Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-02-2013) 04-07-2013, n. 28764

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1.1 Con ordinanza del 24 maggio 2012 il Tribunale di Siracusa, in funzione di Giudice del Riesame, confermava – per quanto qui rileva – il decreto di sequestro preventivo di un’area di mq. 17.000 in agro di (OMISSIS) di proprietà di C.M.S., ritenuta sede di una discarica abusiva di rifiuti speciali ivi trasportati da alcuni automezzi (anch’essi sottoposti a sequestro in via di urgenza da parte della P.G. ed oggetto di richiesta di riesame ai fini dell’annullamento del relativo decreto).
1.2 Osservava il Tribunale aretuseo che il prodotto trasportato a bordo dell’autocarro della società XXX s.r.l., riferibile al coindagato L.N. (appellante al pari del C. M. avverso il medesimo decreto di sequestro preventivo) era costituito dal c.d. "pastazzo" di agrumi e polpa, il quale non rappresentava sottoprodotto, bensì scarto di lavorazione: rilevava il Tribunale come, in relazione alle dimensioni dell’azienda agricola del C.M. (destinatario finale del prodotto trasportato) ed al numero e tipo di animali ivi allocati, il prodotto di cui sopra non poteva costituire – se non in minima parte – mangime per alimentazione animale, così pervenendo alla conclusione che il prodotto suddetto, depositato in due grandi invasi artificiali (uno dei quali contenente un’elevata quantità di liquidi generatisi dal processo di fermentazione, essiccamento e deterioramento del pastazzo precedentemente depositato, a seguito della loro percolazione), costituisse rifiuto. Sulla base della documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza il Tribunale era anche pervenuto alla conclusione che il pastazzo depositato nella azienda agricola del C. M. non potesse considerarsi quale sostanza ammendante dei terreni, come sostenuto dalla difesa. In ultimo – per quanto qui di interesse in ordine alla posizione del C.M. – il Tribunale osservava che questi, quale destinatario finale del prodotto trasportato dal mezzo della società XXX s.r.l., dovesse ugualmente (al pari del trasportatore) rispondere del reato ipotizzato dall’accusa, non avendo egli fornito alcuna prova liberatoria in ordine ad una diversa sorte del prodotto agricolo (riutilizzazione per finalità agricole ovvero per alimentazione animale).
1.3 Ricorre avverso la detta ordinanza l’indagato C.M. a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo, con unico articolato motivo, violazione di legge per inosservanza della L. n. 210 del 2008, art. 6, comma 1, lett. a), b) d) ed e): rileva, al riguardo il ricorrente che il Tribunale aretuseo, anzichè limitarsi a valutare, come d’obbligo, la sussistenza del fumus criminis, ha esteso le proprie valutazioni al merito della vicenda esprimendo quindi un giudizio non consentito in sede di riesame. Inoltre nel corpo della motivazione vengono contenuti riferimenti esclusivamente alla tesi accusatoria, senza alcun cenno, invece, delle deduzioni difensive: in particolare il Tribunale avrebbe individuato la condotta vietata in relazione al comportamento dell’agente, concretizzatosi a suo avviso nel disfarsi del prodotto senza alcun riferimento alla sua natura originaria. Secondo il ricorrente l’ordinanza impugnata non tiene conto della portata della norma di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 ter che esclude dalla categoria dei rifiuti quei prodotti che siano sottoposti alla preparazione per un loro riutilizzo. Ed in ogni caso altro vizio contenutistico dell’ordinanza risiede nel fatto che il Tribunale avrebbe omesso di qualificare il prodotto rinvenuto nei silos come sottoprodotto, ribadendo la non necessità di una riutilizzazione integrale del prodotto medesimo così come previsto nell’art. 184 bis, comma 1, lett. c) e art. 5, comma 1, lett. c) della direttiva 2008/98/CEE: la tesi difensiva fa leva su una diversificazione del processo di riutilizzazione del pastazzo da riutilizzare in parte – quella non essiccata – quale mangime per animali ed in parte – quella essiccata – quale ammendante vegetale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso va rigettato in quanto infondato, avendo i giudici di merito individuato gli elementi indiziari emersi a carico dell’indagato seguendo un percorso argomentativo esente da vizi logici e giuridici sicchè il provvedimento non merita alcuna censura.
