Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-02-2013) 18-09-2013, n. 38406

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 6 dicembre 2011 la Corte d’Appello di Milano, confermava la sentenza emessa in data 7 aprile 2011 dal Tribunale di Vogherà, appellata da V.M.. Questi era stato tratto a giudizio e condannato alla pena di giustizia per rispondere del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. C) e comma 2 bis, per aver guidato un ciclomotore in stato di ebbrezza con tasso alcolemico del 3,70 g/l, con l’aggravante di aver provocato un incidente stradale.

2. Avverso tale decisione proponeva ricorso a mezzo del proprio difensore il V. lamentando con un unico motivo l’inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a), in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b); la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’accertamento dell’ipotesi prevista dell’art. 186 C.d.S., lett. c).

Motivi della decisione

3. Sostiene il ricorrente che avendo gli agenti operanti provveduto ad un’unica rilevazione tramite alcol test e non al duplice controllo richiesto dalla legge, il fatto doveva essere doverosamente qualificato nell’ambito della fattispecie di cui dell’art. 186 C.d.S., lett. a), con la conseguente assoluzione dell’imputato perchè il fatto non è più previsto come reato stante l’intervenuta abolitio criminis ad opera della L. n. 120 del 2010.

4. Questa Corte ha avuto modo di precisare in analoga fattispecie che nel reato di guida in stato di ebbrezza, poichè l’esame strumentale non costituisce una prova legale, l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall’art. 186 C.d.S. (cfr. Sez. 4^, n. 27940 del 7.6.2012, Grandi, Rv. 253598).; una volta ammesso, infatti, che l’accertamento dello stato di ebbrezza possa avvenire su base sintomatica, non può affermarsi che I unica ipotesi di reato in tal modo astrattamente ravvisabile sia quella meno grave perchè, cosi dicendo, ci si porrebbe in contraddizione con il principio appena affermato. Inoltre si sovrapporrebbero indebitamente i due piani, quello processuale (ritenere consentito l’accertamento sintomatico) e quello sostanziale (ravvisare un’ipotesi di reato invece di un’altra). L’unica soluzione giuridicamente corretta è dunque quella di ritenere consentito,appunto, l’accertamento sintomatico per tutte le ipotesi di reato previste dall’art. 186 C.d.S.. Con l’ovvia precisazione che in tutti i casi in cui – pur avendo il giudice di merito accertato il superamento della soglia minima – non sia possibile affermare, secondo il criterio dell’oltre il ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente possa rientrare nelle due fasce di maggior gravità il giudice dovrà ravvisare l’ipotesi più lieve con tutte le conseguenze che ne derivano. Ma nulla vieta – ha affermato la sentenza n. 28787 del 2011 – che, a fronte di manifestazioni eclatanti di ebbrezza il giudice, fornendo la sua decisione di adeguata motivazione, possa logicamente ritenere superate le soglie superiori.

Alla luce dei principi sopra enunciati e della motivazione fornita dalla Corte distrettuale il ricorso è da ritenere infondato.

Correttamente infatti la Corte di appello ha messo in luce: l’alto valore – 2,70 g/l- riscontrato alla prima prova, decisamente superiore al limite di 1,50; che non era stato possibile effettuare la seconda perchè il V. si era rifiutato o comunque non era riuscito ad emettere un volume di aria sufficiente, circostanza riconducibile al suo stato di notevole alterazione; che i sintomi annotati nel verbale di contestazione dell’infrazione erano tali da evidenziare una alterazione da alcol alla massima soglia.

L’affermazione di responsabilità risulta dunque correttamente sostenuta da un compendio indiziario rappresentato dai sintomi sopra evidenziati e dal risultato del test, consentendo in tal modo deprimere un giudizio di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.

5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Ne consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2013
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