T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 26-01-2011, n. 750

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Attraverso il ricorso in esame, notificato in data 14 dicembre 2009 e depositato il 18 dicembre successivo, la ricorrente chiede di accertare la responsabilità per fatti illeciti del Sindaco del Comune di XXX, quale ufficiale del Governo, e del Prefetto di XXX e, di conseguenza, di condannare il Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni subiti e subendi, patrimoniali e non, nella misura di Euro 5.722.923,00 o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia.
In particolare, la ricorrente espone quanto segue:
– di essere titolare di un contratto di affitto avente ad oggetto "gli impianti di acquedotto, irrigazione e fognature a servizio del comprensorio di XXX, in Comune di XXX", stipulato con la società "S. s.r.l." in data 3 settembre 1997, avente durata di anni 9, "con obbligo di rinnovo alla scadenza per un uguale periodo di tempo";
– in data 10 agosto 1999 il Sindaco di XXX adottava, ex art. 38 della legge n. 142/90, un’ordinanza contingibile e urgente, con la quale disponeva di assumere direttamente la gestione del servizio pubblico di erogazione di acqua potabile e connesso servizio di depurazione, ordinando a lei ed alla società S. di consegnare il 19 agosto 1999 gli impianti "di fognatura e depurazione e gli impianti di emungimento di acqua dai pozzi, gli impianti di potabilizzazione e distribuzione dell’acqua" del Comune;
– ravvisando, in ordine al suddetto provvedimento, ipotesi di illeciti penali, promuoveva azione dinanzi al Tribunale di Civitavecchia ai sensi degli artt. 700 c.p.c. e 2043 c.c.;
– con provvedimento del 16 agosto 1999, il citato giudice riteneva fondati i motivi di illegittimità sollevati in ordine alla carenza dei "gravi pericoli per la salute e l’igiene pubblica" e, pertanto, ordinava al Comune di XXX, in persona del Sindaco, di non eseguire la predetta ordinanza e fissava l’udienza di comparizione delle parti;
– il 10 novembre 1999 lo stesso giudice revocava il decreto di sospensione, ritenendo non sussistente il periculum in mora;
– nonostante avesse diffidato il Sindaco di XXX ed il Prefetto di XXX a revocare l’ordinanza, nei giorni 12 e 30 maggio 2000 il Sindaco di XXX, con l’ausilio della forza pubblica concessa dal secondo, eseguiva l’ordinanza in questione;
– posto che, nei comportamenti di cui sopra, ravvisava ipotesi di reato per abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e turbativa dell’industria e del commercio, citava in giudizio – in qualità di parte danneggiata ed offesa – il Ministero dell’Interno per chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non, ai sensi del combinato disposto degli artt. 185 c.c. e 2043 c.c.;
– in particolare, denunciava che il Sindaco del Comune di XXX – nella piena consapevolezza delle carenze che caratterizzavano il proprio comportamento – aveva agito in carenza di potere ed al di fuori dei casi previsti dalla legge n. 142 del 1990, adottando un provvedimento "al fine di eseguire interessi del tutto diversi da quelli previsti dall’ordinamento" e così acquisendo gratuitamente e senza indennizzo alcuno il possesso e la gestione del servizio idrico di XXX, "senza più restituirlo alla stessa, titolare del contratto di affitto" ma che – in ogni caso – sussisteva la responsabilità del Ministero dell’Interno, atteso che il potere spettante al Sindaco per l’emanazione di provvedimenti contingibili ed urgenti appartiene allo Stato;
– in tale giudizio, si costituiva il Ministero dell’Interno, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice adito nonché contestando la fondatezza della domanda attrice per difetto di legittimazione passiva, per insussistenza del rapporto organico con lo Stato e, infine, per mancanza della prova del danno;
– veniva – comunque – espletata attività istruttoria, in esito alla quale l’ammontare dei danni subiti e subendi risultava pari ad Euro 1.394.018,55 sino al 30 settembre 2006;
– all’udienza del 16 marzo 2009 si precisavano le conclusioni;
– con la propria comparsa conclusionale, ribadiva l’illegittimità e l’illiceità dell’ordinanza emanata dal Sindaco del Comune di XXX nonché la colpa e la negligenza del Sindaco e del Prefetto e, dunque, insisteva sulla domanda di risarcimento dei danni subiti e subendi, ai sensi degli artt. 185 c.p. e 2043 c.c.;
– il giudice civile – con sentenza n. 20205 del 2009, depositata il 7 ottobre 2009 – dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, "appartenendo essa alla giurisdizione amministrativa".