2. Sgombrando il campo da un equivoco in cui è certamente incorsa la difesa del ricorrente, laddove afferma che il Tribunale non si è limitato a verificare la sussistenza del fumus commissi delicti, effettuando invece una valutazione propria del giudice di merito, va detto che In sede di riesame di misure cautelari reali, pur essendo precluso il sindacato sul merito dell’azione penale, grava comunque sul giudice l’obbligo di verificare la sussistenza del presupposto del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione di elementi dimostrativi, sia pure sul piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato; il giudice deve estendere la propria indagine su tutto il materiale sottoposto al suo esame, rappresentando in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, in modo da dimostrare la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame. (Cass. Sez. 6A 21.6.2012 n. 35786, XXX ed altro, Rv. 254394; Cass. Sez. 4^ 14.3.2012 n. 15448, Vecchione, Rv. 253508).
3. Sempre in via generale osserva il Collegio che, versandosi in tema di misura cautelare di tipo reale, i vizi deducibili in sede di legittimità possono essere sono soltanto quelli concretizzatisi in violazione di legge e omessa (o apparente) motivazione: tanto detto, rileva il Collegio che il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge, censura sostanzialmente la motivazione con cui è stata ritenuta la natura di rifiuto del "pastazzo" consegnato agli allevatori.
4. Il vizio denunciato, ad avviso del Collegio, non sussiste: il Tribunale ha fatto corretto richiamo alla normativa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 183 e 184 bis anche alla luce delle modifiche di cui alla novella del D.Lgs. n. 205 del 2010, partendo dalla premessa che il pastazzo detenuto dall’indagato potesse costituire sottoprodotto.
3.1 Secondo le norme contenute nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. p) come modificato dal D.Lgs. n. 4 del 2008, art. 2, comma 20 venivano considerati sottoprodotti le sostanze ed i materiali che rispondono ai seguenti criteri, requisiti e condizioni:
"a) che essi siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; b) che il loro impiego sia certo fin dall’inizio ed integrale ed avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; c) che vengano soddisfatti i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che l’impiego di tali sostanze non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; d) che tali prodotti non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità di cui al punto c); e) che le sostanze o prodotti abbiano un valore economico di mercato".
4.1 Il concetto di sottoprodotto subisce poi una importante modificazione per effetto delle disposizioni innovative contenute nel D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 con il quale è stato inserito nel D.Lgs. n. 152 del 2006, l’art. 184 bis, a tenore del quale si considera sottoprodotto, e non rifiuto, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfi tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto deriva da un processo di produzione di cui costituisce parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) la certezza che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato nel corso dello stesso – o di un successivo – processo di produzione o di utilizzazione da parte del produttore o di terzi; c) l’utilizzazione diretta della sostanza o dell’oggetto senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) la piena legittimità dell’ulteriore utilizzo nel senso che la sostanza o l’oggetto soddisfa per l’utilizzo specifico tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà ad impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
4.3 La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ribadito che "….ai fini della qualificazione di una sostanza o di un materiale quale sottoprodotto ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006 n, 152, art. 183, lett. p), come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008 n. 4, le condizioni previste dalla norma citata devono sussistere contestualmente" (cfr. Cass. Sez. 3A 28.1.2009 n. 10711, Pecetti, Rv.
