Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-02-2013) 24-09-2013, n. 39490

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 21 maggio 2012 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza in data 20 ottobre 2009 del Tribunale di XXX, appellata da R.L., concedeva il beneficio della non menzione della condanna e sostituiva la pena detentiva irrogata all’imputato per il contestatogli reato di guida in stato di ebbrezza, con la corrispondente pena pecuniaria di Euro 2280,00, così determinando complessivamente la pena pecuniaria in Euro 3280,00 di ammenda.
2. Avverso tale decisione proponeva ricorso a mezzo del proprio difensore il R. lamentando la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di diniego opposto alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, la violazione e falsa applicazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 603 c.p.p., laddove il giudice d’appello aveva ignorato quanto sul punto affermato dalla difesa negli atti difensivi; la violazione e falsa applicazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) in relazione all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), laddove il giudice di Appello aveva ignorato quanto sul punto affermato dalla difesa negli atti difensivi; la violazione e falsa applicazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 186 codice della strada, lett. a), b) e c), la violazione del principio di offensività sancito dall’art. 25 Cost., anche sotto il profilo dell’omessa motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art.606 comma 1 lett. b) in relazione all’art. 546, comma 1, lett. e), laddove il giudice d’appello aveva ignorato quanto sul punto affermato dalla difesa negli atti difensivi. In via subordinata invocava la sostituzione della pena pecuniaria inflitta con quella del lavoro di pubblica utilità di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54, previsto dall’art. 186 C.d.S., comma 9 bis.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è infondato. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Sul punto osserva il Collegio: la Corte territoriale ha legittimamente disatteso le richieste istruttorie avanzate in appello, in piena aderenza al pacifico principio secondo cui nel giudizio d’appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è istituto di carattere eccezionale, rispetto all’abbandono del principio dell’oralità che vige nel secondo grado di giudizio, dove vale la presunzione che l’indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l’art. 603 c.p.p., comma 1, non riconosce carattere di obbligatorietà all’esercizio del potere del giudice d’appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, mentre è richiesto, come correttamente evidenzia il ricorrente, che il giudice renda conto, con adeguata motivazione sottoposta al controllo da parte di questa Corte, del percorso dal medesimo seguito nel ritenere raggiunta la prova della responsabilità. Onere al quale la corte di appello nei caso di specie non si è assolutamente sottratta, argomentando anche in ordine alla consulenza di parte e sottolineando come il perito d’ufficio abbia confutato le avverse argomentazioni (peraltro ritenute dalla gravata sentenza "generiche e del tutto scollegate dalle risultanze processuali") in termini esaustivi e precisi rendendo del tutto superflua una nuova perizia.
4. Quanto al secondo motivo, non sussiste la denunciata carenza motivazionale avendo la Corte distrettuale puntualmente risposto alle doglianze del R. in ordine alla possibile interferenza del farmaco da questi assunto (Ansimar) con gli esiti dell’alcoltest, anche tenuto conto del fatto che i giudici di primo e secondo grado hanno dato per scontato che l’imputato assumesse il farmaco in questione i cui effetti e le cui caratteristiche erano assolutamente desumibili, come risulta dalla sentenza di primo grado, dal foglio illustrativo.
Quanto all’accertamento di responsabilità, la difesa eccepisce in sostanza che si sarebbe dovuto tenere conto del medicinale contenente alcol e idoneo dunque ad influire sullo stato di ebbrezza. La tesi è infondata. Questa Corte (sentenza n. 38793 del 2011) ha già precisato che l’art. 186 C.d.S., punisce chiunque si pone alla guida in stato di ebbrezza conseguente all’uso di bevande alcoliche. Il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata in grammi per litro. Si tratta con tutta evidenza di una presunzione "iuris et de iure", che porta a ritenere il soggetto in stato di ebbrezza ogni qualvolta venga accertato il superamento della soglia di alcolemia massima consentita, senza possibilità da parte del conducente di discolparsi fornendo una prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche, la sua idoneità alla guida e l’influenza di farmaci. Nella specie, anche ammesso che l’Ansimar possa aver contribuito, sia pure marginalmente e per mera ipotesi, ad innalzare il tasso alcolemico, la responsabilità dell’imputato è correttamente accertata; infatti chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida oppure deve controllare con gli appositi test facilmente reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale (cfr. in tal senso da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 5909 del 2013, XXX.
5. Quanto alla richiesta di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità occorre tenere presente che, essendo stato il reato commesso il (OMISSIS) la sanzione all’epoca prevista era quella da tre mesi ad un anno, mentre quella attualmente prevista, e convertibile in lavoro sostitutivo, è, ai sensi della L. 29 luglio 2010, n. 120, che ha introdotto anche il lavoro di pubblica utilità, quella dell’arresto da sei mesi ad un anno. Si tratta, come è del tutto evidente, di una sanzione più gravosa di quella che risulta dalla normativa vigente all’epoca del commesso reato, sanzione alla quale, per il principio di inscindibilità del trattamento sanzionatorio, ci si deve rapportare nell’eventuale decisione di applicazione del lavoro sostitutivo, che non potrà che avere luogo in relazione ad una sanzione principale definita con riguardo ai predetti limiti edittali. Ora, la valutazione del trattamento sanzionatorio più favorevole deve essere effettuata in concreto, tenendo conto dell’interesse dell’imputato, il che presuppone la chiara consapevolezza da parte del medesimo della sanzione che gli verrà applicata e la sua accettazione (o la non opposizione). Nel presente caso la pena di cui l’imputato ha chiesto la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità, è inferiore a quella che può costituire parametro della sostituzione. Nè risulta che l’imputato intenda accettare la determinazione della pena base nel nuovo minimo edittale rilevante ai fini della sostituzione con il lavoro di pubblica utilità.
6. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2013

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