Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 27-02-2013, n. 9389

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova ricorre avverso l’ordinanza 16.7.12 con la quale il locale tribunale del riesame ha annullato il decreto di sequestro probatorio, emesso dal p.m. il 7.6.12, in relazione all’ipotizzato reato di cui all’art. 517 c.p., volto ad acquisire al procedimento, quali corpi di reato, "oggetti e materiali recanti etichette o altri segni distintivi XXX", disponendone la restituzione alla XXX s.p.a., non ravvisando la sussistenza del fumus di detto reato in quanto "nel caso di specie, il nome dello stilista indicato nel marchio incriminato è sostanzialmente la firma dell’Autore che può entrare a far parte di marchi complessi che la contengono"; "il nome predetto è inoltre la parte meno evidente del marchio stesso, che ha come segmento predominante la dicitura XXX"; " manca quindi non solo l’idoneità a trarre in inganno da un punto di vista ideologico (art. 517 c.p.), ma anche materiale, poichè i marchi in discussione (quello del denunciante e quello degli indagati) sono differenti prima facie (artt. 473 e 474 c.p.).
Deduce il p.m. ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnato provvedimento, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo i giudici del riesame affermato la legittimità dell’uso del marchio incriminato alla luce del disposto di cui all’art. 9 c.c. e art. 21 c.p.i. (codice della proprietà intellettuale), per cui l’uso, da parte di M.G., del nome d’arte XXX integrerebbe una forma di utilizzo dello pseudonimo, legittima e consentita, senza considerare che, mentre l’art. 9 c.c. tutela un diritto di natura personale, quello al nome, come proiezione di un diritto fondamentale della persona riconosciuto dagli artt. 2 e 22 Cost., l’art. 21 c.p.i. da un lato fa riferimento all’uso del nome e non dello pseudonimo e, in secondo luogo, consente ai terzi di utilizzare il proprio nome nelle attività economiche purchè l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.
Su tale punto – si duole il ricorrente – nulla ha invece argomentato il tribunale del riesame, nonostante il comportamento tenuto da XXX s.p.a. e da M.G., come evidenziato dalla demandante, abbia violato palesemente i principi della correttezza professionale, in quanto i due avevano prodotto e posto in vendita articoli recanti la dicitura designed by XXX pur in pendenza del giudizio civile avente per oggetto proprio la legittimità o meno dell’uso di quel marchio, con l’utilizzo di uno pseudonimo identico al marchio XXX in precedenza venduto a caro prezzo alla denunciante XXX s.r.l..
Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 517 c.p. il quale punisce non tanto chi violi la disciplina dettata dal codice della proprietà industriale, bensì colui che pone in vendita prodotti industriali recanti nomi o marchi tali da indurre il compratore in inganno circa la provenienza del bene, nella specie colui che legittimamente ritenga di acquistare una borsa prodotta dall’imprenditore titolare del marchio XXX (cioè la XXX s.r.l.), benchè tale borsa venga invece prodotta da un soggetto diverso (cioè, XXX s.p.a.).
I giudici del riesame avevano invece affrontato solo la diversa questione della liceità dell’uso dello pseudonimo XXX per indicare la provenienza stilistica delle borse, limitandosi ad affermare la liceità privatistica, ai sensi dell’art. 21 c.p.i., dell’utilizzo della dicitura XXX, senza però analizzare il diverso e ulteriore argomento della idoneità di tale condotta ad ingannare il pubblico dei compratori sulla effettiva provenienza dei prodotti.
Con memoria depositata il 30.1.13, il difensore di V.G., quale legale rappresentante della XXX s.p.a., proprietaria del marchio XXX, accompagnato dalla dicitura "designed by XXX-, riportata sui beni oggetto del sequestro, ha chiesto il rigetto del ricorso sostenendo che la nuova linea di pelletteria con marchio "XXX", disegnata da XXX per la XXX s.p.a., non presentava elementi mendaci, essendosi il M. – la cui società titolare del marchio XXX, a causa di difficoltà finanziarie, era stata costretta ad una cessione parziale del marchio (riguardante il solo ramo della pelletteria) in favore della XXX s.r.l. – limitato a disegnare collezioni di pelletteria senza apponi il proprio nome come marchio, ma solo come ‘indicazione informativa e descrittiva dell’autore dell’attività stilistica medesimà, sintetizzando la volontà di reazione e rinascita con il marchio "XXX", registrato a livello internazionale a nome di XXX s.p.a..
Le borse in sequestro – evidenzia ancora la difesa di V. – recavano il marchio XXX in evidenza sulla parte esterna e solo sulla fodera interna era stampata la scritta "desìgned by XXX", sotto il marchio XXX, per cui la funzione distintiva sulla provenienza aziendale era affidata al marchio XXX che, essendo all’esterno, era visibile e percepibile con immediatezza dal consumatore, mentre la dicitura "designed by XXX" non era visibile e percepibile per il consumatore senza un’analisi accurata del prodotto.