243108). E’ inoltre necessario che "… le sostanze o i materiali non siano sottoposti ad operazioni di trasformazione preliminare (D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, art. 183, comma 1, lett. p), come modif. dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4), in quanto tali operazioni fanno perdere al sottoprodotto la sua identità e sono necessarie per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo" (cfr.
sul punto Cass. Sez. 3^ 4.12.2007 n. 14323, P.M. in proc. Coppa ed altri, Rv, 239657). Infine, è stato costantemente affermato che incombe sull’interessato, anche successivamente alla modifica del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. p) ad opera del D.Lgs. n. 4 del 2008, l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza e non come mera eventualità, ad un ulteriore utilizzo" (cfr. Cass. Sez. 3A 30.9.2008 n. 41836, castellano, Rv. 241505). Tali regole interpretative debbono ritenersi valide pure alla luce della disciplina contenuta nell’art. 184 bis.
5. Il Tribunale aretuseo, uniformandosi ai detti principi di diritto ed al dettato normativo sopradescritto, con accertamento in fatto (non censurabile in questa sede ex art. 325 c.p.p.), ha affermato anzitutto che il "pastazzo" ceduto all’azienda agricola dell’indagato, costituisse rifiuto, tenendo presenti le particolari modalità con le quali avveniva del deposito.
5.1 Dopo aver premesso che il "pastazzo" di agrumi può essere impiegato come mangime anche allo stato fresco (ferma restando la necessità di idonei accorgimenti atti ad impedire fenomeni degenerativi), l’ordinanza impugnata ha rilevato che dagli accertamenti di P.G. era emerso che il quantitativo trasportato dall’autocarro del L. era stato scaricato all’interno del fondi del C.M. e riversato su analoghi preesistenti rilevanti quantitativi di altro pastazzo giacente nel silos; è stato ancora osservato da parte del Tribunale che la giacenza di ingenti quantitativi non consumati presentava una parte liquida già in fermentazione e che tale prodotto era stato collocato senza il rispetto di alcuna procedura finalizzata alla trasformazione nemmeno in ammendante agricolo.
5.2 Corretta, quindi, la conclusione del Tribunale circa l’impossibilità di reputare come certo il successivo, integrale utilizzo del pastazzo come sostanza da utilizzare per l’alimentazione degli animali, tenuto conto anche del numero dei capi di bestiame esistente nell’azienda notevolmente sproporzionato, per difetto, rispetto alla notevolissima quantità del pastazzo ivi esistente che ne rendeva un uso siffatto incompatibile (vds. pag. 6 dell’ordinanza impugnata).
5.3 I Giudici del riesame, richiamando le ineccepibili argomentazioni del GIP, hanno ritenuto che risultava, dagli accertamenti espletati, che le stesse modalità di deposito di ingenti quantitativi di pastazzo fossero indicative dell’esistenza del fumus del reato contestato.
5.4 Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la riutilizzazione come concime agricolo del pastazzo di agrumi (buccia e polpa di arancia residuati dalla loro lavorazione) non esclude l’assoggettamento di tale prodotto al regime dei rifiuti in quanto rientrante nei residui di produzione e del quale il detentore abbia deciso di disfarsi (Cass. Sez. 3^ 21,9.2004 n. 43946, Muzzupappa, Rv. 230478, con riferimento alla disciplina previgente di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997; v. anche, più recentemente Cass. Sez. 3^ 17.7.2012 n. 28609 non massimata).
5.4 Il Tribunale, correttamente ha considerato tale modalità di gestione dei rifiuti indice rivelatore di "una illecita dispersione di materiale inquinante" o comunque sintomatico di un tentativo di eludere la normativa relativa alle corrette procedura di smaltimento dei rifiuti". (pag. 6 ord. citata).
