Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 05-02-2013) 19-07-2013, n. 31092

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 3.7.2012 il tribunale del riesame di Napoli confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere applicava nei confronti di S.V. la misura cautelare degli arresti domiciliari, successivamente sostituita con quella del divieto di dimora, in relazione ai reati di cui ai capi 1), 34), 35), 38) e 39) dell’imputazione provvisoria, corrispondenti a fattispecie di associazione per delinquere, falso e corruzione, annullandola solo in relazione al reato di cui al capo 37).

Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso lo S., lamentando: 1) il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo, di cui difettano i presupposti; la mancanza, la illogicità e la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata ordinanza in relazione alla ritenuta partecipazione dello S. all’associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p. ed alle circostanze favorevoli, ivi comprese le dichiarazioni rese dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia, esposte dalla difesa dell’indagato nell’udienza di riesame; 2) la mancanza di una motivazione non meramente apparente in ordine alla configurabilità dei reati-fine, contestati nei capi 34), 35), 38), 39), vizio che caratterizza anche l’originario titolo cautelare, da considerarsi, pertanto, nullo, per violazione dell’art. 292 c.p.p.. Tanto premesso il ricorso è infondato e va rigettato.

Preliminarmente va rilevato che in tema di impugnazione dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali, il ricorso per Cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Cass., sez. 5, 8/10/2008, n. 46124, rv. 241997).

Ed invero, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. 4, 3/2/2011, n. 14726, D.R.;

Cass., sez. 4, 06/07/2007, n. 37878, C. e altro).

Ne consegue che quando, come nel caso in esame, viene denunciato il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza espositiva" (cfr. Cass., sez. 5, 20.10.2011, n. 44139, O.M.M.).

Orbene, a tali criteri si è puntualmente conformato il tribunale del riesame, che, con motivazione approfondita ed immune da vizi logici, ha ricostruito il complesso iter investigativo, evidenziando come le indagini preliminari (incentrate sulle spontanee dichiarazioni di D. C.N.; sugli esiti delle intercettazioni, telefoniche ed ambientali, disposte dall’autorità giudiziaria, e delle riprese video effettuate dagli agenti operanti; sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia M.A. e sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie del dott. D.G. e di D. C.A.), hanno fatto emergere l’esistenza di una associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di truffe ai danni delle compagnie di assicurazione, i cui componenti (falsi infortunati, falsi testimoni, procacciatori, medici, radiologi, avvocati, consulenti), ciascuno consapevole di operare all’interno di un vasto meccanismo illecito, fornivano una specifico apporto, in ragione delle proprie specifiche competenze professionali e della rete di relazioni di cui disponeva, alla ideazione di falsi sinistri stradali, al reperimento di persone disponibili a simulare i sinistri ed a testimoniare in ordine alle modalità dei falsi incidenti; alla formazione di false certificazioni mediche per corroborare le istanze di risarcimento dei danni; ad assistere le parti nell’ambito dei relativi giudizi di risarcimento dei danni.

La sede principale (ma non esclusiva) in cui operavano i medici infedeli era il Centro Radiologico Massa di (OMISSIS), di cui era amministratore di fatto il coindagato B.G., dove il tecnico radiologo C. ed il medico ecografista D. G. ricevevano i "clienti", indirizzati ed accompagnati presso la struttura sanitaria da una serie di procacciatori (tra i quali spiccavano, C.V., D.C.A., P. F., oltre allo stesso C.), interessati ai relativi guadagni, provvedendo a confezionare, ovviamente con la complicità dei "pazienti", falsi referti medici, attestanti lesioni inesistenti o di gravità maggiore di quella realmente patita da questi ultimi, da far valere, poi, nei confronti delle società assicuratici, anche in giudizio, come mezzo di pressione per ottenere i relativi rimborsi.

Importante conferma dell’ipotesi accusatoria, veniva individuata dal giudice delle indagini preliminari, nella motivazione del titolo cautelare, utilizzabile in questa sede, in quanto le due ordinanze, quella cautelare e quella del tribunale del riesame, si integrano reciprocamente, nelle dichiarazioni accusatorie del dott. D. G., non contestate dalla difesa.

