Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-08-2012, n. 14339

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale di Brescia, respingeva la opposizione, proposta da G.L., titolare dell’omonima impresa individuale, alla cartella esattoriale notificatele per il recupero di contributi e sanzioni pretesi dall’INPS a seguito di accertamento ispettivo.

La Corte, rigettava preliminarmente le eccezioni di giudicato sollevate dalla G., sul rilievo che la sentenza di primo grado aveva statuito sulle singole pretese di differenze contributive riportate in cartella affermando che l’Inps non aveva adempiuto all’onere della prova a suo carico. L’Inps appellante aveva ribadito, quale motivo di impugnazione, la erronea valutazione dei verbali di accertamento in relazione ai principi di diritto che regolano la materia, così attaccando in modo puntuale l’unico cardine su cui la sentenza di primo grado si fondava e quindi senza necessità di impugnare tutte le statuizioni consequenziali all’affermazione del mancato assolvimento dell’onere della prova. In particolare, con l’appello, era stata rilevata l’erroneità della affermazione relativa al superamento dei requisito dimensionale ai fini del riconoscimento della minore contribuzione spettante alle imprese artigiane, in quanto a sua volta fondata sulla erronea affermazione del diritto ad assumere a tempo determinato con i benefici di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4 e l’erroneità dell’affermazione della legittimità del contratto di formazione e lavoro contestato dall’Ispettorato quanto al soggetto su cui incombe l’onere della prova.

Indi la Corte territoriale, premesso che la L. n. 223 del 1991, comma 4 bis come aggiunto dal D.L. n. 299 del 1994 convertito in L. n. 451 del 1994, doveva essere interpretato, nel riferimento ad "assetti proprietari sostanzialmente coincidenti", nel senso di comprendervi qualsiasi ipotesi di coincidenza a prescindere dalla sussumibilità in una fattispecie normativamente predefinita, accertava che con la "cessazione dell’attività del marito e la prosecuzione di quella della moglie (ossia della G.) per comprendere l’intera attività della prima" si era verificata "una continuità dell’impresa intesa come fenomeno economico sul piano sostanziale" e riteneva, pertanto, infondata la opposizione relativamente al recupero delle agevolazioni contributive che la ditta Gambarini aveva conteggiato, a proprio favore, per aver assunto tredici lavoratori dalle liste di mobilità.

Da siffatto accertamento, i giudici di secondo grado, deducevano, poi, il superamento del limite numerico di dodici dipendenti, di cui alla L. n. 443 del 1985, art. 4, lett. b), quale che fosse il numero di dipendenti già in forza. Peraltro l’attività svolta dalla G. non poteva considerarsi di natura artigiana trattandosi di assemblaggio di capi, generalmente jeans, già tagliati dalla committente in varie misure.

Inoltre, detti giudici, asserivano che la dipendente L. M., già operaia finita di 2 livello, nello stesso settore, quale cucitrice, con attività pregressa di sei anni nella stessa qualifica, "non poteva essere assunta con contratto di formazione lavoro per l’acquisizione della qualifica superiore, 3 livello, per il solo fatto di essere addetta alle nuove mansioni di stiratrice di jeans o eventualmente di altro, trattandosi di mansioni estremamente semplici se raffrontate ad una esperienza lavorativa di durata così consistente nello stesso settore" per le quali non erano sufficienti le dichiarazioni dei testi escussi perchè potesse essere ritenuta integrata la prova di una attività formativa in senso proprio".

Escludeva poi la Corte che gli importi dovuti a titolo di contributi per il SSN fossero stati erroneamente calcolati. I giudici di appello affermavano,inoltre, la irretroattività della L. n. 388 del 2000, art. 116 quanto alla misura delle sanzioni.

Avverso tale sentenza G.L. ricorre in cassazione sulla base di quattordici motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’INPS. Nè la SCCCI nè l’Esatri hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con i motivi primo, terzo, quarto, quinto e sesto la ricorrente lamenta la omessa pronunzia della Corte territoriale in relazione all’eccezione di giudicato sollevata in grado d’appello per la mancata impugnazione di singole affermazioni contenute nella sentenza di primo grado. All’uopo eccepisce la violazione dell’art. 360, nn. 3, 4 e 5 in riferimento ad un cospicuo numero di disposizioni.

Le censure sono infondate.

La sentenza impugnata ha infatti interpretato l’appello dell’Istituto, ritenendo che con esso fosse stato attaccato l’unico cardine su cui si fondava la statuizione di primo grado, senza necessità di dovere impugnare espressamente tutte le statuizioni consequenziali al rilievo del mancato assolvimento dell’onere della prova.