Non era quindi stato violato il precetto normativo di cui all’art. 517 c.p., i segni apposti sui beni in sequestro non essendo mendaci, ma veritieri e non tali da indurre in inganno il compratore sull’origine, la provenienza o la qualità del prodotto, per cui a "XXX" non poteva essere negato il diritto di presentarsi a terzi con il proprio nome o con il proprio pseudonimo, come previsto anche dall’attuale art. 21 c.p.i., in tema di diritti di marchio d’impresa, che riconosce il diritto all’utilizzo del proprio nome sul prodotto, nome che può anche essere parte di un marchio complesso, laddove invece, secondo l’interpretazione proposta dal p.m. ricorrente, resterebbe negato ogni spazio di operatività all’art. 21 c.p.i., dovendo considerarsi infine – conclude la difesa del V. – che il paradigma della correttezza professionale era stato nella specie rispettato proprio in considerazione dell’utilizzo secondario dell’indicazione descrittiva designed by XXX, apposta sulla fodera interna del prodotto ed inidonea a fuorviare il consumatore nel momento del contatto con il prodotto stesso.
Osserva la Corte che il ricorso è fondato.
La norma di cui all’art. 517 c.p. ha per oggetto la tutela dell’ordine economico e richiede la semplice imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purchè sia idonea a trarre in inganno l’acquirente sull’origine, qualità o provenienza del prodotto da un determinato produttore. A tale fine, è attraverso un esame sintetico dei segni distintivi – avuto riguardo ai consumatori di media diligenza – che va accertata la somiglianza tra gli stessi, essendo vietato al produttore usare detti segni in modo artificioso ed equivoco, dando al consumatore la possibilità di trarre il convincimento che il prodotto sia stato fabbricato in uno stabilimento invece che nell’altro, reale luogo di produzione.
E’ sufficiente pertanto che il pericolo della confusione nel soggetto acquirente si verifichi anche solo attraverso un esame frettoloso e superficiale del prodotto messo in vendita, quale è quello compiuto dal consumatore di media diligenza e di non particolare diligenza, non potendosi ritenere scriminata la condotta – trattandosi di reato di pericolo presunto – di chi metta in circolazione prodotti con nomi, marchi e segni distintivi genuini, cioè non contraffatti, ma illegittimi, in quanto usati in modo illegittimo, non occorrendo inoltre – per la realizzazione del reato in esame – un’imitazione completa della denominazione o dei segni distintivi usati da altre ditte, bastando l’uso di denominazioni o segni equivoci che rendano possibile l’inganno.
Poichè, nella specie, il p.m., attraverso l’acquisizione, quali corpi di reato, di oggetti e materiali recanti etichette o altri segni distintivi "XXX", si proponeva di verificare, secondo quanto risultava dalla denuncia sporta dalla parte lesa, se la predetta dicitura era idonea ad ingannare l’acquirente circa la provenienza del bene, cioè se attraverso l’apposizione di tale marchio il compratore poteva essere tratto in inganno credendo di aver acquistato una borsa prodotta dall’imprenditore titolare del marchio XXX (cioè, dalla s.r.l. XXX), pur essendo in realtà tale borsa stata prodotta da un soggetto diverso (XXX s.p.a.), sì da realizzare gli indagati, attraverso la vendita dei prodotti di pelletteria recanti etichette e logo "XXX", il reato di cui all’art. 517 c.p., incongruamente il tribunale patavino ha privilegiato, nel ritenere inesistente il fumus di tale reato, l’aspetto relativo all’uso legittimo dello pseudonimo XXX perchè " il nome dello stilista indicato nel marchio incriminato è sostanzialmente la firma dell’Autore che può entrare a far parte di marchi complessi che la contengono".
Quello che invece rileva, in senso accusatorio e quindi fondante l’ipotesi di reato che il p.m. si propone di verificare, è che proprio attraverso l’utilizzo non già del nome proprio M. G., ma dello pseudonimo identico al marchio XXX (precedentemente ceduto alla denunciarne XXX s.r.l. ), si è dato l’avvio, da parte degli indagati, tra cui appunto M. G., alla commercializzazione di prodotti che risulterebbero del tutto identici a quelli recanti il marchio XXX oggetto della cessione, con conseguente concreto rischio di confusione dei marchi nella concreta prospettiva di godere dei vantaggi correlati alla notorietà del marchio ceduto. L’impugnata ordinanza deve pertanto essere annullata, non avendo fatto corretta applicazione degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 517 c.p., a nulla rilevando poi, per diversamente concludere, che il nome XXX rappresenti "la parte meno evidente del marchio stesso", dal momento che, in tema di sequestro probatorio, la verifica da parte del tribunale del riesame e della Cassazione delle condizioni di legittimità del decreto che lo ha disposto, non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell’indagato in ordine al reato oggetto dell’investigazione, ma deve limitarsi al controllo, nei limiti del devolutum, della compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, con valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità del fatto (Cass., sez. 2, 22 giugno 2005, n. 26457).
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Padova per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013

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