Il co-indagato ha, infatti riferito che gli accompagnatori dei falsi pazienti, a partire dal C.V. e da tal N., in un primo momento, temporalmente collocabile nel (OMISSIS), gli avevano versato saltuariamente somme di denaro affinchè effettuasse delle ecografie di comodo ovvero procedesse, in alcuni casi, ad accentuare le lesioni, attestando talvolta la sussistenza di lesioni non riscontrate dallo stesso D.G., per poi proporgli un compenso stabile di cinquanta/00 Euro per ogni persona che veniva ad eseguire le ecografie, ove il medico avesse "aggravato la prognosi" o "attestato falsamente l’esistenza della lesione, aggiungendo che i "pazienti", dopo avere concluso le operazioni di accettazione nel Centro Radiologico Massa, venivano visitati "per mera forma" dal suddetto D.G., il quale, nella stessa occasione, redigeva il certificato ecografico da consegnare all’accompagnatore per il suo illecito utilizzo in danno delle compagnie di assicurazione.

In questo contesto si inserisce a pieno titolo lo S., che, sulla base degli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari, risulta, come correttamente affermato dal tribunale del riesame (cfr. p. 3 dell’impugnata ordinanza), avere fornito "in più occasioni al gruppo facente capo a D.C.A. certificati medici di pronto soccorso e consulenze tecniche compiacenti, a tutto vantaggio degli attori dei giudizi promossi da D.C.A. e dai suoi collaboratori".

Lo S., in particolare, come ricostruito dai giudici di merito sulla base delle risultanze investigative, costituite dalla corposa documentazione sequestrata nella sua abitazione e studio professionale e dagli esiti delle intercettazioni disposte in ambientale ovvero sulle utenze telefoniche in uso a lui ed agli altri indagati, costituiva un vero e proprio punto di riferimento per il D.G., in considerazione della "quantità di consulenze tecniche e di "accompagnamenti" di pazienti da periziare presso i CTU che lo S. effettuava, sì da assicurarsi guadagni ingenti", oltre che per l’influenza esercitata "negli ambienti del Giudice di Pace", come pure per il D.C.A., che, in una conversazione oggetto di captazione ambientale, nel chiedere al D.G. di procurargli certificati medici, suggerendogli la diagnosi da apporvi, affermava di averne ricevuti anche dallo S..

Sia il D.G. che il D.C.V., inoltre, evidenzia il tribunale del riesame, ammettendo le proprie responsabilità (il D.C.A., invero, solo parzialmente), durante gli interrogatori cui si sono sottoposti hanno indicato il ricorrente, con dichiarazioni convergenti, rispettivamente, il D.G. come uno degli accompagnatori dei falsi pazienti per conto del D.D. e del D.C.A., al quale quest’ultimo si rivolgeva anche per ottenere falsi certificati medici; il D.C.A. come uno dei medici di riferimento del sodalizio per gli accompagnamenti nelle pratiche relative ai falsi sinistri (cfr. pp. 5-6 dell’impugnata ordinanza), senza, peraltro, che la difesa abbia specificamente contestato la loro credibilità ovvero l’attendibilità, intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni da essi resi in qualità di chiamanti in correità (se non lamentando, genericamente, la "genericità delle loro affermazioni: cfr. p. 13 del ricorso). Dimostrati sono anche i collegamenti tra lo S. ed altri protagonisti della vicenda illecita, come il P.F., l’avv. Filippelli Giancarlo, l’avv. Tagliarina Anna (che si avvaleva spesso delle consulenze mediche redatte dallo S., il quale attribuiva costantemente il 6% come coefficiente di invalidità, anche senza effettuare la visita), su cui si sofferma la motivazione dell’ordinanza oggetto di ricorso, in cui il tribunale del riesame evidenzia anche, in modo logicamente coerente, come appaia sintomatica dell’inserimento dello S. nel meccanismo illecito in precedenza descritto, la preoccupazione con cui il ricorrente assisteva alla perquisizione effettuata dai CC. nella sua abitazione, nel corso della quale egli telefonava ripetutamente alla madre, affidandole il compito di distruggere una cartellina rossa custodita nel suo studio, per non farne scoprire il contenuto dalle forze dell’ordine, e di far sparire altra documentazione compromettente (cfr. pp. 7-11 dell’impugnata ordinanza).

