T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 26-01-2011, n. 146

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con il ricorso in epigrafe, è impugnata la delibera n° 8 del 9 maggio 2003, con la quale il Consorzio intimato ha revocato la precedente delibera n° 138 del 20 luglio 2000, che aveva previsto la possibilità di cedere i rustici industriali, oltre che con la locazione semplice, anche con la locazione finanziaria e la vendita diretta, rinviando a successivi atti deliberativi per l’avvio delle necessarie procedure di cessione.
Per resistere al ricorso, si è costituito il Consorzio intimato, che, con memoria del 30 dicembre 2003, ne ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità, domandandone comunque il rigetto, vinte le spese.
Alla pubblica udienza del 11 gennaio 2011, sentiti i difensori, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto per essere deciso.
Si può prescindere dal vaglio della proposta eccezione di inammissibilità, stante l’infondatezza della domanda impugnatoria.
Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione dell’art. 7 della L. n° 241/1990 e dell’art. 8 della L.R. n° 10/1991, non essendo l’atto di revoca stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
La doglianza non può essere accolta tenuto conto del chiaro dettato dell’art. 21octies della legge n° 241/1990, che esclude l’annullabilità del provvedimento non preceduto da avviso di avvio ex art. 7 della medesima legge, "qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".
Con la citata memoria del 30 dicembre 2003, il Consorzio ha rappresentato che la revoca della precedente deliberazione si è resa necessaria per adempiere all’obbligo di espletamento di previa procedura ad evidenza pubblica per la dismissione degli immobili di cui si tratta, onde evitare di dar corso ad una vendita diretta suscettibile di invalidazione consequenziale all’illegittima omissione della gara.
L’argomento è idoneo a dimostrare la correttezza del "ravvedimento" dell’amministrazione rispetto all’originaria scelta di affidamento diretto del contratto, "ravvedimento" che integra atto dovuto in applicazione dell’art. 3 del R.D. n° 2440/1923 e degli obblighi di evidenza pubblica imposti dall’ordinamento nazionale e comunitario a presidio della libertà di concorrenza e par condicio tra operatori economici, della trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (conformi, ex multis, Corte Giustizia, CE, 13 settembre 2007, C260/04; Sez. I, 10 novembre 2005, C29/04; Sez. I, 13 ottobre 2005, C458/03; 7 dicembre 2000, C324/98; 25 aprile 1996, C87/94).
Con il secondo ed il terzo motivo, si censura l’impugnata delibera per violazione dell’art. 1 della L.R. n° 1/1984, nonché per eccesso di potere sotto vari profili e violazione della causa tipica.
Anche tali doglianze non possono trovare accoglimento.
La L.R. n° 1/1984, nel testo invocato in memoria di parte ricorrente del 27 novembre 2008, prevede la possibilità di "cedere i rustici industriali oltre che con il sistema della locazione semplice, anche con il sistema della locazione finanziaria (leasing) o della vendita diretta".
In base alla lettera normativa sopra riportata, non è ravvisabile, in capo ai XXX, un vincolo a cedere i fondi di cui si tratta con contratti di compravendita, restando rimessa, per un verso, alle scelte di merito insindacabili in sede di giurisdizione di legittimità ed esclusiva, per altro verso, alla libertà negoziale non coercibile dell’amministrazione, che agisca uti privatus, l’opzione sulla tipologia contrattuale e le modalità di impiego dei beni pubblici maggiormente rispondenti all’interesse pubblico perseguito ed in definitiva più convenienti per l’ente che ne è portatore.
Rientra nelle scelte di opportunità non vincolate spettanti al soggetto pubblico, pur considerato nella veste privatistica che si unisce a quella amministrativa durante la fase di formazione della volontà contrattuale della P.A., la determinazione di un ente pubblico che, rivedendo un’iniziale decisione di alienare beni pubblici, ne motivi la revoca sulla ritenuta maggiore convenienza del mantenimento della proprietà pubblica sui detti beni, con contestuale percezione dei canoni locativi, nella specie costituenti "uniche entrate proprie consortili".
La revoca impugnata, pertanto, non può ritenersi affetta da profili di illegittimità, essendo, per converso, adeguatamente motivata con riguardo al presupposto della nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi) richiesto dall’art. 21quinquies della L. n° 241/1990, quale fondamento legittimante l’esercizio del potere di ritiro (conforme, Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2010, n° 2244; Id., Sez. IV, 22 ottobre 2004, n° 6931; Id., Sez. V, 20 settembre 2001 n° 4973).
Ne consegue il rigetto della domanda di annullamento della delibera n° 8 del 9 maggio 2003 adottata dal XXX di Agrigento.
Residua l’esame della domanda di risarcimento dei danni a titolo di responsabilità precontrattuale, articolata dalla ditta ricorrente con il secondo motivo di ricorso.
La domanda è meritevole di accoglimento.
Va premesso che, con orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, si è riconosciuta la risarcibilità dei pregiudizi cagionati dal comportamento tenuto dal soggetto pubblico, nel corso delle trattative preordinate alla stipula del contratto, in violazione del generale dovere di buona fede in senso oggettivo, di correttezza relazionale nel rapporto con i privati contraenti e degli obblighi di protezione nascenti dalla posizione qualificata rivestita dall’amministrazione, come tale suscettibile di ingenerare un ragionevole affidamento nella linearità delle sue decisioni.
In particolare, il sorgere dell’obbligazione risarcitoria non è impedito dalla legittimità della revoca, derivando direttamente dalla clausola generale di buona fede sancita dagli artt. 1337 e 1338 c.c., come espressiva di principi solidaristici di rilevanza costituzionale, fondati sull’art. 2 Cost., ai quali è specialmente tenuta la parte pubblica nel rapporto con il privato, in considerazione della funzionalizzazione della sua attività anche negoziale (conformi, Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 5 settembre 2005, n° 6; Id., Sez. V, 21 aprile 2010, n° 2244; Id. Sez. V, 8 ottobre 2008, n° 4947; Id., Sez. V, 30 novembre 2007, n° 6137; Id., Sez. V, 1 marzo 2005, n° 816; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 26 agosto 2003, n° 11259; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 8 febbraio 2006, n° 1794; T.A.R. Lazio, Sez. IIquater, 2 aprile 2010, n° 5621; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 7 settembre 2010, n° 2167; Cass. civ., Sez. II, 23 febbraio 2010, n° 17411; Cass. civ., Sez. III, 8 ottobre 2008, n° 24795).
In una simile prospettiva, non rileva che la scorrettezza comportamentale si sia verificata nel corso della procedura ad evidenza pubblica, prima che la stessa si concluda o dopo l’aggiudicazione definitiva, perché la matrice costituzionale del generale dovere di buona fede è tale da imporre il superamento della tradizionale concezione binaria della fase di formazione della volontà negoziale della P.A., non potendo che essere unitario il vincolo al rispetto della sfera giuridica della controparte, derivante in capo alla P.A., sia ove riguardata come amministratore, sia come contraente.
Nel caso di specie, peraltro, la distinzione tra procedura pubblicistica e fase negoziale, tracciata in giurisprudenza, non può essere ostativa al sorgere dell’obbligazione, in quanto il Consorzio, con la deliberazione n° 138 del 20 luglio 2000 revocata, aveva previsto la possibilità di una vendita diretta ai privati conduttori, id est a trattativa privata (in epoca anteriore alla sua procedimentalizzazione ad opera del d.lgs. n° 163/2006), di talchè il caso concreto ricadrebbe nella fattispecie, da lungo tempo affermata come fonte di responsabilità precontrattuale, delle trattative per la stipula di un contratto condotte dalla P.A. in posizione del tutto paritetica alla controparte (Cass., SS.UU., 26 maggio 1997, n° 4673).
A ciò si aggiunga che il tema della sufficiente individuazione del privato alla stregua di "parte" in senso civilistico, onde farne scaturire per la P.A. l’assoggettamento al dovere di lealtà e correttezza precontrattuale, è risolto nel caso concreto, dall’effettiva sussistenza di un rapporto contrattuale di locazione già in essere tra il Consorzio e la ditta ricorrente, potenziale acquirente del fondo rustico, in forza di contratto decennale in data 02/04/1997, nonché dall’identificazione, ad opera della medesima amministrazione, dell’impresa in questione, come destinataria della cessione, con correlativa chiara personalizzazione del rapporto.
Poste queste premesse in ordine all’an della responsabilità precontrattuale, ritiene il Collegio che, nel caso concreto ne sussistano gli elementi costitutivi.
E’ incontestato, dalle deduzioni delle parti costituite, che il XXX, avendo, con delibera n° 7 del 09/10/1996, determinato le modalità di cessione dei rustici industriali realizzati nell’area di cui si tratta, ed avendo previsto, con la deliberazione n° 138 del 20 luglio 2000, la possibilità di cedere in leasing o in proprietà i rustici industriali allocati nel medesimo agglomerato, ha ricevuto, in riscontro a tali previsioni, l’opzione irrevocabile di acquisto della ricorrente, in data 13 settembre 2000, per il fondo rispettivamente condotto in locazione. In conseguenza di tale opzione irrevocabile di acquisto, l’ASI ha proceduto alla stima dell’immobile e alla determinazione del prezzo, comunicandolo alla ricorrente, che lo ha accettato. Con deliberazione n° 42 del 19 luglio 2002, l’ASI ha assegnato il lotto B/5 del comprensorio alla ricorrente, che vi ha eseguito parte delle opere progettate per l’eliminazione del tetto in amianto.
Appare evidente come gli atti posti in essere dal Consorzio intimato, pur essendo di natura interna e preparatoria della successiva manifestazione esterna della volontà negoziale, siano stati inequivocamente diretti alla stipula del contratto di compravendita e, come tali, essendo stati portati a conoscenza della ditta ricorrente, ed essendo per tale via fuoriusciti dalla sfera meramente interna della P.A., idonei ad ingenerare nella ricorrente medesima un ragionevole affidamento in ordine alla positiva conclusione delle trattative.
Rileva, a tal proposito, il principio affermato dalla Suprema Corte, in base al quale "per aversi responsabilità precontrattuale è necessario che, sia pure a livello di semplici trattative, le parti abbiano preso in considerazione gli elementi essenziali dello stipulando contratto, in quanto solo in tal caso è configurabile il fondato affidamento delle parti alla conclusione del negozio, poiché evidentemente non sono seri e concludenti approcci che non abbiano investito e non abbiano riguardato gli aspetti maggiormente significativi del negozio oggetto delle trattative, tra i quali indubbia rilevanza assume il corrispettivo" (Cass. civ., Sez. II, 23 febbraio 2010, n° 17411; Id., Sez. I, 18 giugno 2005, n° 13164).
In applicazione del summenzionato criterio discretivo, dev’essere dichiarata l’antigiuridicità della condotta tenuta dal XXX di Agrigento in violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Ed infatti, è acquisito che "la regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative, ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso e implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto" (Cass. civ., Sez. III, 8 ottobre 2008, n° 24795).
Nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, si versa nell’ipotesi appena descritta, dovendo essere qualificato come scorretto e negligente il comportamento dell’amministrazione, che, versando in stato di inescusabilità dell’errore di diritto sul doveroso espletamento della previa procedura di selezione concorsuale dei contraenti per la vendita dei beni pubblici di cui si controverte, abbia illegittimamente disatteso siffatto obbligo di evidenza pubblica, deliberando in un primo momento la vendita diretta dei fondi, portando avanti le relative trattative con la ricorrente fino alla determinazione del prezzo, alla relativa accettazione e all’assegnazione del fondo, per addivenire infine, a distanza di tre anni dalla delibera revocata, all’inevitabile presa d’atto della causa di invalidità dell’alienazione sottratta all’evidenza pubblica, circostanza che doveva ab origine vincolare la P.A. a porre in essere procedure legittime e che doveva, comunque, essere tempestivamente comunicata alla controparte, formando oggetto degli obblighi di informazione, di chiarezza e di protezione fondati sulla posizione di garanzia rivestita dall’amministrazione. Per le medesime ragioni, l’ente intimato ha violato i doveri di correttezza e protezione verso la controparte, rendendola edotta solo nel 2003, con la delibera impugnata, dell’intervenuta riconsiderazione dell’interesse pubblico, che, come si desume dal testo della delibera medesima, appare essere stata determinata da una nota, a firma del Dirigente generale dell’Assessorato regionale all’industria del 3 ottobre 2001 e che, dunque, sin da allora, doveva essere portata a conoscenza della ricorrente, onde evitare di coinvolgerla per ulteriori due anni in trattative inutili.
La gravità della violazione dell’obbligo di evidenza pubblica e del dovere di correttezza comportamentale, ad avviso del Collegio, integra appieno il criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, in seguito al precedente giurisprudenziale vincolante reso dalla Corte di Giustizia CE, Sez. III, 30 settembre 2010, C314/09, a tenore del quale "la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, dev’essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata".
Il principio così enunciato in sede europea appare dotato di chiara vis espansiva, nel nostro ordinamento interno, al generale istituto della responsabilità delle istituzioni pubbliche verso i privati, attesa l’irragionevole disparità di trattamento tra identiche situazioni giuridiche soggettive che discenderebbe dalla limitazione della sua sfera di efficacia alle sole situazioni protette dal diritto comunitario.
Da tale osservazione deriva l’irrilevanza di qualsivoglia profilo di colpevolezza, in ognuna delle accezioni sinora emerse a partire dal revirement di Cass., SS.UU. 22 luglio 1999 n° 500, ai fini dell’accertamento della responsabilità aquiliana dell’amministrazione, nel cui genus va preferibilmente ricondotta la responsabilità precontrattuale in discorso (da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 10 settembre 2007, n° 8761).
Quanto al nesso eziologico, i fatti sopra succintamente esposti appalesano l’efficienza causale della scorrettezza comportamentale dell’ASI rispetto all’evento di danno, secondo i parametri di regolarità causale e causalità adeguata di cui agli artt. 40 e 41 c.p., dovendosene inferire, sotto il profilo del quantum, la risarcibilità dei pregiudizi che derivino, quali conseguenze dirette ed immediate, dal fatto illecito, ai sensi degli artt. 1223 e 1227 c.c. (Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2002, n° 5174; T.A.R. Veneto, Sez. II, 31 marzo 2003, n° 2166).
Dalla natura precontrattuale della responsabilità accertata nel caso in esame, discende la risarcibilità delle sole voci di danno rientranti nell’interesse c.d. negativo, per lesione della libertà negoziale, con esclusione del risarcimento dell’interesse positivo e della perdita di "chance" (Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2008, n° 2680; T.A.R. Lazio, Roma, 12 dicembre 2008, n° 11343; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 8 febbraio 2006, n° 1794; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 17 maggio 2001, n° 1761).
Conclusivamente, l’amministrazione è condannata a risarcire i danni cagionati alla ditta ricorrente per aver confidato, senza sua colpa, nella positiva definizione delle trattative con la stipula del contratto di compravendita.
Pertanto, ai sensi dell’art. 34, quarto comma, del codice del processo amministrativo, il XXX di Agrigento è tenuto a proporre in favore della ricorrente, entro il termine di giorni sessanta dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, il pagamento di una somma da determinarsi in base ai seguenti criteri:
1) integrale rifusione, previa richiesta di esibizione alla ditta dei documenti giustificativi, delle spese sostenute nel corso delle trattative in vista della stipula del contratto;
2) ristoro della perdita di ulteriori occasioni di acquisto, se comprovate;
3) rifusione delle spese, debitamente documentate, ragionevolmente effettuate dopo l’assegnazione del lotto B/5 del comprensorio alla ricorrente, per eseguirvi parte delle opere progettate per l’eliminazione del tetto in amianto;
4) detrazione dell’aliunde perceptum e dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, per il principio della corrispondenza del ristoro rispetto al danno effettivamente subito, ai sensi dell’art. 30 del codice del processo amministrativo;
5) rivalutazione monetaria dell’importo dovuto, secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo, a decorrere dalla delibera impugnata, alla quale è riconducibile la consumazione della lesione dell’affidamento della ricorrente, trattandosi di debito di valore e non di valuta, in quanto sorto da fatto illecito (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 10 settembre 2007, n° 8761);
6) corresponsione degli interessi legali sulle predette somme anno per anno rivalutate, a titolo di risarcimento del danno da ritardo (C.G.A., 7 ottobre 2008, n. 842; Cass., Sez. III, 10 marzo 2006, n° 5234), nonché dalla liquidazione del danno e fino all’effettivo soddisfo, a titolo di interessi moratori, sempre che parte ricorrente non offra prova del maggior danno ai sensi dell’art. 1224, comma secondo, c.c. (tra le altre, Cass., SS.UU., 16 luglio 2008, n. 19499).
Per tutte le ragioni fin qui esposte, dev’essere respinta la domanda di annullamento della delibera n° 8 del 9 maggio 2003, mentre va accolta la domanda di risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale con condanna dell’amministrazione intimata ai sensi e nei termini superiormente precisati.
Le spese possono essere compensate tra le parti, stante la parziale reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge la domanda di annullamento degli atti impugnati, accoglie la domanda risarcitoria e, per l’effetto, condanna il XXX di Agrigento a proporre, entro il termine di giorni sessanta dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, in favore della ditta ricorrente, il pagamento della somma determinata secondo i criteri di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Nicolò Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere
Francesca Aprile, Referendario, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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