Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 27-02-2013, n. 9349

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.S., a mezzo del proprio difensore, ricorre avverso la sentenza 7.6.12 della Corte di appello di Venezia che ha confermato quella in data 25.2.11 del Tribunale di Treviso con la quale è stato condannato, per il reato di falso in testamento olografo, in concorso di attenuanti generiche, alla pena – con la concessione di entrambi i benefici di legge – di mesi cinque e giorni dieci di reclusione.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e) per avere la Corte veneziana riconosciuto la assoluta irrilevanza, ai fini del giudizio, della perizia grafica disposta nella fase dibattimentale di primo grado, avendo il perito concluso solo nel senso della "non attribuibilità della grafia e della sottoscrizione del testamento olografo in atti alla deceduta C.G.", ma ritenendo comunque di poter pervenire ad una affermazione di responsabilità del B.S. sulla base delle risultanze della consulenza tecnica disposta dal p.m., nonostante il carattere meramente indiziario da attribuirsi a detta consulenza, non in grado di assurgere a dignità di prova, tanto che proprio il primo giudice aveva sentito l’esigenza di disporre la ricordata perizia nel contraddittorio delle parti. Peraltro – si evidenzia con il secondo motivo – lo stesso consulente del p.m. aveva manifestato, con il suo elaborato, dubbi e perplessità, sia osservando che non si erano potute approfondire, con ulteriori rilievi di laboratorio, le anomalie rilevate per essere la scheda testamentaria stata analizzata solo presso lo studio notarile dove era custodita, sia rilevando che le sottoscrizioni della de cuius prese in esame coprivano un arco temporale dal 1962 al 1994, dunque antecedenti all’anno del decesso della C. (1996), la cui scrittura, se pure non aveva subito forti cambiamenti, in quella del 1994 risultava presentare – secondo le stesse conclusioni del ct. del p.m. – "una lieve rigidità dinamografica" che avrebbe dovuto indurre – sostiene la difesa dell’imputato – a maggior oculatezza e prudenza, tanto che lo stesso consulente aveva precisato che "le scritture autografe sono costituite solo da sottoscrizione, manca scrittura ordinaria della de cuius e quindi esse non si possono considerare ottimali per l’idoneità al confronto con la scrittura in verifica". Con il terzo motivo si lamenta l’omesso rilievo da attribuire alle prove testimoniali assunte, le quali deponevano per la estraneità di B. S. all’addebito contestatogli.

In primo luogo doveva considerarsi che la scheda testamentaria in argomento prevedeva in favore dell’imputato e del figlio N. non la totalità – come erroneamente riportato nell’imputazione che attribuiva a B.S. la qualità di erede universale della C. – , ma soltanto la metà del lascito, ed inoltre i testi B.U. (padre dell’imputato e coniuge separato della de cuius), V.N. e D.R., disinteressati alla controversia ed a conoscenza dei fatti per intervento diretto e personale, avevano riferito in termini che deponevano con ogni verosimiglianza e ragionevolezza per una scheda testamentaria – peraltro rinvenuta in forma del tutto fortuita ed occasionale, ad otto anni di distanza dalla morte, tra gli effetti personali della defunta – proprio di mano della C., la stessa essendosi in periodo precedente ripetutamente espressa per un aiuto economico in favore dei nipoti S. e N. dopo la propria morte, a ciò indotta dal disdicevole comportamento e disinteresse manifestato per la prole dalla querelante D.N.E..

Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 493 c.p., non rinvenendosi alcuna attinenza della qualifica di impiegato dello Stato o di altro ente pubblico con la persona di B.S., esclusivamente privato cittadino.

Con il quinto ed ultimo motivo si deduce violazione di legge, con riferimento agli artt. 192, 530 e 533 c.p.p., e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata che era pervenuta alla affermazione di responsabilità in violazione del principio costituzionale di colpevolezza "ogni oltre ragionevole dubbio2, evidenziandosi come lo stesso Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia avesse chiesto l’assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 530 c.p., comma 2.

