Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-08-2012, n. 14350

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che la Corte d’Appello di Roma, sezione per i minorenni, con decreto del 13 maggio 2011, ha respinto il reclamo proposto dai cittadini albanesi H.S. e B.L. – genitori della minore H.R., nata a (OMISSIS) – avverso il decreto del Tribunale per i minorenni di Roma del 7 giugno 2010, con il quale era stata loro concessa l’autorizzazione a permanere nel territorio dello Stato italiano, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, comma 3, per il periodo di ventiquattro mesi a decorrere dalla data di comunicazione del predetto decreto, al fine di provvedere alla cura della predetta minore;

che la Corte di Roma – premesso che i reclamanti avevano dedotto che la figlia minore è affetta da malattia (fibrosi cistica, per la quale è ricoverata presso l’Ospedale pediatrico (OMISSIS) di (OMISSIS)) "di natura incurabile, nel senso che non esistono allo stato terapie risolutive nè possibilità di guarigione definitiva", che, in considerazione di tali motivi, "il Tribunale adito avrebbe dovuto rilasciare ai reclamanti l’autorizzazione provvisoria a permanere in Italia almeno per anni cinque affinchè la minore possa ricevere le cure migliori del caso", e che "l’autorizzazione ad un più ampio periodo di permanenza in Italia avrebbe peraltro consentito ai genitori della minore anche di pianificare la loro vita sul piano lavorativo" -, nel respingere il reclamo, ha osservato che: a) il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, "non prevede un limite temporale massimo alla autorizzazione all’ingresso od alla permanenza dei familiari, dettata da ragioni connesse alle esigenze psico- fisiche del minore, ma riserva al giudice ampia discrezionalità nel quantificare il periodo temporale per il quale si ritiene di dover concedere l’autorizzazione in relazione alle esigenze in concreto rappresentate"; b) "… il periodo biennale concesso dal Tribunale … non si appalesa incongruo rispetto alle concrete esigenze di cura della minore; esigenze che è opportuno siano oggetto di verifica e rivalutazione periodiche da parte dell’autorità che autorizza l’entrata o la permanenza nel territorio nazionale di soggetti in deroga alla disciplina sulla immigrazione e sui ricongiungimenti familiari, sia con riferimento alle condizioni di salute della minore ed al percorso curativo programmato sia con riferimento a possibili mutamenti delle condizioni assistenziali del paese di appartenenza della minore (nel caso in esame l’Albania) poichè la eventuale creazione di strutture sanitarie idonee a dispensare al minore nel suo luogo di origine cure identiche a quelle fruite in Italia farebbe venir meno il presupposto di fatto all’autorizzazione alla permanenza nel territorio italiano del minore e della sua famiglia"; c) "le esigenze dei familiari che possono assumere rilevanza nel giudizio sulla autorizzazione in esame non sono certo quelle collegate alle possibilità di espansione delle attività commerciali di cui gli stessi familiari sono titolari (il padre della minore è socio al 30% di una società commerciale con sede in (OMISSIS) avente per oggetto sociale la commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio di bevande e prodotti vari) poichè ciò che la norma intende tutelare sono esclusivamente le esigenze di cura e sviluppo pico-fisico del minore, rispetto alle quali le esigenze (che possono essere molteplici) di cui sono portatori i familiari del minore hanno valenza soltanto riflessa";

che avverso il decreto di reiezione del reclamo H.S. e B.L. hanno proposto ricorso per cassazione – deducendo due motivi di censura – nei confronti del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma il quale, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che il Procuratore generale ha concluso, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Considerato che, con i due motivi di censura, i ricorrenti criticano il decreto impugnato anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) non hanno considerato che, in ragione sia della natura "incurabile" della malattia della figlia minore sia dell’assenza – nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, – di un limite temporale massimo di autorizzazione alla permanenza nel territorio nazionale, la disposizione applicata avrebbe dovuto essere interpretata nel senso che, nel caso di malattia incurabile, l’autorizzazione dovrebbe essere concessa per un lungo periodo (nella specie, i ricorrenti avevano richiesto l’autorizzazione a permanere in Italia per cinque anni); b) hanno omesso di considerare che nei casi di malattia incurabile del minore, quale quello di specie, le esigenze lavorative dei genitori non hanno valenza riflessa ma sono strettamente collegate con le condizioni di salute dello stesso minore;

