Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-08-2012, n. 14347

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Svolgimento del processo
1 – Con atto di citazione notificato in data 19 marzo 2003 i Sigg.
G. e XXX, premesso di aver convenuto con il Comune di XXX, con atto rogato in data 16 settembre 1981, la cessione di un terreno di loro proprietà, sito nel centro storico, per la realizzazione di un parcheggio, prevedendo il pagamento del prezzo di L. 12.138.750, determinato sulla base del valore agricolo del terreno, nonchè la revisione del medesimo, con eventuale conguaglio, sulla base delle previsione della disciplina che sarebbe stata emanata in sostituzione delle norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con sentenza n. 5 del 1980, chiedevano l’attribuzione del conguaglio.
1.1 – Il Tribunale di Venezia, con sentenza depositata il 30 maggio 2002, rigettava la domanda, rilevando l’insussistenza dei presupposti per la revisione dell’importo convenuto, essendo l’area priva di edificabilità legale.
1.2 – La Corte di appello di Venezia, pronunciando sul gravame proposto dai proprietari, accertato sulla base della disposta consulenza tecnica d’ufficio che l’area ceduta faceva parte di un più ampio compendio destinato ad "aree di servizio per il distretto scolastico", e che, sulla base delle prescrizioni delle norme di attuazione del PRG, l’edificabilità era subordinata all’approvazione di un intervento di urbanizzazione preventiva, costituente – come era pacifico fra le parti – un vincolo di natura conformativa, in base al quale, a mezzo di un piano particolareggiato di iniziativa pubblica era possibile realizzare "attrezzature che integrano la funzione scolastica", escludeva sul terreno fossero ammessi interventi edilizi ad opera di privati ed affermava quindi, in assenza di legali possibilità edificatorie, la fondatezza della domanda di conguaglio, confermando la decisione impugnata, con compensazione delle spese processuali.
1.3 – Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso G. e XXX, deducendo tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Comune di XXX, proponendo a sua vola ricorso incidentale, e producendo memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
2 – Deve preliminarmente rilevarsi che i ricorsi, proposti avverso la medesima decisione, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
2.1 – Non può condividersi l’eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto nel ricorso risultano chiaramente indicati i documenti sui quali lo stesso si fonda.
2.2 – Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 19; degli artt. 1321 e 1372 c.c., nonchè della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell’applicare della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3 travolto dalla pronuncia di incostituzionalità del giudice delle leggi n. 348 del 2007: nella specie, pertanto, avvenne dovuto trovare applicazione il disposto dell’art. 39 della Legge Fondamentale sugli Espropri, con attribuzione del conguaglio calcolato in base al valore di mercato del fondo. In ogni caso non avrebbe potuto prescindersi dal giudizio delle parti, nel momento stesso in cui addivenivano alla stipulazione dell’atto di cessione, in marito alla natura edificatoria del terreno.
2.3 – Il motivo è infondato, in ognuna delle parti in cui è articolato.
Per un verso, il richiamo alla L. n. 2359 del 1965, art. 39 sulla base della totale abrogazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis muove da un presupposto totalmente errato, in quanto la pronuncia della Corte costituzionale n. 348 del 2007 riguarda soltanto i primi due commi, ma non il terzo, sul quale si fonda il criterio di individuazione delle aree edificabili.
Sotto altro profilo, l’affermazione della necessità del ricorso alla volontà delle parti come criterio per stabilire la natura edificatoria o meno del terreno è all’evidenza inadeguata, e comunque difforme al costante indirizzo di questa Corte, secondo cui, perchè possa procedersi a conguaglio, occorre verificare, applicando i criteri della normativa sopravvenuta, se ricorrano i presupposti richiesti per procedere alla nuova stima del terreno, e ciò anche prescindendo dalla valutazione comune effettuate dalle parti in sede di cessione. Questa Corte invero ha già affermato che la L. 29 luglio 1980, n. 385, nel dettare norme provvisorie sull’indennità di espropriazione di aree edificabili, ha previsto che le indennità determinate secondo i criteri dettati dall’art. 1 sarebbero state soggette a conguaglio secondo quanto stabilito dalla legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte cost. con la sentenza n. 5 del 1980, da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore della legge suddetta. Ciò comporta che la comune valutazione dell’immobile quale edificabile, in sede di accordo per la corresponsione di un acconto sull’indennità di espropriazione, non è vincolante, e non preclude quindi la verifica della natura edificatoria secondo i criteri introdotti dalla legge sopravvenuta (D.L. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis conv. in L. 8 agosto 1992 n. 359), nè la determinazione dell’importo dell’indennità spettante, il quale può, in ipotesi, risultare inferiore alla somma già percepita dall’espropriato a titolo di acconto, con conseguente esclusione di ogni conguaglio (Cass., 14 febbraio 2008, n. 3705, art. 20).