Ciò detto, la ricorrente – con l’atto introduttivo del presente giudizio – riassume il giudizio già instaurato dinanzi al Tribunale di Roma, reiterando i concetti e le doglianze già esposte – in particolare, l’insussistenza dei presupposti necessari per la legittima adozione da parte del sindaco di ordinanze contingibili ed urgenti – ma anche adducendo considerazioni del tutto innovative (qual è la denunciata invasione da parte del Sindaco di attribuzioni di competenza del Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 32 della legge n. 142/1990), e, dunque, insiste per la condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni subiti, indicati nella misura di Euro 5.722.923,00.
Con atto depositato in data 18 marzo 2010 si è costituito il Ministero dell’Interno, il quale – nel contempo – ha prodotto documenti, tra cui una nota del Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali in data 24 febbraio 2010, in cui è essenzialmente opposta la carenza di legittimazione passiva dell’Amministrazione intimata.
In data 29 ottobre 2010 il Ministero dell’Interno ha prodotto una memoria difensiva, il cui contenuto può essere così sintetizzato: – sussiste difetto di legittimazione attiva della ricorrente, atteso che quest’ultima, affittuaria dell’azienda della S. s.r.l., non poteva e non può vantare alcun titolo giuridico né sull’acquedotto né sul servizio di erogazione dell’acqua potabile e connessa depurazione, di cui si assume l’illecita sottrazione; – sussiste difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Interno, posto che il provvedimento incriminato non può essere qualificato "alla stregua di un’ordinanza contingibile ed urgente emessa dal Sindaco in veste di Ufficiale di Governo", come – del resto – asserito anche dalla ricorrente; – il provvedimento impugnato – di assunzione del servizio e di rilascio degli impianti abusivamente detenuti dalla S. – è conforme a legge; – in ogni caso, la mancata tempestiva impugnazione da parte della S. del provvedimento de quo comporta, ai sensi dell’art. 1227 c.c., l’esclusione del risarcimento di tutti i danni "che lo stesso creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza"; – la stessa prospettazione della ricorrente di ipotetiche fattispecie di reato depone per l’interruzione del rapporto organico degli agenti con lo Stato, sicché nessuna responsabilità colpevole è imputabile, in via di immedesimazione organica, in capo all’Amministrazione; – in via subordinata, sono carenti i requisiti ex art. 2043 c.c., ossia la presenza di un danno ingiusto e la prova della responsabilità colpevole del Ministero dell’Interno; – la domanda formulata – nei limiti in cui risulta incrementata rispetto a quella inizialmente formulata dinanzi al g.o. – è comunque inammissibile, stante l’impossibilità – in sede di traslatio iudici – di "aggiornare" la pretesa già avanzata..
In data 8 novembre 2010 la ricorrente ha depositato documenti.
In data 9 novembre 2010 anche il Ministero dell’Interno ha prodotto documenti.
All’udienza pubblica del 2 dicembre 2010 il ricorso è stato introitato per la decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
1.1. Come esposto nella narrativa che precede, la ricorrente chiama in causa il Ministero dell’Interno – e non anche il Sindaco del Comune di XXX e/o il Comune di XXX, nella persona del Sindaco p.t. – in quanto afferma che, ove si tratti – come nel caso di specie – di ordinanze contingibili ed urgenti, "la condotta del Sindaco, quale ufficiale di governo, è strumentalmente connessa con l’attività d’ufficio ed egli agisce effettivamente a tutela dell’interesse dello Stato" e, dunque, "l’esercizio di tale potere costituisce manifestazioni di prerogative statali,…. con la conseguenza che per la responsabilità dei danni derivanti dall’esercizio del detto potere da parte del sindaco, anche con riguardo all’operato di organi comunali, deve rispondere, pure sotto il profilo della violazione del divieto del neminem laedere, lo Stato" (pag. 12 del ricorso in riassunzione, il quale riprende pag. 5 dell’atto di citazione).
Orbene, il Collegio ritiene che tale scelta non può essere condivisa e, precisamente, sostiene che la mancata chiamata in causa del Sindaco del Comune di XXX comporti una non corretta instaurazione del contraddittorio per le considerazioni di seguito riportate.
Secondo criteri di carattere generale:
– in vigenza del c.d. sistema del doppio binario, il giudizio di annullamento avverso ordinanze contingibili ed urgenti doveva essere instaurato dinanzi al giudice amministrativo nei confronti del Sindaco, mentre la successiva domanda di risarcimento del danno proposta per l’illegittima adozione dell’ordinanza vedeva il Ministero dell’Interno come legittimo contraddittore (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 31 luglio 2002, n. 11356; Cass. Civ., Sez. Un., 26 maggio 1997, n. 4671);
– in seguito all’entrata in vigore dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000 ma ancora in costanza del principio della c.d. pregiudizialità amministrativa, il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza contingibile ed urgente e, nel contempo, per il risarcimento del danno imponeva la notifica – e tutt’ora oggi impone, sempre che l’iniziativa del privato sia così caratterizzata – al Sindaco, in qualità di ufficiale del Governo, ed al Ministero dell’Interno, pena l’inammissibilità del gravame. In tale quadro normativo, atto a consentire la confluenza dell’azione impugnatoria e quella risarcitoria dinanzi al medesimo giudice, ha trovato, infatti, pieno riconoscimento il principio che, se la premessa indefettibile dell’azione risarcitoria è costituita dall’annullamento del provvedimento illegittimo (cfr. C.d.S., Ad. Plen., 26 marzo 2003, n. 4), la chiamata in giudizio non può non estendersi anche all’Amministrazione tenuta a risarcire il danno (cfr., tra le altre, TAR Molise, Campobasso, Sez. I, 9 aprile 2009, n. 124).
Ciò detto, la situazione va ora considerata alla luce del superamento della c.d. pregiudiziale amministrativa – operato a livello giurisprudenziale già da qualche anno dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr., tra le altre, sent. 23 dicembre 2008, n. 30254) ed a livello normativo con l’entrata in vigore dell’art. 30 dell’all. 1 del d.lgs. n. 104 del 2010 – di cui la questione prospettata risulta una chiara applicazione.
Orbene, il Collegio ritiene che la soluzione non muti: atteso che l’accertamento della legittimità o meno del provvedimento amministrativo, ritenuto causativo del danno, non perde rilevanza (sia che venga inteso come presupposto dell’azione di risarcimento del danno, sia che venga, invece, configurato come una componente della stessa fattispecie risarcitoria), l’azione di risarcimento proposta in ragione dell’illegittimità di un’ordinanza contingibile e urgente non può non vedere come legittimo contraddittore anche il Sindaco che ha adottato il provvedimento, pena la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Per completezza, va soggiunto che, sempre allorché si tratti di valutare la legittimità di ordinanze contingibili ed urgenti, il profilo della legittimazione passiva nel giudizio amministrativo è stato oggetto anche di orientamenti diversi.
In particolare, va ricordato che:
– è stata riconosciuta l’inammissibilità del ricorso nell’ipotesi in cui venga notificato soltanto al Comune e non all’autorità emanante nel domicilio legale della stessa presso l’Avvocatura dello Stato per la ragione che il potere di ordinanza attribuito al Sindaco quale Ufficiale del Governo farebbe sì che l’organo dell’Ente locale risulterebbe attratto funzionalmente nell’organizzazione dello Stato, con la conseguenza che il ricorso andrebbe notificato non solo al Sindaco ma anche all’Amministrazione statale presso l’Avvocatura dell’Ente;
– è stato anche affermato che l’azione risarcitoria è, comunque, connotata da una sorta di accessorietà, atta a svilire – semmai – la legittimazione dello Stato ma non certo la legittimazione passiva del Comune (C.d.S., Sez. V, 17 settembre 2008, n. 4434).