che il ricorso non merita accoglimento;

che le sezioni unite di questa Corte, con la recente sentenza n. 21799 del 2010, nel risolvere un contrasto della propria giurisprudenza sull’interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, hanno enunciato il principio di diritto, secondo cui la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 in presenza di gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico dello stesso minore, non postula necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal definitivo sradicamento dello stesso minore dall’ambiente in cui è cresciuto, dovendo tuttavia trattarsi di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità le quali, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare;

che, nella specie – premesso che i ricorrenti, con il decreto dei Tribunale per i minorenni di Roma del 7 giugno 2010, hanno già ottenuto l’autorizzazione a permanere nel territorio dello Stato italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, per il periodo di ventiquattro mesi a decorrere dalla data di comunicazione del decreto, al fine di provvedere alla cura della figlia minore, affetta da malattia incurabile -, le censure al decreto impugnato sono sostanzialmente volte ad ottenere un’autorizzazione per un periodo più lungo, richiesto nella misura di cinque anni;

che, tuttavia, la Corte di Roma – premesso correttamente che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, "non prevede un limite temporale massimo alla autorizzazione all’ingresso od alla permanenza dei familiari, dettata da ragioni connesse alle esigenze psico- fisiche del minore, ma riserva al giudice ampia discrezionalità nel quantificare il periodo temporale per il quale si ritiene di dover concedere l’autorizzazione in relazione alle esigenze in concreto rappresentate" – ha affermato che "… il periodo biennale concesso dal Tribunale … non si appalesa incongruo rispetto alle concrete esigenze di cura della minore; esigenze che è opportuno siano oggetto di verifica e rivalutazione periodiche da parte dell’autorità che autorizza l’entrata o la permanenza nel territorio nazionale di soggetti in deroga alla disciplina sulla immigrazione e sui ricongiungimenti familiari, sia con riferimento alle condizioni di salute della minore ed al percorso curativo programmato sia con riferimento a possibili mutamenti delle condizioni assistenziali del paese di appartenenza della minore (nel caso in esame l’Albania), poichè la eventuale creazione di strutture sanitarie idonee a dispensare al minore nel suo luogo di origine cure identiche a quelle fruite in Italia farebbe venir meno il presupposto di fatto all’autorizzazione alla permanenza nel territorio italiano del minore e della sua famiglia", e che "le esigenze dei familiari che possono assumere rilevanza nel giudizio sulla autorizzazione in esame non sono certo quelle collegate alle possibilità di espansione delle attività commerciali di cui gli stessi familiari sono titolari (il padre della minore è socio al 30% di una società commerciale con sede in (OMISSIS) avente per oggetto sociale la commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio di bevande e prodotti vari), poichè ciò che la norma intende tutelare sono esclusivamente le esigenze di cura e sviluppo pico-fisico del minore, rispetto alle quali le esigenze (che possono essere molteplici) di cui sono portatori i familiari del minore hanno valenza soltanto riflessa";

che a tale motivazione, ineccepibile sia in punto di fatto sia in punto di diritto, può aggiungersi, in generale – conformemente alla menzionata sentenza delle sezioni unite n. 21799 del 2010 -, che le situazioni tutelate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, non sono quelle di lunga o indeterminabile durata e caratterizzate da tendenziale stabilità, quale quella di specie (malattia "incurabile"), sicchè la scelta dei Giudici a quibus di concedere un’autorizzazione certamente di non breve durata (due anni), tale comunque da consentire una verifica periodica delle condizioni di salute della minore, oltrechè conforme a diritto, è anche motivata con argomentazioni congrue e ragionevoli;

che non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

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