3 – Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. n. 1150 del 1942 e della L. n. 40 del 1980, art. 57 nonchè nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si deduce, in sostanza, la natura edificatoria dell’area ceduta, indicata nel P.R.G. come "area di servizio per il distretto scolastico", in quanto non sarebbe preclusa l’attività edificatoria ad opera di privati.
3.1 – Il motivo è infondato. A prescindere dall’eccezione concernente la novità della questione, deve constatarsi che, secondo le risultanze dello strumento urbanistico, diligentemente trascritte nel controricorso, l’art. 17 della N.A. del P.R.G. prevedeva, fra le Zone per attrezzature urbane, anche quella, che qui interessa, contraddistinta come "area di servizio per il distretto scolastico, nella quale potranno trovare luogo le attrezzature che integrano la funzione scolastica di ordine superiore, e più precisamente:
ristorante-mensa, zone di soggiorno e ricreative, auditorium, sale per mostre.
In tale zona il P.R.G. si attua a mezzo di P.P. di iniziativa pubblica..
Risulta quindi esclusa ogni possibilità di intervento privato, con conseguente natura agricola dell’area, per altro in sintonia con l’orientamento di questa Corte in materia di edilizia scolastica. Si è infatti affermato che, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio (o del risarcimento del danno da occupazione appropriativa), la destinazione di aree a edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali ed astratti. Nè può esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacchè l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (Cass., 26 maggio 2010, n. 12862;
Cass., 23 giugno 2008, n. 17015; Cass., 12 luglio 2007, n. 15616;
Cass., 9 dicembre 2004, n. 23028). Appare del tutto evidente come nella nozione di edilizia scolastica debbano ricomprendersi tutte le opere e le attrezzature, come quelle sopra indicate, che hanno la funzione di integrare il complesso scolastico.
4 – Il terzo motivo, con il quale si deduce la violazione degli artt. 3, 11, 42 e 117 Cost., nonchè dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, è inammissibile.
Viene, dedotto, invero, il contrasto del valore attribuito al fondo, anche se considerato agricolo, con le norme testè indicate, in quanto comunque inferiore al valore di mercato.
Deve preliminarmente osservarsi che, nelle more della presente decisione, è intervenuta la decisione della Corte costituzionale n. 181 del 2011, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del criterio fondato sul valore agricolo medio. A tale proposito questa Corte ha già avuto modo di rilevare l’irrilevanza dello ius superveniens correlato a detta pronuncia di incostituzionalità il relazione alle domande di conguaglio avanzate dopo la nota pronuncia della Corte cost. n. 223 del 1983, qualora si accerti la natura agricola del terreno, venendo in considerazione un corrispettivo erogato per cessione volontaria di area agricola, e su dette basi determinato (Cass., 21 ottobre 2011, n. 21868). Appare evidente l’insuperabilità del dato inerente alla connotazione pattizia del compenso determinato in relazione alla natura agricola del fondo, dovendosi ritenere, in caso contrario, il venir meno di qualsiasi certezza giuridica in relazione a rapporti – in parte qua – esauriti. Nell’ipotesi considerata le possibilità di revisione, e quindi di conguaglio, venivano dalle parti, in consonanza al dettato legislativo, previste solo in relazione ai terreni edificatori le censure dei ricorrenti, a ben vedere, non riguardano un’indennità ancora controversa, ma il corrispettivo di una cessione contrattualmente determinato.
5 – Con l’unico motivo del ricorso incidentale il Comune si duole della compensazione delle spese processuali, disposta dalla corte territoriale a fronte della totale soccombenza dei M., denunciando la violazione dell’art. 91 c.p.c. Per il vero nella sentenza impugnata le spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio vengono poste a carico degli appellanti, mentre, in relazione alla compensazione, si osserva che essa appare "equa", in relazione alla "particolare, articolata normativa urbanistica locale".
Deve porsi in evidenza che, trattandosi di procedimento iniziato prima del 1 marzo 2006, deve trovare applicazione la formulazione originaria dell’art. 92 c.p.c., secondo cui, "se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, in giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese fra le parti".
Non ricorre, pertanto, violazione del criterio della soccombenza, in quanto tale principio va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass., 10 gennaio 2008, n. 406). D’altra parte, la motivazione con la quale è stata giustificata la compensazione, assolutamente idonea in relazione alla normativa di riferimento, non risulta neppure censurata.
6 – In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati, ricorrendo giusti motivi, tanto per la parziale reciproca soccombenza, tanto per la delicatezza dei temi trattati, per l’integrale compensazione anche delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 24 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

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