Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-08-2012, n. 14340

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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 27.6.06 la Corte d’appello di Palermo rigettava il gravame contro la pronuncia con cui il Tribunale di Agrigento aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni, anche sotto forma di perdita di chance, proposta il 24.11.03 da R. Q. (dipendente dell’Amministrazione penitenziaria, cat. C, posizione economica C1), previa istanza di disapplicazione delle graduatorie parziale e definitiva di cui al decreto del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del 15.3.02 relative al percorso formativo per la copertura, tra gli altri, di 85 posti di posizione economica C3, profilo professionale di assistente sociale.

Ritenevano i giudici del merito che, pacifico essendo che i posti messi a concorso erano 85 e che anche nella prima graduatoria – vale a dire quella del 14.3.01 – stilata secondo gli originari criteri valutativi (non contestati dalla Q.) la ricorrente risultava collocata all’89^ posto, ella non aveva interesse ad impugnare la graduatoria parziale redatta in base a nuovi criteri valutativi (da lei contestati) nè quella definitiva compilata il 15.3.02 (in cui figurava al 109), atteso che, anche in base alla posizione ricoperta nella prima graduatoria, non avrebbe potuto godere di un eventuale futuro scorrimento previsto fino al 108 posto in quanto tutti i vincitori dei posti messi a concorso avevano regolarmente preso servizio presso le rispettive sedi di destinazione fin dal 19.7.02 e la graduatoria aveva cessato i propri effetti fin dal 15.10.04.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Q. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

V.P., + ALTRI OMESSI – candidate che, secondo quanto lamentato dalla Q., erano state favorite dai nuovi criteri di valutazione ed anche in contraddittorio delle quali erano state emesse le pronunce di merito – sono rimaste intimate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè vizio di motivazione circa l’attribuibilità a candidati privi di laurea (in quanto muniti del solo diploma di assistente sociale) di punti per presunti titoli posi laurearti; ciò ha comportato – lamenta la Q. – una violazione della par candido fra i candidati perchè, ai sensi del bando originario del 15.12.2000, chi era in possesso del solo diploma di assistente sociale acquisiva 7 punti e non avanzava alcuna pretesa in ordine ai titoli posi lauream; l’essersi verificato tale vizio già in sede di redazione della prima graduatoria supera – afferma, ancora, la ricorrente – il difetto di interesse ad agire rilevato dall’impugnata sentenza.

Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione circa l’equiparazione alla laurea del diploma di assistente sociale, equiparazione avvenuta con la circolare n. 3561/6011 mentre, semmai, a tal fine sarebbe stato necessario un intervento normativo.

Entrambi i motivi sono inammissibili sono due autonomi profili.

Sotto un primo, premesso che le doglianze non riguardano la ricostruzione di "fatti" (intesi nella loro accezione fenomenica), ma valutazioni in punto di diritto, si tenga presente che il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacchè quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. art. 619 c.p.c., comma 1), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire (cfr. Cass. Sez. 4 n. 6243 del 7.3.88, dep. 24.5.88, rv. 178442, resa sotto l’imperio del previgente c.p.p., ma pur sempre valida e confermata, anche di recente, da Cass. Sez. 2 n. 3706 del 21.1.2009, dep. 27.1.2009, rv.

242634).

Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorchè malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita) la può trasformare in esatta e il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.

Sotto un secondo profilo, premessa l’applicabilità ratione temporis dell’art. 366 bis c.p.c. (vista la data di pubblicazione della sentenza impugnata), i quesiti si rivelano inconferenti perchè la loro soluzione non coinvolge il nucleo essenziale della sentenza impugnata, vale a dire il difetto di interesse ad agire della Q. già in relazione alla graduatoria del 14.3.2001 (che la vedeva collocata all’89^ posto), rispetto alla quale in sede di merito la ricorrente non aveva avanzato censure.

Invero, pacifico essendo che i posti messi a concorso erano 85 e che nella prima graduatoria – vale a dire quella del 14.3.01 – compilata secondo gli originari criteri valutativi la ricorrente risultava collocata all’89^ posto, correttamente la gravata pronuncia ha rilevato che ella non aveva interesse ad impugnare la graduatoria parziale redatta in base a nuovi criteri valutativi (da lei contestati) nè quella definitiva stilata il 15.3.02 (in cui figurava al 109), atteso che, anche in base alla posizione ricoperta nella prima graduatoria, non avrebbe potuto godere di un eventuale futuro scorrimento previsto fino al 108 posto in quanto tutti i vincitori dei posti messi a concorso avevano regolarmente preso servizio presso le rispettive sedi di destinazione fin dal 19.7.02 e la graduatoria aveva cessato i propri effetti fin dal 15.10.04.

Dunque, non essendovi stato – nè potendo più esservi – scorrimento alcuno, non si vede quale sia l’attuale interesse ad agire della Q..

Nè l’interesse ad agire può essere rimesso in gioco contestando solo in sede di legittimità anche quella prima graduatoria del 14.3.01 cui – giova ribadire – in sede di merito la ricorrente non aveva mosso la censura (sul punteggio dei candidati muniti del diploma di assistente sociale) che si legge soltanto nel suo ricorso per cassazione.

In breve, la statuizione impugnata è conforme a diritto: l’interesse ad agire -costituendo una condizione dell’azione – deve sussistere al momento della decisione e non può identificarsi in una mera aspirazione della parte all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento, ma nell’interesse a conseguire un concreto vantaggio, cioè una situazione pratica più utile per l’impugnante rispetto a quella esistente, id est sussiste un interesse concreto solo ove dalla denunciata violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (cfr. Cass. S.U. n. 42 del 13.12.95, dep. 29.12.95; Cass. n. 6301/97; Cass. n. 514/98; Cass. Sez. 2 n. 15715 del 28.5.2004, dep. 8.6.2004; Cass. Sez. 1 n. 47496 del 17.10.2003, dep. 11.12.2003, nonchè numerose altre analoghe), risultato che nel caso di specie è tecnicamente impossibile.

1- In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in favore del Ministero della Giustizia, seguono la soccombenza.

Non è dovuta pronuncia sulle spese riguardo alle altre parti intimate ( V.P., + ALTRI OMESSI ), che non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare al Ministero della Giustizia le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 30,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge. Nulla spese riguardo alle altre parti.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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