In ogni caso, appare evidente che la legittimazione passiva del Sindaco non è stata mai posta in discussione, in quanto, "pur agendo il sindaco in veste di organo dello Stato (ufficiale del governo) e quindi di organo a servizio di più enti, egli opera nel quadro del complesso organizzatorio comunale quale elemento di tale complesso" (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4529, riguardante specificamente "domande di risarcimento di danni derivanti da ordinanze contingibili ed urgenti").
Volendo poi scendere nel caso specifico, considerando le peculiarità che connotano la questione prospettata, la legittimazione passiva del Sindaco e/o dell’Amministrazione Comunale nel presente giudizio non può che trovare ulteriore conferma.
Come più volte affermato dalla Corte di Cassazione ma anche dal giudice amministrativo, non vale ad instaurare la responsabilità di un’Amministrazione piuttosto che un’altra il mero riferimento normativo che può rinvenirsi nel provvedimento, bensì è necessaria una analisi più accurata, diretta a vagliare ulteriori elementi, primo fra tutti l’ "appartenenza dello specifico interesse perseguito, risultando riferibile l’attività svolta allo Stato o al Comune, a seconda della titolarità dell’interesse medesimo" (cfr., tra le altre, Cass. Civ., Sez. III, 6 dicembre 2005, n. 26691); in altri termini, è sempre necessario accertare il potere in concreto esercitato, al fine di stabilire se il provvedimento impugnato abbia o meno natura di ordinanza contingibile ed urgente, posta in essere dal Sindaco quale ufficiale del Governo (cfr., tra le altre, C.d.S., Ad.Pl., 30 luglio 2007, n. 10; TAR Molise, sent. già citata).
Orbene, la disamina dell’ordinanza impugnata dalla ricorrente conduce a dare a tale quesito una risposta negativa.
Nonostante il richiamo – nell’ambito del provvedimento impugnato – all’art. 38 della legge n. 142 del 1990, appare, infatti, evidente che il Sindaco ha agito per il perseguimento di interessi specifici della collettività comunale, ossia per la cura dei servizi inerenti alle esigenze normali di vita di quest’ultima e, precipuamente, al fine di ovviare all’insussistenza di un "soggetto legittimato ad attingere acqua pubblica destinata al consumo umano da distribuire ai residenti di Marina Velka", situazione questa determinata dal fallimento della società E.M. s.r.l., dalla conseguente revoca della concessione rilasciata a quest’ultima a derivare e utilizzare acqua pubblica per il consumo umano e dal diniego di subentro in tale concessione, opposto alla S. s.r.l. dalla Giunta Regionale in data 22 giugno 1999.
In sintesi, il Collegio ravvisa – in linea, tra l’altro, con i rilievi formulati dal Ministero dell’Interno – tutte le condizioni per affermare che il Sindaco del Comune di XXX ha certamente agito per l’espletamento dei propri compiti istituzionali e non per "prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini", come, invece, previsto dall’art. 38, comma 8, l. 142/90.
Tale asserzione trova – del resto – supporto nelle censure formulate dalla ricorrente, le quali risultano diffusamente incentrate sull’insussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente, ma anche nella ulteriore doglianza – sollevata per la prima volta con l’atto di riassunzione e, dunque, inammissibile – afferente l’impossibilità per il Sindaco di disporre l’assunzione diretta di un pubblico servizio (intesa dalla ricorrente come una scelta decisionale di esclusiva competenza del Consiglio comunale), la quale inequivocabilmente rivela che la stessa ricorrente si è posta il problema – seppure tardivamente – della possibilità o meno di ricondurre il provvedimento impugnato all’esercizio di un potere differente da quello contemplato dal già citato art. 38 e, propriamente, ad un potere facente capo all’amministrazione comunale.
