Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2013) 18-02-2013, n. 7911

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 16 febbraio 2010 il Tribunale di Genova, in composizione monocratica, ha assolto G.G., cittadino albanese, dal reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’Immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, abbreviato in T.U. imm.) in ipotesi commesso il 28/11/2009, perchè il fatto (trattenimento ingiustificato nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di rimpatrio del questore di Genova notificatogli il 12/11/2009) non sussiste, motivando, testualmente, con "il difetto dei requisiti previsti dall’art. 14, comma 5 bis, nel decreto di espulsione adottato dal Prefetto di Genova il 12/11/2009", integrante "vizio non sanabile dell’atto amministrativo costituente il presupposto della fattispecie penale".
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova, per carenza assoluta della motivazione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, pur fondato nella denuncia di mancanza della motivazione essendosi il giudice limitato al generico rilievo di nullità insanabile del decreto di espulsione, non può essere accolto perchè il fatto contestato non è più penalmente rilevante.
Le fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e comma 5 quater, che puniscono la condotta di ingiustificata inosservanza, rispettivamente, del primo e del reiterato ordine di allontanamento del questore, ancorchè poste in essere, come nel caso in esame, prima della scadenza del termine del 24 dicembre 2010, previsto per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, devono considerarsi non più applicabili nell’ordinamento interno a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28.4.2011 (nell’ambito del processo XXX, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità della norma incriminatrice suddetta con la disciplina comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla "abolitio criminis", con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva – alla previsione dell’art. 673 cod. proc. pen. (c.f.r. le conformi sentenze di questa Sez. 1, in data 28/04/2011, n. 22105 e in data 29/04/2011, n. 20130).
2. Il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni in L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante "Disposizioni urgenti (…) per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari", ha novato le fattispecie, sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis. La nuova formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e comma 5 quater, introdotta con l’intervento normativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con le precedenti disposizioni, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia delle condotte necessarie ad integrare gli illeciti delineati e delle corrispondenti sanzioni. Sul punto è sufficiente ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE). Il decreto legge citato ha istituito, dunque, nuove incriminazioni applicabili solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.
3. Segue il rigetto del ricorso che ha assolto l’imputato con la formula più ampia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2013

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