Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-08-2012, n. 14344

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Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore del lavoro di Venezia B.V. e S. N., dipendenti della ditta XXX, appaltatrice dei servizi di asporto rifiuti di vari comuni della provincia di Venezia, impugnavano il licenziamento loro intimato il 14 marzo 1975 allegando che non costituiva giustificato motivo di licenziamento la perdita dell’appalto del Comune di (OMISSIS) presa a pretesto per licenziare, oltre a loro, altri tre lavoratori, di cui due passati all’impresa subentrate ed uno rimasto poi alle dipendenze della XXX, giacchè in precedenza erano stati adibiti promiscuamente al servizio anche in altri comuni. Il giudice di primo grado, dopo avere prospettato d’ufficio la possibile qualificazione dei recessi come licenziamento collettivo, con sentenza non definitiva dichiarava l’inefficacia dei licenziamenti con condanna della XXX alla reintegra ed al risarcimento dei danni da liquidare nel prosieguo del giudizio. Con sentenza del 22 dicembre 1999 il Tribunale di Venezia, giudicando in sede di appello, confermava detta sentenza di primo grado affermando che i lavoratori avevano pur sempre allegato l’avvenuto licenziamento di cinque dipendenti e ne avevano denunciato l’illegittimità e l’inefficacia anche per motivi attinenti alla scelta del personale da licenziare, di talchè sia la causa petendi, sia il petitum (illegittimità o inefficacia dei recessi) erano rimasti sostanzialmente invariati; d’altra parte l’inottemperanza alla procedura prescritta per il licenziamento collettivo è rilevabile d’ufficio ed è preliminare ad ogni altra valutazione. A seguito di ricorso per cassazione della XXX s.r.l. la Corte di legittimità, dopo aver affermato il principio che il potere qualificatorio attribuito al giudice deve essere coordinato con il principio della domanda, per cui il giudice non può, senza incorrere nel vizio di extrapetizione, prendere in considerazione eventuali ragioni di illegittimità dell’atto impugnato diverse da quelle dedotte, principio che non trova deroga neppure nei casi in cui i fatti materiali vengano qualificati in modo diverso da quello dedotto dalla parte, accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di Appello di Trieste. Con sentenza n. 103/2004 la Corte di Appello di Trieste ha rigettato integralmente le domande dei lavoratori.
Nelle more di tale iter processuale veniva emessa sentenza definitiva del Pretore del lavoro di Venezia, che quantificava il danno subito dai lavoratori. Tale sentenza è stata confermata dal Tribunale di Venezia. A seguito di rinvio dalla Corte di Cassazione la Corte di Appello di Venezia dichiarava che nulla era dovuto ai lavoratori.
I ricorrenti, dopo il passaggio in giudicato della suddetta sentenza della Corte di Appello di Trieste, sul presupposto che si fosse formato il giudicato in ordine alla riconducibilità dei due licenziamenti ad un’ipotesi di licenziamento collettivo, agivano per la declaratoria di nullità dei licenziamenti per violazione delle procedure di cui alla L. n. 223 del 1991.
Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda dei ricorrenti escludendo la formazione del giudicato sulla natura del licenziamento collettivo dei ricorrenti in relazione alla sentenza della Corte d’Appello di Trieste, ed escludendo comunque la riconducibilità della fattispecie in esame ad un licenziamento collettivo per difetto di prova.
Con sentenza del 12 luglio 2008 la Corte d’Appello di Venezia, per quanto rileva in questa sede, ha confermato tale sentenza affermando che la sentenza della Corte d’Appello di Trieste, costituendo mera sentenza di rito, non è entrata nel merito del licenziamento collettivo, per cui non può essersi formato giudicato sulla configurabilità di tale tipo di licenziamento; inoltre la corte veneziana ha ritenuto non provati i presupposti di fatto del licenziamento collettivo non essendovi prova del quinto licenziamento necessario per la configurabilità di tale tipo di licenziamento.
Il B. e lo S. propongono ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la XXX s.r.l..
I ricorrenti hanno presentato memoria difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo, motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. con riferimento ai presupposti di applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24 e vizio logico di motivazione. In particolare si deduce che la sentenza impugnata non avrebbe considerato che la sentenza della Corte d’Appello di Trieste ha ritenuto, in realtà, sussistente un licenziamento collettivo affermando, poi, che questo non è impugnabile per motivi attinenti a licenziamenti individuali.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2732 cod. civ. e vizio logico di motivazione. In particolare si deduce che erroneamente sarebbe stato ritenuto non provato il presupposto del licenziamento collettivo costituito dai cinque licenziamenti, in presenza della confessione giudiziale della società datrice di lavoro che avrebbe ammesso la circostanza.
Il primo motivo è infondato. Esattamente la corte veneziana ha ritenuto non formato alcun giudicato sulla sussistenza del licenziamento collettivo sulla base della sentenza pronunciata in sede di rinvio dalla Corte d’Appello di Trieste. D’altra parte tale sentenza nemmeno avrebbe potuto pronunciarsi sulla sussistenza del licenziamento collettivo in quanto la pronuncia della Corte di Cassazione che ha cassato la sentenza del Tribunale di Venezia che aveva confermato la configurabilità del licenziamento collettivo, ha affermato proprio l’illegittimità di tale pronuncia in mancanza di una deduzione in merito da parte dei ricorrenti che, viceversa, avevano dedotto l’illegittimità dei licenziamenti configurandoli quali licenziamenti individuali. Ad ogni buon conto, anche a volersi affermare che la corte triestina abbia voluto pronunciarsi sulla sussistenza di un licenziamento collettivo, la relativa pronuncia ha comunque rigettato la domanda di dichiarazione di illegittimità sotto il profilo per cui non erano stati dedotti in giudizio i vizi propri del licenziamento collettivo; in questo senso va interpretata l’affermazione impropria contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la sentenza della Corte d’Appello di Trieste è una "sentenza di rito". Quindi l’affermazione contenuta nella sentenza della corte triestina, comunque non corretta perchè, come detto, non in linea con la sentenza di annullamento della Corte di cassazione, riguardante la natura giuridica del licenziamento, non costituisce presupposto logico – giuridico di una statuizione favorevole alla parte impugnante, limitandosi, come detto, a rilevare che non erano stati dedotti in giudizio elementi inficianti la validità di tale tipo di licenziamento. Pertanto, se la Corte d’Appello di Trieste avesse realmente voluto pronunciarsi sull’illegittimità del licenziamento collettivo, avrebbe comunque pronunciato una sentenza di rigetto e la nuova domanda ora dedotta dagli attuali ricorrenti sarebbe comunque inammissibile perchè avente ad oggetto una domanda già rigettata con sentenza passata in giudicato.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto avente ad oggetto un apprezzamento di fatto sulla sussistenza dei presupposti dei licenziamenti collettivi sui quali la corte territoriale si è pronunciata con motivazione logica e compiuta considerando tutte le emergenze istruttorie che non possono essere rivisitate in sede di legittimità.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 40,00, oltre ad Euro 3.000,00 per onorario oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

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