Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-08-2012, n. 14336

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Svolgimento del processo
G.A. convenne in giudizio l’XXX – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli XXX ed XXX Liberi Professionisti avanti al Tribunale di XXX e, premesso di essere titolare del trattamento di pensione di vecchiaia cosiddetta integrativa, in ragione dell’iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria e del godimento di altri trattamenti previdenziali, chiese il riconoscimento all’integrazione al minimo del trattamento percepito, invocando a tal fine il D.P.R. n. 521 del 1961, art. 3, comma 2, e il D.P.R. n. 301 del 1975, art. 11. Il Giudice adito, sulla resistenza dell’XXX, accolse la domanda. La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza del 23.11 – 7.12.2006, accogliendo il gravame dell’XXX, respinse la domanda, osservando che, a seguito della modificazione del regolamento di attuazione della Cassa disposto con D.P.R. n. 301 del 1975, che aveva conservato l’integrazione al minimo soltanto per i trattamenti già in godimento, doveva escludersi detta integrazione per quei trattamenti che, come nel caso di specie, erano stati erogati successivamente.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale G. A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo.
L’intimata XXX ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo il ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto, nonchè vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto in considerazione il disposto della L. n. 6 del 1981, art. 25, u.c., che, per i trattamenti de quibus, maturati e non ancora in godimento, ha previsto la liquidazione con le modalità stabilite prima della sua entrata in vigore.
2. Nel sistema della L. 4 marzo 1958, n. 179, istituiva della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli XXX e gli XXX, era ammessa l’iscrizione contestuale alla Cassa e ad altra forma di previdenza obbligatoria in correlazione rispettivamente con la possibilità legale di esercizio della libera professione e con l’esplicazione nel medesimo tempo di altra attività professionale. Gli iscritti alla Cassa che fossero già assoggettati ad altra forma di previdenza obbligatoria avevano diritto ad una riduzione del contributo individuale, ma potevano pretendere dalla Cassa soltanto un trattamento integrativo, ove il trattamento erogato dall’altro ente previdenziale "in dipendenza del lavoro prestato nel periodo di iscrizione alla Cassa" fosse inferiore a quello stabilito dalla Cassa stessa per i propri iscritti, e, comunque, ad un trattamento corrispondente ai soli versamenti individuali (L. n. 179 del 1958, art. 4 e art. 23, comma 2, e D.P.R. 31 marzo 1961, n. 521, art. 16).
L’ammissibilità della doppia contemporanea iscrizione venne a cessare dal 1 gennaio 1972 per effetto dalla L. 11 novembre 1971 n. 1046, la quale, recando modifiche ed integrazioni alla L. del 1958, confermò come requisito di iscrizione alla Cassa la mera possibilità legale di esercizio della libera professione, ma escluse con l’indicata decorrenza l’iscrizione stessa quando il professionista fosse iscritto ad altre forme di previdenza obbligatorie "in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata" (art. 2), con la conseguente abrogazione delle disposizioni della L. del 1958, art. 4 in tema di trattamento integrativo (art. 3).
La suddetta L. n. 1046 del 1971 dettò però, con l’art. 6, disposizioni di diritto transitorio per definire la sorte di quei ridotti versamenti che non avessero dato luogo a liquidazione di pensione, prevedendone, a decorrere dal 1 gennaio 1972, la restituzione ai professionisti, con la maggiorazione degli interessi legali maturati, o, in alternativa, su domanda da presentarsi entro il 1 gennaio 1973, l’accantonamento ai fini della corresponsione del trattamento pensionistico nella misura stabilita dalle disposizioni legislative e regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore della stessa legge, proporzionalmente ridotta in relazione agli anni di contribuzione risultanti alla data del 31 dicembre 1971.
Il D.P.R. n. 512 del 1961, art. 16 (Approvazione del regolamento di attuazione della Cassa nazionale di previdenza per gli XXX ed XXX) prevedeva, per quanto qui specificamente rileva, per gli iscritti che beneficiavano della pensione integrativa, "qualunque sia l’importo della pensione per altro titolo percepita", una particolare forma di integrazione al minimo (comma 2).
Il D.P.R. n. 521 del 1981 venne tuttavia abrogato dal D.P.R. n. 301 del 1975, art. 23 (Regolamento di esecuzione della I. 11 novembre 1971, n. 1046, in materia di ordinamento della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli XXX ed XXX), il quale, all’art. 11, mantenne l’integrazione al minimo dei trattamenti pensionistici integrativi, ivi compresi quelli previsti dalla L. n. 1046 del 1971, art. 6, comma 2 ma limitatamente a quelli "in godimento alla data di entrata in vigore del presente regolamento".
Appunto in forza di tale ultima disposizione la Corte territoriale ha negato all’odierno ricorrente il diritto all’integrazione al minimo.
3. Il ricorrente lamenta tuttavia la mancata considerazione di quanto disposto dalla L. n. n. 6 del 1981, art. 25 (Norme in materia di previdenza per gli XXX e gli XXX) e, in particolare, del disposto dell’ultimo comma di tale articolo, a mente del quale "i trattamenti previdenziali maturati ai sensi della L. 11 novembre 1971, n. 1046, art. 6, comma 2 e non ancora in godimento, saranno liquidati nella misura e con le modalità stabilite prima dell’entrata in vigore della presente legge".
Sull’assunto che la sua posizione rientri fra quelle contemplate dalla suddetta norma, il ricorrente deduce che dovrebbe trovare applicazione, anche per i trattamenti previdenziali non ancora in godimento, l’integrazione al minimo contemplata dalla previgente normativa.
4. Osserva la Corte che la disposizione invocata dal ricorrente va letta in relazione al comma 1 del medesimo articolo, che sottopone alla disciplina "…della presente legge le pensioni di vecchiaia e di anzianità che maturano dal 1 gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore".
L’u.c. ha disciplinato quindi quei trattamenti previdenziali ivi specificamente contemplati che, pur non essendo ancora in godimento, fossero non di meno già maturati, ossia quelli per i quali si fossero già realizzati tutti i presupposti per il relativo conseguimento.
Il che non si verifica nel caso di specie, posto che, alla data dell’emanazione della legge n. 6/81, l’odierno ricorrente non aveva ancora maturato il diritto al trattamento pensionistico, che avrebbe potuto ottenere soltanto con il successivo raggiungimento dell’età prescritta per il conseguimento della pensione di vecchiaia, ma possedeva soltanto il requisito contributivo.
5. Il motivo svolto, e con esso il ricorso che sul medesimo si fonda, va dunque rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 40,00 (quaranta/00), oltre ad Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

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