Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-08-2012, n. 14349

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che il Tribunale di Cassino, con la sentenza n. 200/08 del 17 marzo 2008 – nel giudizio promosso da G.M. nei confronti di C.B. – pronunciò la separazione personale dei coniugi, dichiarandola addebitabile al C., assegnò la casa familiare – sita in (OMISSIS) – alla G. e condannò il marito a versare alla moglie l’assegno di mantenimento mensile di Euro 700,00;

che, a seguito di appello del C. cui ha resistito la G., la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 1830/10 del 28 aprile 2010, ha rigettato l’appello;

che la Corte di Roma, per quanto in questa sede ancora rileva: a) ha confermato la dichiarazione di addebito della separazione al C., sulla base delle assunte testimonianze dei figli della coppia, M. e Ma., e della sorella del C., F., osservando che il comportamento del marito – consistito nel sostanziale allontanamento dalla casa familiare romana per stabilirsi nella (OMISSIS), nel lesinare alla moglie il danaro necessario a soddisfare le esigenze familiari, nel sostanziale disinteresse quanto all’accudimento dei figli (dei quali uno del tutto disabile e poi deceduto) – è "gravemente carente sotto il profilo dei doveri nascenti dal matrimonio, considerato l’acclarato distacco e la scarsa partecipazione affettiva ed economica alla vita di coppia, prima, con i conseguenti riverberi anche nei confronti dei figli"; b) ha confermato, altresì, i provvedimenti economici stabiliti dal Tribunale: al riguardo – premesso che il C. contesta non già l’an ma soltanto il quantum (Euro 700,00 mensili) dell’assegno di mantenimento stabilito a suo carico, tenuto conto della non rilevante misura della pensione di Euro 1.000,00 mensili dallo stesso percepita, e che, al fine di decidere tale questione, "vanno prese in considerazione le complessive situazioni patrimoniali dei soggetti, comprensive non solo dei redditi in senso stretto, ma anche dei cespiti di cui essi abbiano il diretto godimento e di ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica" -, ha comparato tali rispettive situazioni patrimoniali, affermando: da un lato, che il C., oltre alla pensione mensile, è titolare della villa trifamiliare di (OMISSIS), di depositi bancari pari ad Euro 500.000,00 come da lui stesso dichiarato, del ricavato dalla vendita di uno dei tre appartamenti della villa pari ad Euro 120.000,00 nonchè del diritto di usufrutto di altro appartamento, ed inoltre dei redditi provenienti dallo svolgimento di attività lavorativa per conto della Società Herbalife; dall’altro, che la G. è titolare di pensione mensile di Euro 200,00, nonchè del diritto di godimento della casa familiare romana di via (OMISSIS), di proprietà comune, ed ha concluso che l’assegno di mantenimento stabilito dal Giudice di primo grado "appare appena sufficiente a garantire all’appellata una dignitosa sopravvivenza"; c) ha respinto il motivo d’appello del C. concernente la condanna alle spese del giudizio di primo grado, tenuto conto della prevalente soccombenza dello stesso in tale giudizio, ed ha condannato il C. medesimo alle spese del giudizio d’appello, avuto riguardo alla sua totale soccombenza;

che avverso tale sentenza, C.B. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;

che resiste, con controricorso, G.M.;

che il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il rigetto.

Considerato che, con i primi due motivi, con cui deduce la violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus hanno omesso di valutare compiutamente la situazione patrimoniale della moglie per quanto riguarda in particolare la casa familiare che, per posizione ed ubicazione, avrebbe valore superiore alla villa di (OMISSIS);

che, con il terzo articolato motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., il ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte d’Appello ha omesso di valutare compiutamente le prove acquisite per quanto riguarda in particolare: le proprie dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta dal 2005 al 2007, l’attendibilità della deposizione testimoniale del figlio Ma., la dichiarazione di titolarità del deposito bancario pari ad Euro 500.000,00 che sarebbe frutto di "mero refuso e/o errata interpretazione", la soltanto affermata attività lavorativa per conto della Società Herbalife, la propria situazione patrimoniale che sarebbe di valore molto inferiore a quanto apoditticamente affermato, e sostenendo altresì l’iniquità della condanna alle spese, tenuto conto che ragioni di opportunità e la natura della controversia avrebbero imposto, invece, la loro compensazione;

che il ricorso è inammissibile, sia perchè i motivi d’impugnazione sono assolutamente generici, sia perchè gli stessi motivi, complessivamente considerati, tendono inammissibilmente a provocare una nuova valutazione delle prove assunte nel giudizio di merito, notoriamente preclusa in sede di legittimità;

che infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte: a) con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, l’apprezzamento dei fatti e delle prove essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto nell’ambito di tale sindacato non è attribuito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato dì individuare le fonti del proprio convincimento e, al riguardo, di valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex plurimis e tra le ultime, l’ordinanza n. 7921 del 2011); b) ove il convincimento del giudice di merito si sia espresso attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, il ricorso per cassazione deve evidenziare l’inadeguatezza, l’incongruenza e l’illogicità della motivazione, alla stregua degli elementi complessivamente utilizzati dal giudice, e di eventuali altri elementi di cui dimostri la decisività, onde consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del vizio di motivazione sul decisum (cfr., ex plurimis e tra le ultime, la sentenza n. 15156 del 2011);

che, nella specie – a fronte della motivazione della sentenza impugnata conforme a diritto, analitica sui singoli punti controversi e corretta sul piano logico-giuridico, quanto alle questioni sia dell’addebito della separazione al C., sia della completa comparazione delle situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi-, il ricorrente non censura specificamente le rationes deciderteli espresse dai Giudici a quibus, si limita a contrapporre la propria valutazione delle prove documentali ed orali acquisite a quella effettuata dalla Corte romana e denuncia pretese omissioni di pronuncia e/o di motivazione che, invece, sono del tutto insussistenti (come, ad esempio, per ciò che attiene alla comparazione delle situazioni economiche dei coniugi), omettendo del tutto di evidenziare in modo specifico l’inadeguatezza, l’incongruenza e l’illogicità della motivazione alla stregua degli elementi complessivamente utilizzati dai Giudici dell’appello e di eventuali altri elementi "decisivi", onde consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del vizio di motivazione sull’effettivo decisum;

che, infine, quanto alla censura della omessa compensazione delle spese del giudizio d’appello, la stessa è inammissibile, in quanto – posto che i Giudici a quibus hanno correttamente condannato l’odierno ricorrente alle spese del grado in base al criterio della (totale) soccombenza dello stesso – è noto che, per costante orientamento di questa Corte in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese, che tale criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole, e che, con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 406 del 2008, 17145 e 25270 del 2009);

che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

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