Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-02-2013) 24-07-2013, n. 32078

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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 22 ottobre 2012 il Tribunale del riesame di Roma ha confermato l’ordinanza con la quale il Tribunale di Roma, in accoglimento della richiesta del P.M., ha emesso decreto di sequestro preventivo L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies di due beni immobili di proprietà di C.A., confermando il fumus commissi delicti dei reati-fine aventi ad oggetto un traffico di sostanze stupefacenti (considerando anche che analogo decreto nello stesso procedimento penale era stato emesso in relazione all’ipotesi di cui all’art. 74, T.U. stup.) e ritenendo la sproporzione dei beni posseduti e la situazione economica dell’imputato.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il C. unitamente al proprio difensore, ei chiedendone l’annullamento, lamentando ignoranza od erronea applicazione della legge penale, quanto all’applicazione della L. n. 356, art. 12 sexies in quanto l’ingiustificato arricchimento sarebbe stato posto in correlazione con un traffico di stupefacenti, quando non sussisto elementi che inducano a considerare coinvolto nell’attività illecita il ricorrente, attesa l’assoluta indeterminatezza del capo di imputazione e gli esiti negativi delle perquisizioni. Inoltre il ricorrente ha evidenziato che il provvedimento di sequestro è stato confermato in collegamento con l’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 dopo che in data 19 giugno 2012, il G.U.P. presso il Tribunale di Roma aveva emesso sentenza di non luogo a procedere in relazione all’ipotesi associativa, originariamente contestata ed in relazione alla quale era stato disposto analogo decreto di sequestro preventivo. Peraltro il ricorrente ha evidenziato di essere comproprietario con altri degli immobili oggetto del disposto vincolo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso risulta infondato.
E’ quasi superfluo rammentare che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13 febbraio 2004, P.C. XXX in proc. XXX, Rv.
226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta.
2. Orbene l’ordinanza impugnata risulta congruamente ed esaustivamente motivata e si sottrae alla censura di violazione di legge proposta. I giudici hanno confermato il fumus delicti considerando che la valutazione sulla sua consistenza è stata già effettuata dal G.i.P. che ha disposto in rinvio a giudizio del C. per rispondere del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.
Inoltre i giudici hanno descritto gli elementi acquisiti, ritenuti significativi in ordine al giudizio espresso di sproporzione dei beni di proprietà del C. rispetto al reddito dello stesso.
3. Come è noto, perchè i beni o le altre utilità vengano confiscati L. n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies e quindi perchè sia possibile procedere a sequestro preventivo finalizzata alla confisca "estesa", è necessario che concorrano due condizioni: che essi siano di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato dal condannato ai fini delle imposte sul reddito o all’attività economica dallo stesso svolta; e che di essi il condannato, avendone la titolarità o la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, non riesca a giustificare la provenienza. Le S.U. penali (sentenza n. 920 del 17/11/2003, dep. 19/1/2004, Rv.226491) hanno affermato che, con l’introduzione della confisca prevista dall’art. 12-sexies, il legislatore ha operato una scelta di politica criminale, individuando alcuni delitti particolarmente gravi, idonei a creare una illecita accumulazione di ricchezza, traendo la presunzione "iuris tantum" che il condannato di tali delitti che possieda, anche per interposta persona, un patrimonio "sproporzionato" lo abbia ottenuto illecitamente per mezzo dei delitti indicati. Infatti l’ulteriore circostanza che il condannato per tali delitti non riesca a fornire una giustificazione credibile della provenienza lecita del suo patrimonio, idonea a superare la presunzione "iuris tantum" d’illiceità, finisce per confermare la provenienza delittuosa del patrimonio. Tale presunzione può essere però applicata solo quando il pubblico ministero abbia dato dimostrazione della sproporzione tra il valore dei beni da un lato e le attività economiche dall’altro, al momento di ogni acquisto dei beni stessi, in quanto è solo dopo tale dimostrazione offerta dal pubblico ministero, che il soggetto destinatario della misura cautelare o della confisca deve indicare le sue giustificazioni, con specifico riferimento temporale agli acquisti ed ai singoli beni (cfr. Sez. 5, n. 5452 del 12/1/2010, dep. 11/2/2010, XXX e altro, Rv. 246083).
4. A fronte della sproporzione come motivata nell’ordinanza (sul punto non impugnata), sussiste la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, tale da legittimare la misura disposta, tale presunzione può essere superata da specifiche e verificate allegazioni dell’interessato, il quale invece nulla ha allegato, essendosi limitato ad asserire di essere proprietario di una sola quota di proprietà.
Di conseguenza il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2013

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