Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-02-2013) 18-09-2013, n. 38404

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 1 dicembre 2011 la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza in data 3 giugno 2011 del Tribunale di Teramo, appellata dagli imputati A.A. e B.F., rideterminava la pena agli stessi inflitta per il reato di cui agli artt. 110 e 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2, in mesi sei di reclusione ed Euro 1000,00 di multa ciascuno, eliminando per il B. il beneficio della sospensione condizionale della pena e revocando per l’ A. il beneficio della sospensione condizionale della pena con sentenze in data 4 febbraio 2009 del GUP presso il Tribunale di Macerata e in data 19 novembre 2010 del Tribunale di Macerata; revocava altresì la Corte territoriale lo stesso beneficio concesso al B., con sentenze in data 10 dicembre 2009, 10 febbraio 2010 e 14 ottobre 2010 del Tribunale per i minorenni di L’Aquila e in data 29 giugno 2010 del Tribunale di Ascoli Piceno, sezione distaccata di San Benedetto del Tronto.

2. Avverso tale decisione proponevano ricorso personalmente entrambi gli imputati. L’ A. deducendo la violazione di legge e la motivazione mancante o manifestamente illogica quanto alla intervenuta pronuncia di condanna; la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge penale in materia di concessione e revoca della sospensione condizionale della pena; il B. assumendo che la Corte territoriale lo avrebbe dovuto mandare assolto in quanto nessun elemento appare sussistente riconoscere la responsabilità penale del prevenuto.

Motivi della decisione

3. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Quanto alla affermazione penale di responsabilità degli odierni ricorrenti, va premesso in fatto che è stato loro contestato di essersi impossessati di denaro contante pari ad Euro 31,50 in monete, introducendosi nei locali della ditta "XXX" S.r.l. di Tommolini Pietro, scavalcando il cancello e forzandone la porta di ingresso e le macchinette distributrici di prodotti alimentari per commettere il fatto. Il B. deduce unicamente che la Corte d’appello avrebbe dovuto mandare assolto il prevenuto ai sensi e per gli effetti dell’art. 129 c.p., per assenza di colpevolezza da parte dell’imputato. Nessun elemento infatti appare sussistente per riconoscere la responsabilità penale del prevenuto.

Trattasi in tutta evidenza di motivo assolutamente generico, considerato peraltro che la gravata sentenza ha sottolineato come lo stesso B. abbia ammesso l’addebito, riferendo particolari che poteva conoscere solo chi effettivamente si era introdotto in quegli ambienti.

Quanto al ricorso dell’ A. va altresì evidenziato che la sentenza impugnata ha affrontato e risolto le questioni concernenti il processo, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti ai fini dell’esame della posizione dell’ imputato; nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti le violazioni di cui è processo, spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell’ A.. La Corte distrettuale ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell’accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla sentenza impugnata ed in quanto tale non proponibile in questa sede e comunque – anche in questo caso- assolutamente generiche.

4. Con il secondo motivo di gravame l’ A. lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla pronunciata revoca del beneficio della sospensione condizionale. Il motivo è manifestamente infondato. La Corte distrettuale ha infatti a riguardo richiamato l’art. 168 c.p., comma 1, n. 1 e comma 3. Come precisato dalle SS.UU. di questa Corte (Sentenza n. 7551 del 08/04/1998, Cerroni, Rv. 210798, il provvedimento di revoca della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 168 c.p., comma 1, ha natura dichiarativa, sicchè il provvedimento di revoca non è che un atto ricognitivo della caducazione del beneficio già avvenuta "ope legis" al momento del passaggio in giudicato della sentenza attinente al secondo reato. Ne consegue che il giudice di appello – svolgendo un’attività puramente ricognitiva e non discrezionale o valutativa e senza, pertanto, contravvenire al divieto di "reformatio in peius" – ha il potere, anche se l’impugnazione sia stata proposta dal solo imputato, di revocare la sospensione condizionale concessa con altra sentenza irrevocabile in altro giudizio, negli stessi termini in cui tale potere è attribuito al giudice dell’esecuzione. Alla luce di tale principio è sufficiente ai fini dell’adempimento dell’obbligo motivazionale il conciso richiamo, attraverso l’operato riferimento normativo, alla sussistenza dei presupposti di diritto per la revoca del beneficio.

5. Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro ciascuno, in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2013

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