Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 05-02-2013) 28-06-2013, n. 28295

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 25.7.2012 il tribunale di Napoli, in sede di riesame dell’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva applicato nei confronti di B.d.C. la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di cui ai capi 1), 10), 24), 40), 42) e 43) dell’imputazione provvisoria, corrispondenti a fattispecie di reato in materia di associazione per delinquere, falso, corruzione e falsa testimonianza, annullava l’impugnata ordinanza solo in relazione all’episodio di corruzione di cui al capo 42), confermandola nel resto.

Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso la B., lamentando: 1) "travisamento del fatto, violazione di legge e falsa applicazione della legge penale, in relazione alla contestazione di cui al capo 1) della rubrica, motivazione apparente in ordine ai capi 10), 24), 40 e 43) della rubrica", in quanto, non essendo stato dimostrato alcun rapporto tra l’indagata e gli altri procacciatori di falsi pazienti, ma solo un legame con il dott. Be.Gi., titolare del Centro Medico (OMISSIS) dove operavano il dott. D. ed il C., non è possibile configurare un grave quadro indiziario a carico della B. in ordine alla sua partecipazione all’associazione a delinquere di cui al capo 1) e nemmeno ai reati-fine; 2) la "motivazione apparente o illogica in ordine alla sussistenza delle cautelari esigenze, violazione di legge", in quanto il tribunale del riesame, con motivazione generica che assimila indebitamente la posizione della B. a quella degli altri indagati, non ha tenuto conto del tempo trascorso dalla commissione dei reati (gli eventi risalgono al (OMISSIS)), anche ai fini della valutazione sulla adeguatezza e proporzionalità della misura imposta, apparendo la decisione adottata, sotto il particolare profilo della ritenuta esigenza di inquinamento probatorio, contraddittoria nella parte in cui, pur definendo il materiale indiziario "cospicuo e solido", lo considera inquinabile, senza che, peraltro, sia stato effettivamente accertata, caso per caso, "la veridicità e la entità delle lesioni lamentate e la rispondenza di esse lesioni ai sinistri che le avevano causate".

Tanto premesso il ricorso appare infondato, essendo sostenuto da motivi che si pongono al confine della inammissibilità, in quanto generici e tali da risolversi prevalentemente in censure di fatto.

Al riguardo si osserva che in tema di impugnazione dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali, il ricorso per Cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Cass., sez, 5, 8/10/2008, n. 46124, rv. 241997).

Ed invero, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. 4, 3/2/2011, n. 14726, D.R.;

Cass., sez. 4, 06/07/2007, n. 37878 C. e altro).

Ne consegue che quando, come nel caso in esame, viene denunciato il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza espositiva" (cfr. Cass., sez. 5, 20.10.2011, n. 44139, O.M.M.).

Orbene a tali criteri si è puntualmente conformato, nel condurre la sua analisi in ordine al reato associativo, il tribunale del riesame, che, con motivazione, autonoma, approfondita ed immune da vizi logici, richiamando anche ampi stralci dell’ordinanza genetica, come è consentito trattandosi di provvedimenti che si integrano reciprocamente, ha ricostruito il complesso iter investigativo, evidenziando come le indagini preliminari (incentrate sulle spontanee dichiarazioni di D.C.N.; sugli esiti delle intercettazioni, telefoniche ed ambientali, disposte dall’autorità giudiziaria, e delle riprese video effettuate dagli agenti operanti;

sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia M.A. e sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie del dott. D. G.), hanno fatto emergere l’esistenza di una associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di truffe ai danni delle compagnie di assicurazione, i cui componenti (falsi infortunati, falsi testimoni, procacciatori, medici, radiologi, avvocati, consulenti), ciascuno consapevole di operare all’interno di un vasto meccanismo illecito, fornivano una specifico apporto, in ragione delle proprie specifiche competenze professionali e della rete di relazioni di cui disponeva, alla ideazione di falsi sinistri stradali, al reperimento di persone disponibili a simulare i sinistri ed a testimoniare in ordine alle modalità; alla formazione di false certificazioni mediche per corroborare le istanze di risarcimento dei danni; ad assistere le parti nell’ambito dei relativi giudizi di risarcimento dei danni. La sede principale (ma non esclusiva) in cui operavano i medici infedeli era il Centro Radiologico (OMISSIS), di cui era amministratore di fatto il co-indagato Be.Gi., dove il tecnico radiologo C. ed il medico ecografista D., con il consenso del Be., ricevevano i "clienti", indirizzati ed accompagnati presso la struttura sanitaria da una serie di procacciatori (tra i quali spiccavano Di.Ca.An., Ci.Vi., P. F. e lo stesso C.), interessati ai relativi guadagni, provvedendo a confezionare, ovviamente con la complicità dei "pazienti", falsi referti medici, attestanti lesioni inesistenti o di gravità maggiore di quella realmente patita da questi ultimi, da far valere, poi, nei confronti delle società assicuratici, anche in giudizio, come mezzo di pressione per ottenere rimborsi in realtà non dovuti o, comunque, non nella misura richiesta.