Anche la parte civile D.N.E. ha proposto ricorso avverso la sentenza di secondo grado, chiedendone la conferma sotto il profilo della affermazione di responsabilità dell’imputato, ma censurandola in ordine alla concessione delle attenuanti generiche e al capo relativo agli interessi civili, alle spese processuali e a quelle di rappresentanza e difesa sopportate dalla parte civile.

Evidenzia la ricorrente come il consulente del p.m. abbia concluso affermando che il testamento olografo in questione non era stato redatto dalla C.G. e poteva essere attribuito con elevata probabilità alla mano di B.S., sulla base delle numerose e qualitative corrispondenze riguardanti gli aspetti funzionali e strutturali della scrittura, conclusioni che coincidevano con quelle della perizia, che aveva escluso la riferibilità del testamento alla C..

Non vi era quindi alcun valido elemento in grado di far dubitare del contrario, anche in considerazione del rancore, emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale, serbato dall’imputato e dal teste B.U. nei confronti della D.N., nonchè – sostiene la ricorrente – in ragione delle non persuasive dichiarazioni dell’imputato e di B.U. in ordine alle modalità di rinvenimento del testamento olografo e dei motivi che avrebbero indotto la C. a lasciare i propri beni al nipote e al pronipote, B.U. non essendo stato in grado di riferire con precisione la dinamica dei fatti, rendendo, in modo confusionario, una versione non sincera; l’imputato sostenendo, senza alcuna plausibile spiegazione, che i rapporti tra la C. e la D. N., sarebbero stati tesi sì da indurre la nonna a formare una scheda testamentaria in suo favore, anche perchè la dichiarazione di B.U. – secondo cui D.R. sarebbe stato a conoscenza della volontà in tal senso della C. – era stata smentita dal teste che si era detto non a conoscenza dei rapporti intercorrenti tra la defunta e la D.N., mentre il teste V. aveva riferito solo di intendimenti e propositi manifestati dalla C. di predisporre una scheda testamentaria in favore di B.S. e B.N..

Era quindi evidente che solo B.S. aveva avuto interesse a formare una falsa scheda testamentaria -prosegue la ricorrente – e nonostante si fosse determinato a non far valere le proprie ragioni successorie dinanzi alle competenti autorità, la sua condotta aveva integrato gli estremi del reato di cui agli artt. 485-491 c.p., ma non poteva essere condivisa la decisione dei giudici territoriali, perchè resa in violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con cui era stata respinta la domanda della parte civile "atteso che la pubblicazione del testamento non ha arrecato danno alcuno, non essendo derivata dalla pubblicazione alcuna azione civile". Nella specie, invece – lamenta la ricorrente – il danno non patrimoniale poteva essere ravvisato esclusivamente nella sofferenza psichica della D.N. derivante dalla contraffazione della scheda testamentaria e dalla successiva pubblicazione della medesima alla quale era conseguita un’immagine fuorviante degli accadimenti e la prova del danno doveva ritenersi sussistente in re ipsa, nel senso che dalla condotta posta in essere dall’imputato non poteva non discendere un’incidenza negativa sul patrimonio morale e psichico della parte civile.

Quest’ultima, poi, aveva subito il danno patrimoniale derivante dall’accertato possesso, in capo all’imputato, dei beni dal medesimo indicati nel corso dell’udienza del 25.1.10, consistenti nell’oro, nelle banconote, nei gioielli e negli altri effetti personali della C. di cui B.S. aveva parlato in quanto rinvenuti, unitamente al testamento, nella borsetta appartenuta alla defunta.