I giudici di merito, inoltre, come si evince dalla lettura integrata dell’ordinanza cautelare e del provvedimento del tribunale del riesame, a conforto della tesi accusatoria, hanno proceduto ad una puntuale ricostruzione di ogni singolo reato-scopo contestato allo S., di cui quello indicato nel capo 38) non ha formato oggetto della misura cautelare, essendo stato inserito solo ai fini della contestazione, in quanto l’art. 481 c.p. non consente l’adozione di misure cautelari, apparendo, pertanto, un mero errore materiale l’indicazione anche di tale reato nel dispositivo dell’ordinanza cautelare (cfr. pp. 6 – 11 dell’impugnata ordinanza;

pp. 386 e ss.; 483 e ss. dell’ordinanza di custodia cautelare).

Rispetto al quadro accusatorio così delineato, le doglianze difensive, che, con riferimento al reato associativo, sostanzialmente propongono una lettura della condotta del ricorrente in termini di reato continuato commesso da più persone in concorso tra loro, non sembrano cogliere nel segno, in quanto appaiono sufficientemente delineati sia i profili dell’organizzazione a delinquere di cui si discute, sia il ruolo svolto all’interno del suddetto sodalizio dallo S., sia le condotte criminose specificamente poste in essere dall’indagato in esecuzione del pactum sceleris.

Al riguardo si osserva che il criterio distintivo tra il reato di associazione a delinquere e l’ipotesi di concorso di persone nel reato continuato va individuato nel grado di determinatezza del disegno criminoso rispetto al programma associativo: per aversi associazione a delinquere l’accordo deve essere diretto all’attuazione di un più ampio programma criminoso, destinato a durare nel tempo, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, dando così vita ad un vincolo associativo fonte di allarme sociale; perchè si possa parlare di reato continuato occorre, invece, che l’accordo intervenga in via occasionate ed accidentale, per la realizzazione di uno o più reati, e si esaurisca con la commissione degli stessi (cfr. Cass. sez. 5, 22/06/2012, n. 39378, M.M. e altro).

Orbene appare evidente che la natura dell’accordo stretto, quanto meno, tra lo S., il D.C.A., il D. G., il D.D., il P., mantenutosi stabile nel tempo a partire, come si è detto, dal (OMISSIS), fosse finalizzato alla commissione, destinata a durare nel tempo di una serie indeterminata di delitti in materia soprattutto di corruzione, di falso e di truffa in danno delle compagnie assicuratrici, che si sono consumati prevalentemente all’interno del Centro Radiologico Massa, venendo interrotti solo dall’intervento degli organi investigativi.

Non appare revocabile in dubbio, quindi, che, nel caso in esame, risultino integrati tutti gli elementi che l’interpretazione tradizionale seguita dalla giurisprudenza di legittimità individua come costitutivi dell’associazione per delinquere, consistenti nella formazione e nella permanenza di un vincolo associativo continuativo fra tre o più persone, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, con la predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma delinquenziale (la documentazione medica falsificata e da falsificare; la rete di rapporti attivata per simulare i falsi sinistri; le sedi operative dove avvenivano le falsificazioni, prima fra tutte quella del Centro Radiologico Massa) e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l’attuazione del programma stesso (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 1, 22.2.1979, Pino).

Il tribunale del riesame, pertanto, ha adempiuto al proprio onere motivazionale, attribuendo valore decisivo ai descritti elementi sintomatici dell’esistenza del sodalizio, della partecipazione ad esso dello S. e della consumazione dei reati-scopo innanzi indicati, rispetto ai quali i rilievi difensivi appaiono generici e, soprattutto, sollecitano, in definitiva, una revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, non consentita, come si è detto, in sede di legittimità.

In tal modo il tribunale del riesame, pur non confutandoli tutti espressamente, ha disatteso implicitamente i rilievi difensivi di segno opposto, reiterati nei motivi di ricorso, che appaiono logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Siffatta tecnica motivazionale appare del tutto legittima, posto che, anche in sede di impugnazione dei provvedimenti cautelari che incidono sulla libertà personale, trova applicazione il principio secondo cui il dovere di motivazione della sentenza è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (cfr. Cass., sez. 6, 4.5.2011, n. 20092, Schowick, rv. 250105; Cass., sez. 4, 13.5.2011, n. 26660, Caruso e altro, rv. 250900).

Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso presentato nell’interesse di S.V. va, dunque, rigettato, con condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2013
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