T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento Sez. Unica, Sent., 26-01-2011, n. 11

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. La società R.V. S.r.l., già denominata M.Z. S.r.l., espone in fatto di essere iscritta, ai sensi dell’art. 216 del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, al n. 162/TN/2005 del registro delle imprese che effettuano operazioni di recupero di rifiuti in regime semplificato per l’esercizio dell’attività di recupero dei rifiuti non pericolosi, descritti dal D.M. 5.2.1998 e idonei alle operazioni di recupero ambientale della Cava M.Z., sita in località XXX nel Comune di XXX. La citata iscrizione, valida 5 anni decorrenti dal 18.5.2005 (cfr., nota del 26.4.2007 prot. n. 1538/07/U221), da ultimo è stata aggiornata con il provvedimento del Dirigente del Settore tecnico dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente di Trento prot. n. 3366/07U221, datato 11.10.2007, che ha autorizzato l’aumento della quantità massima di rifiuti recuperabili (da 157.900 a 656.400 t./anno) ed elencato le tipologie di rifiuti non pericolosi (specificando provenienza, caratteristiche e quantità massima), utilizzabili nelle indicate attività di recupero esercitabili nel rispetto di dettagliate prescrizioni.
2. Richiamando nelle premesse le indagini preliminari condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento nonché la perizia depositata dal consulente della Procura, con la determinazione n. 388, del 25.11.2009, il Dirigente del Settore gestione ambientale dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente di Trento ha imposto alla ricorrente "il divieto di prosecuzione dell’attività di recupero di rifiuti in regime semplificato… fino a nuova comunicazione" ed ha contemporaneamente avvertito che, "con atto successivo l’Amministrazione provvederà a determinare le prescrizioni e i termini per il ripristino ai fini dell’adeguamento delle norme violate".
3. Con ricorso notificato in data 22 gennaio 2010 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 5 febbraio, la ricorrente ha impugnato il citato provvedimento, indicato al n. 1) in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:
I – "omessa comunicazione di avvio del procedimento: violazione degli artt. 24, 25 e 27 della l.p. 30.11.1992, n. 23, e degli artt. 7 e 10 della l. 7.8.1990, n. 241";
II – "mancato rispetto della sequenza procedimentale prescritta dall’art. 216 del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152; violazione dell’art. 41 della Costituzione; eccesso di potere nelle forme della carenza d’istruttoria e di motivazione, della contraddittorietà, della irragionevolezza, della illogicità, della incongruenza, dell’errore nei presupposti, della falsa manifestazione della realtà e dell’ingiustizia";
III – "mancata indicazione di un termine di durata del provvedimento; violazione dell’art. 216 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 41 della Costituzione; eccesso di potere nelle forme dell’irragionevolezza, dello sviamento di potere e dell’ingiustizia; violazione del principio di proporzionalità e di minor sacrificio per l’amministrato";
IV – "omesso accertamento circa la sussistenza dei presupposti soggettivi per l’emanazione del futuro provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e violazione del contraddittorio; violazione degli artt. 239, 240, 242, 244 e 245 del D.Lgs. n. 152 del 2006; violazione del principio comunitario "chi inquina paga"; eccesso di potere nelle forme del difetto di istruttoria e dell’ingiustizia manifesta".
4. L’Amministrazione provinciale intimata si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.
5. Dopo l’introduzione del presente giudizio, la Società ricorrente ha presentato alla Provincia di Trento la richiesta di rinnovo dell’iscrizione nel registro delle imprese che effettuano operazioni di recupero di rifiuti in regime semplificato. Con provvedimento del 17.3.2010 il Dirigente dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente ha sospeso l’istruttoria della domanda sull’assunto che era vigente il divieto di prosecuzione dell’attività oggetto dell’iscrizione.
6. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 14 maggio 2010 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il giorno 3 giugno successivo, la Società ricorrente ha impugnato anche detta delibazione, indicata al n. 3) in epigrafe, deducendo le seguenti censure;
V – "adozione di un provvedimento di sospensione dell’istruttoria al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge; violazione dell’art. 3 della l.p. 30.11.1992, n. 23, dell’art. 2 della l. 7.8.1990, n. 241, e degli artt. 214 e 216 del D.Lgs. n. 152 del 2006";
VI – "inosservanza dei limiti previsti per la sospensione del procedimento";
VII – "mancata indicazione di un termine di durata del provvedimento";
VIII – "omesso accertamento circa l’insistenza dei presupposti soggettivi per l’emanazione del futuro provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e violazione del contraddittorio".
