.

Tale censura è stata sostanzialmente reiterata dalla difesa del Pu. nell’ambito del primo motivo di ricorso, ma sul punto del tutto esaustiva ed improntata a criteri di assoluta logicità è stata la motivazione dei giudici di rinvio, i quali, nel far risaltare la lucidità – nonostante i venti anni trascorsi dai fatti – del V. nella descrizione dei tratti somatici della persona da lui indicata come Pu. (soggetto alto cm 165, di carnagione scura e capelli neri, all’epoca lisci, di corporatura normale), hanno sottolineato come a detto collaboratore siano state appositamente mostrate, in sede di "nuovo" esame, fotografie risalenti ad anni prossimi a quelli in cui era stato commesso il delitto, che mai in precedenza erano state visionate dal V., il quale nel corso dell’interrogatorio del 7.5.03 (quello conclusosi con la mancata individuazione fotografica dell’odierno ricorrente) aveva preso visione di una foto scarsamente nitida dell’imputato, scattata nel 1998 (cioè 10 anni dopo l’omicidio del P.) e del tutto difforme – a motivo del precoce invecchiamento dell’imputato – da quella ritraente P.S. in epoca prossima a quella dell’omicidio, per cui era ben spiegabile – hanno non certo illogicamente rilevato i giudici di rinvio all’esito della relativa analisi fattuale – che una persona come il V., che in sole due occasioni, come dallo stesso riferito, aveva visto l’imputato negli anni ’80 (una al momento dell’omicidio e l’altra quando l’aveva visto dinanzi ad una macelleria di Caccamo), avesse avuto notevoli difficoltà ad individuare in una fotografia del dicembre del 1998 la persona conosciuta dieci anni prima.

Inoltre – ha ancora evidenziato la Corte di rinvio -, in considerazione della circostanza che il fratello dell’imputato, P.M., pur avendo caratteristiche analoghe al congiunto, quanto al colore dei capelli, all’altezza, all’età ed alla carnagione, presentava tuttavia tratti somatici diversi, al V. erano state mostrate le foto dell’imputato e del di lui fratello M., ritratti in epoca più prossima possibile all’epoca dei fatti, "col risultato che, con sicurezza, il collaborante ha riconosciuto in quella di P.S. il responsabile dell’omicidio del P., nel contempo escludendo di avere mai conosciuto la persona ritratta nella foto nr.4, ovvero sia, P. M.". Del tutto legittimamente, pertanto – ed in piena aderenza al decisum di questa Corte di cui alla sentenza 4.2.10 con cui è stato delimitato il thema decidendum devoluto alla cognizione del giudice di rinvio – , attraverso l’inequivoco riconoscimento fotografico, avvenuto nelle forme e con le garanzie sopra ricordate e corredato dalle specifiche dichiarazioni ad esso relative, la Corte di assise di appello, con la sentenza 29.6.11, ha ritenuto venuto meno il dubbio in merito al soggetto conosciuto dal V. come il Pu. che aveva partecipato all’omicidio di P.G., essendo stato il complice del R. nell’esecuzione materiale del delitto individuato con la necessaria certezza – a riscontro individualizzante della precisa propalazione accusatoria proveniente in merito dall’altro collaborante G.A. – in P. S.. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, avendo la Corte territoriale, con motivazione adeguata, circoscritto alla sola equivalenza le concesse attenuanti generiche in considerazione della gravità del reato commesso, quale risultava anche dalla intensità del dolo e dalle modalità esecutive dello stesso, le altre considerazioni svolte sul punto dalla difesa del ricorrente essendo state partitamente prese in esame dai giudici territoriali che le hanno appunto ritenute fondate al fine del riconoscimento delle attenuanti generiche all’imputato con il criterio della sola equivalenza. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *