Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2013) 15-02-2013, n. 7910

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 16 aprile 2012 la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Gorizia, il 5 novembre 2009, con la quale S.M., cittadina serba, è stata condannata, con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione per il delitto previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, con successive modifiche.

La S. è stato dichiarata responsabile del suddetto reato, perchè, dopo essere stata espulsa dal territorio dello Stato a seguito di decreto emesso il 5 agosto 2003 dal Prefetto della Provincia di Bologna, notificatole in pari data dalla Questura di Bologna, e successivo ordine di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni dal 3 ottobre 2003, data di decorrenza dei termini per il trattenimento nel Centro di permanenza temporanea di Bologna, aveva fatto rientro nel territorio dello Stato senza essere munita della prescritta autorizzazione del Ministro dell’Interno;

fatto commesso in (OMISSIS).

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte l’imputata tramite il difensore di fiducia, il quale, con unico motivo, deduce la violazione della legge penale sostanziale e processuale e il difetto di motivazione anche per contrasto del D.Lgs n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, nel testo previgente alla novella legislativa 2/08/2011, n. 129, con l’art. 25 Cost., comma 2.

Secondo la ricorrente, la circostanza di essersi volontariamente allontanata dal territorio dello Stato italiano, facendo ritorno nel paese d’origine, a seguito del decreto di espulsione del 5 agosto 2003 e del successivo ordine di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni dal 3 ottobre 2003, escluderebbe, per il principio di tassatività delle condotte penalmente rilevanti, l’inosservanza del divieto di reingresso in Italia, accertata il (OMISSIS), giacchè tale violazione supporrebbe l’espulsione con accompagnamento coattivo non verificatasi nel suo caso.

E a conforto della limitazione della fattispecie criminosa di cui al il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, alle sole ipotesi di espulsione eseguita con l’accompagnamento coattivo alla frontiera, la ricorrente adduce la modifica della dizione del predetto articolo, D.L. 23 giugno 2011, ex art. 3, comma 1, lett. c), n. 8, convertito in L. 2 agosto 2011, n. 129, laddove il soggetto attivo è indicato non nello "straniero espulso" come da originaria formulazione, bensì nello "straniero destinatario di un provvedimento di espulsione", menzionando al riguardo anche l’ordinanza della Corte costituzionale n. 124 del 2012 che avrebbe rilevato l’intervenuta mutazione de soggetto attivo del reato in esame.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

La condotta ascritta all’imputata – e risultata provata alla luce delle emergenze istruttorie, secondo la puntuale e coerente motivazione della sentenza impugnata – è consistita nella violazione del divieto di ingresso nel territorio nazionale, che, nel caso in esame, ha legittimamente accompagnato l’ordine di rimpatrio.

La circostanza che la S., dopo essere stata raggiunta dal provvedimento di espulsione e dal successivo ordine di allontanamento, abbia fatto volontario rientro nel paese d’origine, senza essere coattivamente accompagnata alla frontiera, non discrimina il suo comportamento di arbitrario rientro nel territorio dello Stato italiano, come erroneamente ritenuto nel ricorso sul presupposto che il participio passato "espulso", che nella dizione originaria dell’art. 13, comma 13, qualificava lo straniero soggetto attivo del reato, è stato sostituito dallo "straniero destinatario di un provvedimento di espulsione" nella nuova formulazione dello stesso art. 13 ad opera del D.L. n. 89 del 2011, art. 3, comma 1, lett. c), n. 8) cit.

Il termine "espulso" designa, infatti, il cittadino straniero che sia stato raggiunto da un provvedimento di espulsione indipendentemente dalle modalità di esecuzione, coattiva o volontaria, della stessa espulsione, e la modifica legislativa si è limitata ad adottare una formula più precisa senza ampliare il novero dei possibili autori del delitto di inosservanza del divieto di ingresso.

Nè sussiste alcuna incompatibilità tra il reato in esame e la disciplina comunitaria in materia di rimpatri, giacchè, come è stato già precisato da questa Corte, la condotta di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino di un paese terzo, già destinatario di un provvedimento di rimpatrio, ha conservato rilevanza penale pur dopo l’emissione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea del 16 dicembre 2008 e la conseguente pronuncia della Corte di giustizia del 28 aprile 2011 nel caso E.D., perchè i principi affermati con riguardo alle modalità di rimpatrio non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della condotta di reingresso in assenza di autorizzazione (Sez. 1, n. 35871 del 25/05/2012, dep. 19/09/2012, Mejdi, Rv. 253353).

2. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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