7. In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno presentato ulteriori memorie illustrative delle rispettive posizioni.
8. Alla pubblica udienza del 13 gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2a. In punto di fatto, è doveroso ulteriormente precisare che il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo è stato dichiaratamente adottato dopo che il sito di recupero ambientale denominato Cava di M.Z. (area agricola boschiva) era stato sottoposto a sequestro preventivo ordinato dal GIP del Tribunale di Trento in data 28.11.2008, in accoglimento della richiesta della Procura della Repubblica dello stesso Tribunale che aveva disposto l’acquisizione di una consulenza tecnica d’ufficio, eseguita dal dott. XXXi, per accertare: "la tipologia dei rifiuti conferiti… se i rifiuti presenti nel sito siano ammissibili al recupero ambientale e se siano presenti in situ rifiuti da qualificarsi come pericolosi; se possibile, individui i quantitativi dei rifiuti non conformi ai parametri di legge presenti nel sito".
Il documento finale di tale verifica tecnica, depositato in data 24.8.2009, fasc. RGNR 1987/08, le cui conclusioni sono state riportate nel provvedimento provinciale oggetto del presente giudizio, dà innanzitutto atto dello stato dei luoghi, delle attività tecniche effettuate in data 30 gennaio, 12 febbraio, 10, 11, 12 e 13 marzo e 24 aprile 2009, descrive i campioni prelevati e le modalità di composizione degli stessi nonché le attività tecniche svolte presso i laboratori di analisi e gli esiti delle stesse, il tutto svolto alla presenza dei periti delle altre parti. Le conclusioni dell’indagine possono essere così riassunte:
– sono state specificate le tipologie dei rifiuti scaricate negli anni dal 2001 al 2008, precisando che "dal 2007 e per tutto il 2008… alle scorie metallurgiche si aggiungono altre tipologie di rifiuto alcune delle quali non erano ammissibili nell’attività di recupero ambientale, fra cui terre provenienti dalla bonifica di siti contaminati da prodotti petroliferi quali carburanti e combustibili, fanghi contenenti stirene, fibre e fanghi provenienti dall’industria cartaria che non potevano essere utilizzati nelle condizioni di progetto";
– è stato accertato che sia i rifiuti prelevati sulla superficie laterale del recupero ambientale che quelli stoccati a quota zero, nonché le matrici campione da + 10 m. sino alla profondità di 15 m., presentavano valori (es: cromo, vanadio, zinco, bario, floruri, rame) superiori a quelli prescritti dal D.M. 5.2.1998 e quindi che erano inidonei per essere utilizzati in attività di recupero ambientale; in definitiva, su 34 campioni prelevati, solo 2 hanno dimostrato l’idoneità ad essere utilizzati nella detta attività;
– è stato così affermato che "il 98 % dei campioni prelevati, rappresentativi dell’intero spessore del ripristino, hanno restituito valori analitici di inammissibilità in recuperi ambientali". Inoltre, "dei rifiuti accettati presso il sito di M.Z. alcuni non erano ammissibili per provenienza in quanto non previsti dal D.M. 5.2.1998… tra questi i fanghi provenienti dalla depurazione dei reflui di attività industriali dedite alla produzione delle cosiddette marmo resine contaminate da stirene; rifiuti di natura inorganica contenenti elevati quantitativi di sali di calcio e magnesio e contaminati da stirene; matrici terrose provenienti dall’attività di bonifiche di siti contaminati", mentre altri rifiuti, seppur richiamati dal citato D.M., "non presentavano nella sostanza le caratteristiche chimiche per essere introdotti in recuperi ambientali, quali le scorie provenienti da vari insediamenti dediti alla metallurgia termica dei materiali ferrosi".