6. Con motivazione altrettanto puntuale e convincente, il Tribunale ha escluso, poi, una possibile (ri)utilizzazione di parte del pastazzo quale sostanza ammendante vegetale: ciò sulla base di risultanze di fatto incensurabili in sede di legittimità, rilevando, in relazione alle emergenze investigative: b) che gli scarti vegetali costituiti da resti di agrumi erano stati depositati sul fondo di proprietà del C.M.; b) ancora, che il pastazzo ivi depositato presentava una parte liquida in fermentazione mescolata alle deiezioni di origine animale (pag. 5 dell’ordinanza impugnata);
e) che non era stata seguita la procedura prescritta per il recupero del materiale al fine di ottenere un ammendante agricolo.
6.1 Anche su tale punto la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di intervenire più volte escludendo la natura di ammendante vegetale semplice del pastazzo in relazione alla esistenza di un processo fermentativo, ovvero la natura di ammendante compostato, laddove risulti assente un preliminare processo di trasformazione e stabilizzazione (Cass. Sez. 3A 7.4.2009 n. 20248, Belmonte ed altro, Rv. 243626; v. anche Cass. Sez. 3A 8.3.2005 n. 12366, Fatta ed altro, Rv. 231074).
6.2 Corretta, quindi, la decisione dei giudici di merito di escludere che detti scarti potessero rientrare, sia pure in parte, nella disciplina degli ammendanti organici utilizzabili in agricoltura ai sensi della L. n. 748 del 1984 non rientrando nella classificazione prevista nell’allegato 1/C della legge, come modificato dal D.M. 25 marzo 1998. Infatti, gli scarti non sono qualificabili come ammendante vegetale semplice perchè riscontrati in fermentazione, nè ammendante vegetale compostato per la mancata effettuazione di un preliminare processo di trasformazione e stabilizzazione.
6.3 Sul punto sono irrilevanti le considerazioni difensive riguardanti lo stato del prodotto depositato, essendo sufficiente, ai fini della integrazione della fattispecie prevista dalla norma, che la sostanza sia comunque interessata al processo di fermentazione.
Pertanto la sostanza de qua, non potendo essere qualificata ammendante, è stata, a ragione, ritenuta rifiuto, in coerenza con quanto previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, di cui il detentore "si disfi" ovvero abbia "deciso di disfarsi": le argomentazioni difensive svolte sul significato dei detti termini e sulla distorta interpretazione fattane dal Tribunale non pongono condividersi:
invero, con la prima condotta ci si intende riferire al fatto che il detentore sottoponga il prodotto ad una delle attività di smaltimento o di recupero come precisato dagli allegati del decreto del D.Lgs. n. 152 del 2006, mentre con la seconda condotta ci si vuoi riferire alla circostanza che il detentore intenda destinare a una delle operazioni di smaltimento o di recupero, come sopra individuale o di cui il detentore abbia "l’obbligo di disfarsi" in base a una disposizione normativa.
6.4 In conclusione il Tribunale, pur tenendo conto delle deduzioni difensive, contrariamente all’assunto del ricorrente, le ha, a ragione, disattese, individuando – sulla base delle inequivocabili risultanze investigative – il fumus commissi delicti, senza effettuare una indebita analisi, riservata al giudice del merito, degli elementi integrativi della fattispecie, ma analizzando circostanze sintomatiche della esistenza a livello indiziario del reato ipotizzato dall’accusa.
7. la decisione del Tribunale appare ancor più esaustiva in relazione anche all’esame di uno specifico rilievo difensivo che faceva richiamo alle disposizione dell’Assessorato regionale dell’Agricoltura della Regione Sicilia dell’1 marzo 2012, con le quali, pur condividendosi la natura di sottoprodotto del pastazzo destinato ad impieghi ulteriori in agricoltura, ciò poteva essere possibile solo a condizione che fossero stati rispettati gli standards merceologici e le norme tecniche e di sicurezza e con dichiarazione di impegno sottoscritta dal detentore; ancora una volta, con giudizio di fatto incensurabile in questa sede. Il Tribunale ha ritenuto gli esiti delle investigazioni ostativi alla plausibilità della tesi difensiva. (vds. Pagg. 6-7 dell’ordinanza impugnata).
8. segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2013

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