Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-08-2012, n. 14352

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Svolgimento del processo
P.M., C.L. e C.A. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi illustrati anche da memoria, avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, resa pubblica il 5 dicembre 2008, che ha rigettato l’appello da esse proposto avverso la sentenza resa dal Tribunale di Ancona il 13.5.2002. Con tale sentenza era stata rigettata la domanda di risarcimento danni proposta, a norma dell’art. 2395 cod. civ., dalle predette nei confronti di alcuni degli amministratori della fallita XXX s.c.p.a., che il giudice penale aveva già condannato a norma dell’art. 444 cod. proc. pen. per reati connessi alla appropriazione ed alla distrazione di risorse e capitali della società. Alla quale la P., insieme con il proprio coniuge C.L. poi deceduto, aveva promesso di vendere, e materialmente consegnato, un ampio appezzamento di terreno al prezzo di lire 560.000.000, prezzo in effetti percepito solo in parte per la mancata stipula del rogito di trasferimento.
La Corte d’appello ha, in sintesi, condiviso i rilievi del Tribunale secondo cui la domanda di risarcimento dei danni che si assumono causati dai predetti comportamenti illeciti degli amministratori convenuti – per avere cioè provocato il fallimento della società, e quindi l’inadempimento della medesima al contratto preliminare concluso con l’attrice – ha ad oggetto un danno incidente solo indirettamente sul patrimonio delle parti attrici, e non è quindi sussumibile nella previsione normativa dell’art. 2395 cod. civ.. Ha inoltre ritenuto inammissibile, in quanto tardiva e comunque generica, la domanda di risarcimento di danni non patrimoniali. Al ricorso resistono, con controricorso, gli intimati, eredi di Franco F., uno degli originari convenuti.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, rispettivamente, l’omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione delle Deliberazioni di G.R. Marche Delib. n. 8555 del 1989 e Delib. n. 5448 del 1990 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2395 cod. civ.. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’aver omesso di valutare, o in ogni caso aver valutato superficialmente ed illogicamente, la richiesta di liquidazione del danno non patrimoniale; la pronuncia di rigetto di tale istanza viene censurata anche sotto il diverso profilo della violazione di legge (artt. 2043, 2059, 2727 e 2729 cod. civ).
2. Deve preliminarmente rilevarsi come, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile nella specie trattandosi di impugnazione avverso provvedimento depositato nel dicembre 2008 e quindi nel periodo di vigenza della norma), l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. da 1 a 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità; con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Ciò posto, si osserva che, nel caso in esame, l’illustrazione del primo motivo si conclude con un quesito di diritto del tutto inidoneo, alla stregua dei principi qui enunciati, in quanto in esso manca il richiamo alla ratio della statuizione sottoposta a critica, e la conseguente contrapposizione ad essa di una ratio diversa; manca anche ogni sintesi del profilo di censura afferente vizi di motivazione della sentenza impugnata. Analoghe considerazioni valgono per il quesito con il quale si conclude l’illustrazione del secondo motivo, quesito che affronta incongruamente questioni non esaminate dalla sentenza impugnata. La declaratoria della inammissibilità del ricorso ne deriva dunque di necessità, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

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