In conclusione, "nel 2007 sono stati scaricati 90.071.750 kg. di rifiuti non idonei rispetto al totale scaricato di 108.487.530 kg. (pari all’83%); nel 2008 sono stati scaricati 249.882.350 kg. di rifiuti non idonei rispetto al totale scaricato di 311.365.313 kg. (pari all’80%)";
– infine, è stato osservato che i rifiuti ritrovati contenenti sostanze pericolose di natura organica si sarebbero dovuti smaltire in discariche dotate di barriere impermeabilizzanti di adeguato spessore, di un sistema di raccolta dei percolati e di verifica dell’eventuale trasferimento dei carichi inquinanti nelle matrici ambientali, nelle acque superficiali e profonde; che erano stati scaricati e messi a contatto rifiuti inorganici (quali le scorie di acciaierie e altro), con rifiuti organici fermentabili (quali i fanghi di cartiera, stabili solo in ambiente aerobico): il che, in ambiente anaerobico, porta alla formazione di metano per cui necessitava la "messa in sicurezza del sito attraverso idonea copertura che limiti l’infiltrazione delle acque nella massa dei rifiuti e che siano realizzate opere di captazione e di aspirazione del biogas che si sta formando nella massa dei rifiuti al fine di contenere quanto più possibile la migrazione dello stesso all’interno delle fatturazioni della roccia ed evitare accumuli dello stesso evitando possibili esplosioni".
2b. Nel mese di settembre 2009, tramite l’Avvocatura della Provincia, l’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente ha acquisito agli atti detta perizia e, in ragione:
– dell’autorevolezza della fonte di provenienza (Autorità che aveva già chiesto e ottenuto il provvedimento di sequestro dell’area);
– dell’inequivocabilità delle risultanze in essa contenute e più sopra riportate;
– delle chiare e tassative prescrizioni che erano state impartite con le menzionate note provinciali del 2007 di comunicazione dell’iscrizione della Società ricorrente in regime semplificato per l’esercizio dell’attività di recupero rifiuti, le quali avevano disposto in ordine alla tipologia dei rifiuti trattabili, ripetutamente richiamato e riportato la disciplina del D.M. 5.2.1998 e del D.M. 5.4.2006, n. 186, nonché imposto il divieto di creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, di creare inconvenienti per rumori e odori, di danneggiare il paesaggio e di causare pericoli;
– della contestuale prescrizione che ogni variazione o modificazione del regime semplificato avrebbe dovuto essere tempestivamente segnalata;
– del testuale disposto del comma 4 dell’art. 216 del D.Lgs. n. 152 del 2006, ove è prescritto che, in caso di mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni stabilite, la Provincia debba "disporre, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell’attività", il successivo 25 novembre ha adottato il provvedimento in questa sede impugnato.
3a. Così riassunti i prolegomeni della vicenda, nel merito deve essere definito con priorità rispetto agli altri il secondo motivo introdotto con l’atto introduttivo, che è, in conseguenza di quanto sopra esposto, privo di pregio giuridico.
Non può, infatti, essere condiviso quanto affermato dalla ricorrente che ha denunciato la mancanza di accertamenti preventivi al provvedimento inibitorio: le campionature e le successive analisi eseguite alla presenza delle parti (e/o dei loro consulenti) dal perito incaricato dalla Procura del Tribunale, di cui si dà ampio riscontro nella relazione finale del 24 agosto 2009, richiamata per relationem nella determinazione in esame e in possesso della Società ricorrente, consentono di affermare che sono privi di pregio in fatto più che in diritto il lamentato errore nei presupposti e la denunciata falsa manifestazione della realtà.
3b. Non giova alla difesa della ricorrente né sostenere che l’APPA non avrebbe potuto utilizzare a fondamento del provvedimento impugnato la relazione del consulente del Pubblico ministero essendo essa perizia tecnica di parte, né richiamare i principi costituzionali e dei codici penali sulla formazione della prova nel contraddittorio delle parti. È incontroverso, infatti, che la Pubblica amministrazione che ha rilasciato l’iscrizione al regime semplificato di recupero rifiuti, e che è titolare di funzioni di controllo sull’attività svolta, possa avvalersi delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in un procedimento penale, quindi anche di una consulenza tecnica disposta dal Pubblico ministero ritualmente acquisita, che può essere pertanto liberamente valutata, quale mezzo istruttorio, come elemento idoneo a dimostrazione di un fatto determinato ovvero a giustificazione di altre valutazioni. Ciò, a maggior ragione nel caso de quo, tenuto conto che i tecnici di APPA hanno regolarmente assistito a tutte le operazioni e che numerose delle analisi chimiche svolte sono state eseguite presso il laboratorio di APPA.
