Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-02-2013) 18-09-2013, n. 38405

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 25 gennaio 2012 la Corte d’Appello di Brescia, in riforma della sentenza in data 4 novembre 2010 del Tribunale di Cremona, appellata dal Procuratore Generale, dichiarava J.A. e S.C. colpevoli del reato di tentato furto aggravato in un supermercato IPERCOOP, così parzialmente modificata l’originaria imputazione e li condannava, concessa l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione ed Euro 80,00 di multa ciascuno.
2. Avverso tale decisione proponevano ricorso personalmente entrambi gli imputati deducendo la violazione di legge ex art. 606, lett. b), per travisamento della prova, illogicità e carenza di motivazione nella valutazione della sussistenza del concorso di persone nel reato.
Motivi della decisione
3. I ricorsi sono infondati.
La gravata sentenza ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, affermando la penale responsabilità a carico di entrambi gli imputati, rilevando come gli stessi si erano recati insieme presso il supermercato restando così irrilevante verificare chi dei due fosse stato fermato in possesso della scatola nella quale erano stati occultati i beni appresi all’interno dei reparti, giacchè, qualsiasi di essi sia transitato con la merce dal varco riservato alla clientela che non ha compiuto acquisti, è pur certo che i beni siano stati prelevati previo accordo di entrambi, proprio perchè trovandosi i predetti in reciproca compagnia, ciò che faceva l’uno non poteva sfuggire all’altro, anche perchè i vari prodotti (provenienti da reparti diversi come attesta la loro eterogeneità) venivano collocati man mano in una scatola.
Sostengono i ricorrenti che su tale unico elemento non può fondarsi la prova dell’accordo al prelievo illecito dei beni.
Osserva il Collegio: come costantemente precisato da questa Corte (Cfr. da ultimo Sez. 2^, Sentenza n. 18745 del 15/01/2013, XXX ed altri, Rv. 255260) il concorso di persone nel reato non presuppone necessariamente un previo accordo nè la reciproca contestuale consapevolezza del comune agire, in quanto l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso, talchè assume carattere decisivo l’unitarietà del "fatto collettivo" realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicchè è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui. Sul punto la motivazione della gravata sentenza regge ampiamente il vaglio di legittimità. La Corte di merito, dopo una ricostruzione del fatto incensurabile in questa sede, ha fatto, infatti, corretta applicazione dei principi in tema di concorso di persone nel reato, in forza dei quali il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perchè in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Sezione 4^, 19 dicembre 2008, Leonardo ed altri). In questa ottica, il ruolo di entrambi imputati, pur mancando l’accertamento in ordine a quale dei due fosse stato intercettato all’uscita è risultato non arbitrariamente qualificabile come contributo concorsualmente rilevante.
4. Il ricorso va pertanto rigettato. Ne consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2013

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