Importante conferma dell’ipotesi accusatoria, veniva correttamente individuata dal tribunale del riesame nelle dichiarazioni accusatorie del dott. D., peraltro non contestate dalla difesa che di esse non si occupa. Il co-indagato ha, infatti riferito che i procacciatori si recavano presso il Centro Radiologico (OMISSIS), versandogli, in un primo momento, temporalmente collocabile sino al (OMISSIS), somme di denaro, saltuariamente, affinchè effettuasse "delle ecografie di comodo" ovvero procedesse, in alcuni casi, "ad accentuare le lesioni", attestando talvolta "la sussistenza di lesioni" non riscontrate dal D., per poi proporgli, in seguito, un compenso stabile di cinquanta euro "per ogni persona che veniva ad eseguire queste ecografie", ove il medico avesse "aggravato la prognosi" o "attestato falsamente l’esistenza della lesione, aggiungendo che i "pazienti", dopo avere concluso le operazioni di accettazione, venivano visitati "per mera forma" dal suddetto D., che, nella stessa occasione, redigeva il certificato ecografico da consegnare all’accompagnatore per il suo illecito utilizzo in danno delle compagnie di assicurazione. In questo contesto si inserisce a pieno titolo la B.. Ed invero, con motivazione dettagliata e logicamente immune da vizi, il tribunale del riesame ha evidenziato: 1) gli strettissimi rapporti tra la B. ed il Be., alla quale l’indagata, attraverso alcuni bigliettini che gli agenti operanti rinvenivano presso il Centro Radiologico (OMISSIS), raccomandava la diagnosi di alcuni suoi clienti, sollecitandolo a stilare i relativi referti, aventi ad oggetto gli accertamenti radiografici che diagnosticassero delle lesioni necessarie per avvalorare la dinamica del sinistro stradale; 2) il legame illecito, emerso dal contenuto di una serie di conversazioni telefoniche puntualmente esaminate dai giudici di merito, esistente tra la B. ed il dott. S.A., medico in servizio presso il pronto soccorso dell’ospedale di (OMISSIS), che provvedeva, in prima battuta, a diagnosticare false lesioni ai soggetti accompagnati in ospedale dall’indagata, i quali riferivano di essere rimasti coinvolti in sinistri stradali, in realtà mai avvenuti; 3) il diretto rapporto contrassegnato da un comune interesse economico, intercorrente tra la B. ed il C.; 4) il modus operandi seguito con sistematicità dalla B., che si è avvalsa continuativamente della collaborazione del dott. S. per reperire i falsi referti medici del pronto soccorso, della dott.ssa Sa. per allungare artificiosamente la prognosi, della documentazione sanitaria del Centro Radiologico (OMISSIS), rilasciata dal Be.

