Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-02-2013) 04-07-2013, n. 28765

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Svolgimento del processo
1.1 Con ordinanza del 26 giugno 2012 il Tribunale di Macerata, in funzione di Giudice del Riesame, rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di C.C. e della XXX s.r.l. (società agricola) avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP di quel Tribunale in data 5 giugno 2012 nell’ambito del procedimento penale a carico del C. indagato per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2 e art. 192, comma 2.
1.2 Il Tribunale motivava le ragioni della legittimità della misura cautelare reale adottata dal GIP sulla base degli esiti delle indagini di P.G. che, nel corso di alcuni sopralluoghi effettuati tra il (OMISSIS) presso l’azienda agricola XXX s.r.l. di cui il C. era amministratore unico, aveva rilevato l’irregolarità dello smaltimento dei reflui provenienti dal dilavamento dei piazzali e dalle caditoie installate sui tetti i quali venivano convogliati attraverso un pozzetto di raccordo posto sul retro dell’azienda che, attraverso una condotta interrata, scaricava i reflui medesimi nel torrente (OMISSIS). Secondo quanto affermato dal Tribunale, da una analisi condotta in loco era emerso che i reflui provenienti dall’azienda contenevano significative concentrazioni di sostanze minerali inquinanti derivanti dalla mescolanza delle acque meteoriche con quelle provenienti dal processo produttivo. Il Tribunale escludeva che i reflui convogliati attraverso il pozzetto di raccordo costituissero – per la loro intrinseca composizione chimica – sottoprodotti da allevamento degli animali stabulanti nell’azienda, ritenendo, invece, trattarsi di liquami zootecnici fuoruscenti a ciclo continuo dall’azienda ed incompatibili con il processo produttivo. Il Tribunale condivideva i contenuti del decreto di sequestro adottato dal GIP basato su uno stretto rapporto pertinenziale tra il manufatto dal quale provenivano i reflui ed il reato ipotizzato, oltre che fondato sulla sussistenza del periculum in mora derivante dalla persistenza della disponibilità della struttura da parte dell’indagato.
1.3 Ricorre per l’annullamento del detto provvedimento il ricorrente a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo violazione di legge per inosservanza della norma penale in quanto il Tribunale ha erroneamente qualificato i reflui come rifiuti dei quali il detentori si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi. Con un secondo motivo si deduce l’inosservanza e/o erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7, art. 74 e art. 137, comma 1: il Tribunale avrebbe attribuito ai reflui natura ed origine industriale, laddove si tratta, tenuto conto della sede in cui essi venivano prodotti, di reflui assimilati a quelli domestici, penalmente irrilevanti.
Connesso a tale motivo altro con il quale viene censurata l’ordinanza impugnata per avere il Tribunale confermato il provvedimento cautelare per una ipotesi contravvenzionale nuova e diversa da quella contestata dal P.M. (seppur a titolo provvisorio), sussumendo erroneamente la condotta sotto il paradigma normativo del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato. Come evidenziato dalla difesa del ricorrente e come emerge dalla lettura del provvedimento impugnato l’indagine che ha formato oggetto della verifica da parte del Tribunale del Riesame muove dalla circostanza esposta dalla P.G. dell’esistenza di liquami zootecnici che sarebbero finiti in parte nella condotta fognaria per effetto di trascinamento delle acque di dilavamento dei piazzali dell’azienda zootecnica. Ora, a prescindere dal rilievo difensivo secondo il quale dette deiezioni sarebbero in realtà defluite nel terreno e non nella condotta fognaria (vds. pag.
5 del ricorso in nota), appare evidente l’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale laddove ha qualificato il refluo zootecnico come rifiuto industriale escludendo apoditticamente (vds. pag. 4 dell’ordinanza) che tali reflui venissero riutilizzati in agricoltura: tale processo di riutilizzazione è normativamente previsto dal D.M. 7 aprile 2006: in aggiunta a ciò va anche detto che le materie fecali non vanno assimilate ai rifiuti ma utilizzate in agricoltura mediante specifici processi che non apportino danni all’ambiente ovvero non costituiscano pericolo per la salute dell’uomo. E però necessario il loro reimpiego per finalità agricole sulla base di dati certi, al fine di sottrarre i reflui di tale natura al disciplina generale dei rifiuti (vds. tra le tante Cass. Sez. 3A 24.6.2005 n. 37405, XXX ed altro, Rv. 232366;
Cass. Sez. 3A 10.7.2008 n. 36363, P.G. in proc, XXX, Rv. 241035; da ultimo, Cass. Sez. 3A 17.1.2012 n. 5039, XXX, Rv. 251973).
Ed in questo senso dispone anche la disciplina comunitaria che ha inserito (art. 9 del Regolamento CE n. 1069/09) lo stallatico tra i sottoprodotti di origine animale.
2. Sotto altro profilo la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che non integra più alcuna ipotesi criminosa la condotta di scarico senza autorizzazione di reflui provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame in quanto assimilabili alle acque reflue domestiche (per tutte, Cass. Sez. 3A 29.1.2009 n. 9488, Battisti, Rv. 243112): viene così confermata la differenza di regime tra acque reflue industriali e acque reflue domestiche considerandosi quindi quale discrimine tra il comportamento lecito e quello illecito l’origine dei reflui e l’attività dalla quale essi derivano (in termini Cass. Sez 3A 7.7.2011 n. 36982, XXX, Rv.
251301; Cass. Sez. 3A n. 9488/09 cit.; v. anche Cass. Sez. 3A 7.11.2012 n. 2340, XXX, Rv. 254134, nella quale si affermato che pur provenendo i reflui da una abitazione, poichè ivi si svolgeva una attività odontoiatrica, i reflui prodotti non potevano assimilarsi ai reflui domestici in correlazione con l’attività che li produceva).
3. Ma l’errore ancor più evidente in cui è incorso Tribunale per giustificare la legittimità del sequestro, è stato quello di attribuire al fatto, come originariamente ipotizzato dall’Accusa (sulla base degli elementi emersi dalle indagini e dagli accertamenti della P.G.) una qualificazione diversa, il che era certamente precluso, in quanto ha qualificato (rectius, assimilato) i reflui prodotti dall’azienda zootecnica come reflui industriali nonostante la fattispecie criminosa ipotizzata dal P.M. riguardasse la violazione del D.Lgs. n. 152 del 1956, art. 256, comma 2 in relazione al cit. D.Lgs., art. 192, comma 2 e non quella del cit. D.Lgs., art. 137 come ritenuta dal Tribunale, oltretutto facendo riferimento ad un processo produttivo in realtà non emerso.
4. Correttamente il ricorrente rileva che altro è la contestazione iniziale, coerente con gli accertamenti di PG di una tracimazione di (una minima) parte delle deiezioni sul terreno per miscelamento con le acque di dilavamento dei piazzali, attraverso le apposite caditoie poste sui piazzali ed altro è invece la contestazione di reflui provenienti dall’azienda quale sistematico modo di scarico dei reflui attraverso la condotta fognaria.
5. Avendo quindi esorbitato il Tribunale dalle proprie prerogative valutando un fatto diverso da quello per il quale il sequestro preventivo era stato disposto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Macerata che dovrà, in tale sede, valutare, alla luce degli elementi emersi nel corso delle indagini, la legittimità della misura cautelare in rapporto alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, procedendo a nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Macerata.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2013

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