Osserva la Corte che il ricorso della parte civile deve essere dichiarato inammissibile in quanto, oltre a presentarsi come sostanzialmente aspecifico con riferimento al lamentato pregiudizio di carattere non patrimoniale derivante dalla asserita condotta illecitamente tenuta nei suoi confronti dal B.S., accennandosi solo ad una "sofferenza" psichica i cui contorni sfuggono a qualsivoglia valutazione, anche di merito, peraltro non consentita in questa sede, esso tende a rappresentare a questa Corte una situazione fattuale, con riguardo al danno patrimoniale di cui la ricorrente si duole, concernente un’elencazione di beni ereditari di cui B.S. sarebbe illegittimamente in possesso sulla cui natura, entità e valore nessuna valutazione di merito risulta concretamente svolta e che per certo non può essere svolta in sede di legittimità. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00. Fondato è invece il primo motivo di ricorso dell’imputato, con efficacia assorbente.

La Corte veneziana, nel confermare la sentenza di primo grado, ha ritenuto che la perizia disposta in dibattimento dal primo giudice aveva sì concluso "unicamente per la non attribuibilità della grafia e della sottoscrizione del testamento olografo in atti alla deceduta C.G., ma tale risultato doveva "essere posto in correlazione alla consulenza tecnica svolta per conto del pubblico ministero procedente che ha, invece, attribuito alla mano del B. una siffatta contraffazione con elevata probabilità".

Così facendo, però, i giudici di appello hanno elevato a dignità di prova quelle stesse risultanze – peraltro espresse non in termini di certezza, ma di "elevata probabilità" – che il giudice di primo grado aveva reputato non esaustive in ordine alla riferibilità all’imputato del testamento in questione, sì da rendere necessario l’espletamento di una perizia grafica.

Il risultato di tale perizia è stato però solo quello – pur sottolineato dalla Corte di appello -conclusivamente contenuto nella risposta fornita dal c.t.u. al quesito formulato dal tribunale, cioè che "il testamento datato 15.08.1996 non è stato scritto nè firmato dalla sig.ra C.G.", senza null’altro aggiungere – hanno rimarcato ancora i giudici di secondo grado – in merito al soggetto che avrebbe effettuato la contraffazione, per cui quella del tribunale era stata una decisione del tutto errata "perchè basata sul travisamento delle risultanze di perizia effettuata". Senonchè – osserva questa Corte – non poteva il dato probatorio mancante essere "recuperato" attraverso la valorizzazione di un elemento (la consulenza del p.m.) privo, di regola, di rilevanza probatoria, atteso che la consulenza tecnica disposta dal p.m. nel corso delle indagini preliminari non ha valore di perizia e non può essere equiparata alla perizia, costituendo semplice attività di parte (Cass., 8 febbraio 1991), priva di valore probatorio (Cass., sez. 6^, 2 marzo 2006, n. 22540) e tanto più non poteva rivestire, nella specie, la consulenza del p.m. valore probatorio dirimente in quanto espressasi pur sempre in termini probabilistici, a nulla rilevando la specificazione dei giudici di appello, per conferire a tale attività di indagine efficacia probatoria certa, secondo cui il consulente aveva, nel corso del suo esame, riferito che la sua analisi aveva riguardato numerose scritture di comparazione, anche recenti, di poco anteriori alla data del testamento.

Solo una nuova perizia, disposta attraverso lo strumento di cui all’art. 603 c.p.p. e che utilizzasse il metodo grafonomico – che studia la grafia non solo nel suo aspetto obiettivo, cogliendone anche l’evoluzione, ma in relazione altresì alla specifica scrittura, individuandone difformità e somiglianze e, soprattutto, le caratteristiche distintive, idonee a farne stabilire la provenienza da un determinato soggetto -, avrebbe potuto consentire alla Corte veneziana di acquisire elementi probatori in punto di responsabilità di B.S. in ordine al reato ascrittogli, per cui in tal senso la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Venezia per nuovo esame.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata, relativamente alle statuizioni che concernono B.S., con rinvio alla Corte di appello di Venezia per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013
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