3c. Nemmeno torna utile alla ricorrente contestare i richiami contenuti della determinazione impugnata alla deliberazione della Giunta provinciale n. 2431, assunta poche settimane prima del provvedimento impugnato, con la quale la Provincia di Trento, "nell’ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell’autonomia dei soggetti coinvolti", ha costituito "presso il Servizio per le Politiche di risanamento dei siti inquinati e di gestione dei rifiuti un Gruppo di lavoro con il compito di effettuare un approfondimento di indagine e di caratterizzazione dello stato ambientale dell’areale in cui insiste l’ex cava M.Z. in Comune di Roncegno", con il compito di "impostare, pianificare, coordinare e valutare le azioni e i conseguenti risultati che si otterranno con particolare riferimento allo stato qualitativo del suolo, del sottosuolo e dell’acqua di falda".
Tra i due provvedimenti, difatti, non vi è alcuna contraddittorietà, posto che – sulla base delle viste risultanze peritali / istruttorie – l’Amministrazione provinciale ha ritenuto sufficientemente provata la non conformità di gran parte dei rifiuti conferiti nel sito in gestione alla Società ricorrente rispetto a quelli ammessi a recupero, e dunque accertata la violazione delle norme tecniche e delle prescrizioni previste nel provvedimento autorizzativo; di conseguenza, da un lato ha impartito il divieto di proseguire con il conferimento di rifiuti e, per altro profilo, strumentale alle prescrizioni da impartire, ha nominato un gruppo di esperti con il compito di verificare lo stato ambientale dell’areale "con particolare attenzione agli aspetti geologici ed idrogeologici locali".
Il secondo motivo deve essere pertanto disatteso.
4a. Con il primo motivo si deduce la violazione della legge provinciale sul procedimento amministrativo 30.11.1992, n. 23, ed in particolare degli artt. 24, 25 e 27, in quanto l’impugnato divieto non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione all’interessata dell’avvio del procedimento né da una nota di diffida.
Tale censura, in assenza di ogni allegazione in merito al diverso esito sul piano prognostico del rivendicato contraddittorio, non è ammissibile.
Va invero condivisa, al riguardo, la ricostruzione dell’istituto in esame operata dalla decisione della sez. VI del Consiglio di Stato 29.7.2008, n. 3786, che ha chiarito che la violazione della suddetta disposizione può portare all’annullamento dell’atto impugnato solo se con l’atto introduttivo l’istante abbia indicato gli elementi che, ove valutati nel corso del procedimento, avrebbero potuto essere idonei ad incidere sull’esito del procedimento. Sono anche condivisibili le argomentazioni svolte a sostegno di detta eccezione, soprattutto ove è stata puntualizzata l’esatta portata dell’articolo 21 octies, comma 2, della legge 7.8.1990, n. 241: "è vero, infatti, che tale norma pone in capo all’Amministrazione (e non del privato) l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso. E tuttavia, onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica (quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento), risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la p.a. sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’Amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve ritenersi inammissibile".
4b. A ciò deve essere ulteriormente aggiunto che, dalla lettura del provvedimento impugnato, emerge che l’Agenzia dell’ambiente ha valutato la praticabilità di adottare una preventiva diffida per evidenziare le irregolarità riscontrate con la contestuale imposizione di prescrizioni per conformare l’attività alla normativa, secondo quanto prescritto dalla seconda parte del comma 4 dell’art. 216 in esame. Ma risulta anche che l’Autorità procedente ha poi concluso che non vi erano i presupposti per l’emissione della diffida a causa dell’impossibilità giuridica di rimuovere i rifiuti in vigenza del sequestro cautelare dell’area ma, soprattutto, per la complessità della situazione in cui versava l’ampio sito in corso di bonifica, per il superamento della quale occorreva definire le prescrizioni puntuali per il ripristino che sarebbero state indicate alla conclusione dei lavori del già citato Gruppo di esperti, da poco costituito.