e dal D., per dotare le false lesioni del necessario supporto radiologico, nonchè di una serie di altri soggetti, tra cui il suo compagno V.L., specificamente indicati dal tribunale del riesame, per le altre incombenze necessarie al perfezionamento delle truffe in danno delle società assicuratrici, come le testimonianze necessarie a supportare le vertenze in giudizio. I giudici di merito, inoltre, a conforto della tesi accusatoria, con un’opera di certosina ricostruzione di ogni singolo episodio, sulla base della documentazione sequestrata presso l’abitazione dell’indagata e presso lo studio legale dove quest’ultima collaborava, hanno messo in luce come, prestando attenzione ai nomi ed ai cognomi dei danneggiati, sia "impressionante il numero di sinistri stradali in cui sono rimasti coinvolti in pochi mesi il compagno della B., V.L., e i familiari del marito della donna, D’.An., intestatario del cellulare da lei adoperato", circostanza difficilmente spiegabile se non nell’ottica del disegno criminoso perseguito dalla D., procedendo, inoltre ad evidenziare, in relazione ad ogni "pratica" le evidenti incongruenze che testimoniano la falsità dei sinistri in esse rappresentati (cfr. pp. 30-62 dell’impugnata ordinanza). Rispetto al quadro accusatorio così delineato, le doglianze difensive non sembrano cogliere nel segno, in quanto appaiono sufficientemente delineati sia i profili dell’organizzazione a delinquere di cui si discute, sia il ruolo svolto all’interno del suddetto sodalizio dalla B., sia le condotte criminose specificamente poste in essere dall’indagata in esecuzione del pactum scelris.

In particolare si osserva che il criterio distintivo tra il reato di associazione a delinquere e l’ipotesi di concorso di persone nel reato continuato va individuato nel grado di determinatezza del disegno criminoso rispetto al programma associativo: per aversi associazione a delinquere l’accordo deve essere diretto all’attuazione di un più ampio programma criminoso, destinato a durare nel tempo, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, dando così vita ad un vincolo associativo fonte di allarme sociale; perchè si possa parlare di reato continuato occorre, invece, che l’accordo intervenga in via occasionale ed accidentale, per la realizzazione di uno o più reati, e si esaurisca con la commissione degli stessi (cfr. Cass. sez. 5, 22/06/2012, n. 39378, M.M. e altro).

Orbene appare evidente che la natura dell’accordo stretto tra i soggetti innanzi indicati (ed, in particolare, quanto meno tra la B., il D., il C., il Be. ed il V.), fosse finalizzato alla commissione, destinata a durare nel tempo, di una serie indeterminata di delitti in materia di falso truffa, che si sono consumati in diverse strutture sanitarie, venendo interrotti solo dall’intervento degli organi investigativi.

Non appare revocabile in dubbio, quindi, che, nel caso in esame, risultino integrati tutti gli elementi che l’interpretazione tradizionale seguita dalla giurisprudenza di legittimità individua come costitutivi dell’associazione per delinquere, consistenti nella formazione e nella permanenza di un vincolo associativo continuativo fra tre o più persone, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, con la predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma delinquenziale (la documentazione medica falsificata e da falsificare; la rete di rapporti attivata per simulare i falsi sinistri; le sedi operative dove avvenivano le falsificazioni) e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l’attuazione del programma stesso (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 1, 22.2.1979, Pino). Il tribunale del riesame, pertanto, ha adempiuto al proprio onere motivazionale, attribuendo valore decisivo ai descritti elementi sintomatici dell’esistenza del sodalizio, della partecipazione ad esso della B. e della consumazione dei reati-scopo innanzi indicati, rispetto ai quali i rilievi difensivi appaiono generici e, soprattutto, sollecitano, in definitiva, una revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, non consentita, come si è detto, in sede di legittimità.

Ad identiche conclusioni si deve giungere anche in ordine alle doglianze difensive riguardanti la scelta della misura cautelare applicata e la valutazione delle esigenze cautelari compiute dal tribunale del riesame.

Anche in questo caso, infatti, il tribunale del riesame, attraverso una approfondita disamina dei fatti e del ruolo di particolare rilievo assunto dalla B. all’interno del sodalizio criminoso di cui si discute, da cui ha tratto, come è consentito, un giudizio negativo sulla sua personalità, ha dato vita ad una meditata ed esaustiva decisione in ordine alla scelta della misura e della sussistenza sia dell’esigenza di tutela della collettività, che di quella di inquinamento probatorio, non esclusa dalle prove già assunte, in considerazione della dimostrata capacità degli indagati di falsificare documenti medici e di munirsi di complici adusi a rendere false dichiarazioni, disattendendo anche il rilievo difensivo sul tempo trascorso dalla commissione dei reati, ritenuto, correttamente, irrilevante in quanto l’attività criminosa era proseguita ininterrotta sino al momento degli arresti (cfr. pp. 62-65 dell’impugnata ordinanza).

Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso presentato nell’interesse di C.V. va rigettato, con condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2013
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