In altri termini, appare evidente che la stessa ricorrente introduce argomenti e contestazioni che profilano l’estraneità dell’attività in contestazione – ritenuta causativa di danno – rispetto a quella di competenza dell’Amministrazione statale (rectius: Ministero dell’Interno), con la conseguenza che il legittimo contraddittore della pretese dalla medesima ricorrente avanzate non può che essere individuato nel Comune di XXX.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto non notificato all’Amministrazione comunale.
Non può essere, poi, sottaciuto che le argomentazioni in ultimo riportate valgono – nel contempo – a fondare il difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione resistente, ossia del Ministero dell’Interno, il che determina – del pari – l’inammissibilità del ricorso.
2. Non è, invece, condivisibile l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dall’Amministrazione resistente sulla base del difetto di legittimazione attiva della ricorrente.
Sotto il profilo dell’illegittimità del provvedimento impugnato, è evidente che quest’ultimo ha intaccato anche gli interessi della società S..
Per quanto attiene all’azione proposta per il risarcimento del danno – di primaria importanza in questa sede – è, invece, sufficiente ricordare che la "legitimatio ad causam" consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento.
Da essa va, pertanto, tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, atteso che la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che concerne il merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr., tra le altre, Cass.Civ., sent. n. 355 del 10 gennaio 2008; Cass. Civ., n. 13477 del 9 giugno 2006).
L’applicazione di tale assunto comporta che anche colui che si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa può agire in giudizio per il risarcimento del danno derivante dal danneggiamento della stessa (cfr. Cass. Civ., n. 15233 del 5 luglio 2007; Cass. Civ., n. 15356 del 6 luglio 2006; Cass. Civ., n. 4003 del 23 febbraio 2006).
In definitiva, la legittimazione attiva, il cui difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, va intesa come il diritto potestativo di ottenere, non già una sentenza favorevole, bensì una decisione di merito e va, dunque, riscontrata mediante la comparazione tra l’allegazione di un rapporto ed il paradigma giuridico, nel profilo soggettivo, al quale il rapporto è riconducibile, sicchè le questioni alla stessa attinenti restano distinte da quelle relative all’appartenenza all’attore del diritto controverso, che ineriscono, invece, alla effettiva titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (Cass. Civ., n. 21192 del 29 settembre 2006; Cass. Civ., n. 13756 del 14 giugno 2006; Cass. Civ., n. 15721 del 27 luglio 2005).
Nel caso di specie, la prospettazione della ricorrente non induce a riscontrare un diritto rappresentato come altrui né oggetto della sfera di azione e di tutela della predetta, al di fuori del relativo modello legale tipico.
Da ciò consegue che la legittimazione attiva della S. non può essere esclusa.
3. Le argomentazione del Ministero dell’Interno non sono – in ogni caso – irrilevanti.
Soprassedendo su valutazioni concernenti la legittimità o meno del provvedimento impugnato, le eccezioni dell’Amministrazione impongono, infatti, di considerare la sussistenza o meno di una fattispecie di illecito civile causativa di un danno qualificabile ingiusto a sfavore della ricorrente o, più semplicemente, la sussistenza o meno di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela di cui la stessa ricorrente figuri come titolare.
In altri termini, assume rilevanza la titolarità del rapporto, di cui – in precedenza – è stata data evidenza.
Orbene, il Collegio giunge alla conclusione che – nella fattispecie in esame – la ricorrente può vantare un ruolo meramente "secondario", ossia viene in rilievo esclusivamente in virtù della situazione derivatale dalla S. s.r.l..
Come posto in risalto dal Ministero dell’Interno, la ricorrente è mera affittuaria dell’azienda che fa capo alla già citata S., ma alcun rapporto è mai intercorso tra l’Amministrazione e la S. in ordine alla gestione dell’acquedotto e/o del servizio pubblico in questione.