Si tratta di interpretazione dell’atto d’appello, rimesso esclusivamente al giudice di merito, in cui non sono ravvisabili vizi logici nè giuridici, onde il primo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo vanno rigettati.

Parimenti infondato è il secondo motivo con cui si lamenta la mancata risposta, nella sentenza impugnata, sulla eccezione di giudicato di cui alla statuizione di primo grado, perchè, contrariamente a quanto si assume, la Corte territoriale ha espressamente statuito sulle eccezioni preliminari sollevate dalla appellata, odierna ricorrente.

Infondato è anche il settimo mezzo, in cui si lamenta ancora la omessa pronunzia della Corte territoriale sulla eccezione di giudicato sul superamento dei limiti dimensionali per la configurazione dell’impresa artigiana. I Giudici d’appello hanno infatti espressamente affermato, in risposta alla eccezione, che l’Inps aveva formulato il motivo di impugnazione, che era fondato perchè l’assunzione dei 13 dipendenti faceva automaticamente superare il limite numerico previsto per le aziende artigiane, e che comunque la attuale ricorrente non poteva considerarsi artigiana perchè effettuava lavorazioni in serie.

Se è questa la motivazione della sentenza impugnata, infondato si rivela anche l’ottavo motivo, con cui si lamenta che il limite numerico prescritto per le aziende artigiane non varrebbe non trattandosi di lavorazione in serie. L’assunto è infondato non essendo ravvisabile alcun vizio nella affermazione della sentenza impugnata la quale ha considerato come non artigiana l’attività di assemblaggio di capi, generalmente jeans, già tagliati dalla committente in varie misure. Infondato è anche il nono motivo, in cui si lamenta che l’Inps non abbia mosso censure rispetto alla legittimità del contratto di formazione e lavoro di L. M. accertata in primo grado, perchè la Corte ha espressamente affermato che anche questo capo della sentenza di primo grado era stato impugnato dall’Inps e rispetto a questa interpretazione dell’atto di appello non sono rilevabili vizi di sorta.

Inammissibile è il decimo motivo con cui ci si duole essere stata ritenuta la nullità del medesimo contratto di formazione e lavoro della L., in quanto si tratta di giudizio di merito sulla possibilità che le mansioni assegnate realizzino la formazione prescritta, e non sono evidenziabili difetti nella affermazione dei Giudici d’appello per cui costei, già operaia finita di 2 livello, nello stesso settore, quale cucitrice, con attività pregressa di sei anni nella stessa qualifica, "non poteva essere assunta con contratto di formazione lavoro per l’acquisizione della qualifica superiore, 3 livello, per il solo fatto di essere addetta alle nuove mansioni di stiratrice di jeans o eventualmente di altro, trattandosi di mansioni estremamente semplici se raffrontate ad una esperienza lavorativa di durata così consistente nello stesso settore".

Infondato è l’undicesimo motivo giacchè rispetto ai contributi dovuti per il SSN la Corte territoriale ha ritenuto che il calcolo fosse analitico, mentre le censure mosse erano del tutto generiche, e non ci sono motivi per contraddire queste affermazioni.

E’ da rigettare anche il dodicesimo motivo, non essendosi precisato in ricorso quali errori sarebbero stati commessi nel conteggio delle sanzioni e non potendosi annullare la sentenza in questa sede se non ravvisando un errore decisivo, tale cioè da condurre alla modifica della decisione.

Da rigettare è anche il tredicesimo e quattordicesimo motivo in cui si chiede l’applicazione del regime sanzionatorio di cui alla L. n. 388 del 2000, che sarebbe retroattivo, perchè detta retroattività è stata esclusa.

E’ stato infatti affermato (tra le tante Cass. a 13794 del 13/06/2007) che In tema di sanzioni per il ritardato o omesso pagamento di contributi previdenziali, la disposizione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18, condiziona inequivocabilmente l’applicazione della normativa sanzionatoria previgente (L. n. 662 del 1996) alla circostanza che sussista un credito per contributi alla data del 30 settembre 2000. Alla stregua della formulazione della norma, che fa riferimento ai crediti ai quali vengono ricollegate le sanzioni, per "crediti" devono intendersi quelli relativi ai contributi non si dispone – per le omissioni contributive relative a periodi anteriori alla sua entrata in vigore – la conservazione delle sanzioni già calcolate alla luce della L. n. 662 cit. "in tutti i casi", ma si prevede detta conservazione solo se il credito dell’INPS per contributi sia ancora sussistente alla data del 30 settembre 2000.

Poichè il credito dell’inps sussisteva a quest’ultima data, il motivo va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Nulla per le spese nei confronti della parte intimata non costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 25,00 oltre Euro 3.500,00 per onorario, ed oltre spese generali, IVA e CPA. Nulla per le spese relative alla parte intimata non costituta.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012
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