4c. Inoltre, il Collegio osserva che i consulenti e i dipendenti della Società ricorrente hanno regolarmente partecipato alle indagini e alle analisi svolte dal perito XXX e che, di conseguenza, può farsi applicazione di quell’indirizzo della giurisprudenza che sostiene che "non occorre la comunicazione di avvio del procedimento qualora la parte interessata abbia comunque già preso parte al procedimento" (cfr., C.d.S., sez. V, 6.10.2010, n. 7334).
In materia, è stato altresì affermato che, "a norma dell’art. 21 octies della legge 7.8.1990, n. 241, il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento, quale l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, non è annullabile se, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (cfr., C.d.S., sez. V, 17.9.2010, m. 6982).
Per quanto sopra esposto in fatto, sussistendo i presupposti indicati dal comma 4 dell’art. 216 del D.Lgs. n. 152 del 2006 – ovvero l’accertamento del mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni imposte con l’iscrizione – è palese che l’imposto divieto di prosecuzione dell’attività si configurava per l’Amministrazione provinciale quale atto dovuto.
5. Anche il terzo motivo, con il quale si denuncia la mancata indicazione di un termine di durata del provvedimento di divieto di svolgere l’attività di recupero rifiuti (il che trasformerebbe il provvedimento da sospensivo a revocatorio), non merita miglior sorte.
Innanzitutto, in fatto, non corrisponde al vero che il provvedimento impugnato mancherebbe dell’indicazione di un termine di durata certo, in quanto esso ha efficacia dal momento del suo ricevimento e fino "a nuova comunicazione successivamente alla conclusione dei lavori del gruppo di esperti" che ha ricevuto l’incarico di determinare le prescrizioni e i termini per il ripristino del sito ai fini dell’adeguamento alle norme violate.
In punto di diritto, va poi rilevato che le norme della legge sul procedimento amministrativo, segnatamente l’art. 21 quater della legge 7.8.1990, n. 241, dispone: "L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito una sola volta nonché ridotto per sopravvenute esigenze".
Dal tenore della riportata norma si rileva che, pur circondato dai necessari presupposti delle "gravi ragioni" necessarie per la sua emanazione, e del "tempo strettamente necessario" entro il quale può essere disposta, la sospensione di precedenti provvedimenti riveste sempre un carattere eccezionale. L’esercizio del relativo potere è comunque legato a evenienze "gravi" per le quali il termine finale può anche essere deducibile implicitamente.
Nel caso in esame ricorrono i presupposti giustificativi del potere, ossia da un lato la sussistenza di gravi ragioni, che non può essere revocata in dubbio in considerazione delle risultanze della menzionata perizia XXX, e, dall’altro, la finalità cui è diretto il provvedimento per gli accertamenti in corso ivi espressamente menzionati, che circoscrivono la durata della sospensione al tempo strettamente necessario per l’adozione – ponderata e sorretta dai necessari pareri tecnici – del futuro provvedimento che potrà autorizzare il ripristino dell’attività accompagnato e/o subordinato alle imprescindibili prescrizioni per conformare alla normativa la bonifica della Cava M.Z..
Pertanto l’impugnata misura di sospensione dell’attività, legata alle gravi ragioni sopra indicate per gli innumerevoli elementi di criticità evidenziati dalla perizia XXX, omettendo la fissazione di un termine finale esplicito di efficacia della stessa non rappresenta una determinazione soprasessoria sine die, venendo a coincidere – se pur non con un termine di durata da calendario – comunque con un termine certus an et quando, del quale vengono indicati precisi elementi idonei alla sua individuazione (cfr., in termini, T.A.R. Campania, Napoli, sez. II; 5.5.2010, n. 2674).
6. Le stesse argomentazioni possono essere utilizzate per respingere i primi tre motivi del ricorso incidentale, con cui è stata impugnata la nota del 17 marzo 2010 con la quale il Dirigente dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente ha sospeso l’istruttoria della richiesta di rinnovo dell’iscrizione nel registro delle imprese, presentata dalla Società ricorrente in vista della sua scadenza quinquennale, "fino a nuova comunicazione successivamente alla conclusione dei lavori del gruppo di esperti costituito con deliberazione della Giunta provinciale n. 2431 di data 9 ottobre 2009".
Anche in questo caso la ricorrente denuncia che l’istruttoria sarebbe stata sospesa al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, che non sarebbe stato instaurato il contraddittorio, che nella determinazione sarebbe stato omesso il termine di durata della sospensione.