In definitiva, la S. non può essere riconosciuta in veste di effettiva titolare della situazione giuridica soggettiva in ordine alla quale potrebbe riconoscersi l’ingiusta lesione eventualmente attribuibile all’adozione del provvedimento impugnato.
Da ciò consegue che la ricorrente non può dolersi della illegittima perdita della gestione del servizio pubblico di erogazione dell’acqua potabile e del connesso servizio pubblico di depurazione in località Marina Velka (chiaro, diretto effetto dell’assunzione diretta del servizio da parte del Comune, disposto in virtù dell’adozione del provvedimento impugnato) e, per tale motivo, chiedere il risarcimento dei danni, atteso che – in alcun caso, neanche a titolo abusivo – è stata mai riconosciuta – a differenza della S. s.r.l. (cfr. nota Amm. Prov. XXX in data 1 luglio 1999) – titolare del servizio in questione.
In una visione più ampia, la perdita materiale del servizio va – in verità – ricondotta al diniego di subentro nella concessione opposto alla S. s.r.l. dalla Giunta Regionale con la deliberazione n. 3575 del 22 giugno 1999, espressamente richiamata nel provvedimento impugnato, la quale non risulta impugnata, atteso che – rispetto a tale diniego – l’ordine di consegna degli impianti si pone come un atto dovuto, necessitato.
La circostanza che tale ordine si riferisca anche alla S. si presenta come una mera eventualità, riconnessa alle peculiarità del caso concreto, determinate dai rapporti tra la S. e la S., ma non vale certo ad instaurare in capo a quest’ultima una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela e, dunque, protetta dall’ordinamento sotto il profilo sostanziale, ossia con il divieto del neminem laedere.
Del resto, è noto che l’affittuaria – di per sé – assume diritti ed obblighi esclusivamente nei confronti della proprietaria dell’azienda ed è, dunque, soltanto nei confronti di quest’ultima che può dolersi di eventi riguardanti l’attività dell’azienda stessa, senza poter vantare aspettative verso i terzi, tanto più in situazioni del genere di quelle in esame, caratterizzate da gestioni in atto già caratterizzate dall’abusività.
4. In ogni caso, le censure formulate non valgono a svilire la legittimità del provvedimento impugnato.
La disamina dell’atto di citazione notificato al Ministero dell’Interno rivela, infatti, che la ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato sulla base essenzialmente della violazione dell’art. 38 della legge n. 142/90, ossia della carenza dei presupposti di legge necessari per l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti.
Atteso che – come già in precedenza rilevato – tale provvedimento non costituisce – al di là del richiamo del citato art. 38 – un’ordinanza contingibile ed urgente, bensì rappresenta chiara espressione di poteri spendibili per il perseguimento di interessi precipui della comunità comunale, le ricordate censure debbono essere considerate infondate.
Stante l’infondatezza dei motivi di illegittimità desumibili dall’atto di citazione in esame, anche la connessa domanda di risarcimento del danno non può trovare accoglimento.
5. In ultimo, permane da valutare la domanda di risarcimento del danno in relazione alla concessione della forza pubblica da parte del Prefetto per l’esecuzione dell’ordinanza in questione.
Tale domanda va dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito.
L’attività in questione rappresenta, infatti, un mero "comportamento", estraneo all’"illegittimo esercizio di attività amministrativa" o al "mancato esercizio di quella obbligatoria" (art. 30 dell’all. 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104) e, comunque, non rientrante nelle ipotesi di "risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi" (art. 7 della legge n. 205/2000).
Ad abundantiam, va evidenziato che il Ministero dell’Interno ha, comunque, negato "che la forza pubblica abbia poi avuto un qualche ruolo attivo o materiale nell’esecuzione del provvedimento del Sindaco, avvenuto materialmente il 30 maggio 2000" e tali asserzioni non sono state oggetto di contestazione alcuna da parte della ricorrente.
6. Per le ragioni illustrate, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in Euro 3.000,00 a favore del Ministero dell’Interno.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 10988/09, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del Ministero dell’Interno in Euro 3.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2010 con l’intervento dei Magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere
Antonella Mangia, Consigliere, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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