Il Collegio osserva che, invero, il comma 7 dell’art. 3 della legge provinciale sul procedimento amministrativo prevede l’ipotesi della sospensione dell’istruttoria a causa di "fatti o atti eccezionalmente sopravvenuti" che incidano sul suo svolgimento. Tale norma, a differenza di quanto ritenuto dalla difesa della ricorrente, è applicabile al caso di specie, sul fondante rilievo, incontestabile in fatto, che la nuova iscrizione consentirà all’impresa richiedente di operare senza soluzione di continuità con il precedente titolo, circa il quale è operante il divieto di prosecuzione dell’attività. Di conseguenza è paradossale sostenere che le due istruttorie debbano seguire binari separati e che quella concernente il rinnovo dell’iscrizione non possa valutare quelle "eccezionali" circostanze che hanno imposto la sospensione dell’attività: ciò non perseguirebbe affatto gli obiettivi che scaturiscono dai principi di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa, la quale non può procedere per compartimenti stagni.
In ogni caso, la richiamata legge provinciale in materia di procedimento amministrativo contiene, al comma 4 dell’art. 2, una norma di chiusura ove è prescritto che "il procedimento amministrativo non può essere… ritardato rispetto agli adempimenti previsti per legge o per regolamento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria, le quali sono comunicate agli interessati dall’amministrazione competente". E, nella vicenda in esame, le motivate esigenze che hanno comportato la sospensione del procedimento di rinnovo sono le stesse che hanno giustificato il divieto di prosecuzione dell’attività.
In definitiva, reputa il Collegio che, in presenza del divieto di prosecuzione dell’attività di recupero di rifiuti non pericolosi presso la Cava M.Z. fino all’adozione del provvedimento con le prescrizioni per il ripristino del sito, e posto che il richiesto rinnovo dell’autorizzazione riguarda unicamente la gestione di operazioni di recupero di rifiuti nello stesso sito, anche la sospensione della seconda istruttoria abbia natura di causa di sospensione funzionale della prosecuzione dell’attività della Società ricorrente in ragione del previo completamento dell’istruttoria affidata al menzionato Gruppo di lavoro.
7. Il quarto motivo sia del ricorso introduttivo che di quello per motivi aggiunti è inammissibile a causa della carenza del requisito dell’attualità dell’interesse.
Con esso, difatti, si allega che il provvedimento con le prescrizioni e i termini per il ripristino che sarà adottato dall’Amministrazione provinciale al termine dell’operato del Gruppo di lavoro tecnico sarà emanato nei confronti della Società ricorrente omettendo l’accertamento dei presupposti soggettivi e delle responsabilità.
La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che requisiti imprescindibili per la configurazione dell’interesse al ricorso sono, oltre al carattere personale, la sua attualità e concretezza, le quali non sussistono quando il pregiudizio lamentato derivi da un atto amministrativo non ancora adottato ma solo annunciato, né quando l’emanazione del futuro provvedimento non sia di per sé in grado di arrecare una lesione nella sfera giuridica del soggetto che, attualmente, non ne conosce il contenuto. "Ne consegue l’inammissibilità del ricorso che tenda ad ottenere una pronuncia di principio, che possa essere fatta valere in un futuro giudizio con riferimento a successivi comportamenti dell’Amministrazione, atteso che la tutela di un interesse strumentale deve aderire in modo rigoroso all’oggetto del giudizio, con carattere diretto ed attuale" (cfr., C.d.S., sez. VI, 3.12.2008, n. 5937).
8. In conclusione, sulla base delle argomentazioni sopra esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e devono essere accollate alla parte ricorrente nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)
definitivamente pronunciando sul ricorso n. 26 del 2010, lo respinge.
Condanna R.V. S.r.l. al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila), oltre al 12,5% a titolo di spese generali, a favore della Provincia autonoma di Trento, e in Euro 1.500,00 (millecinquecento), (di cui Euro 1.000,00 per onorari ed Euro 500,00 per diritti), oltre a I.V.A. e C.N.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari e dei diritti a titolo di spese generali, a favore del Comune di XXX.
Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente
Lorenzo Stevanato, Consigliere
Alma Chiettini, Consigliere, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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