T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 26-01-2011, n. 219

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il ricorso in epigrafe il sig. M.N., cittadino nigeriano, ha impugnato il provvedimento con cui il Prefetto di Milano ha denegato la sua regolarizzazione come lavoratore dipendente in quanto la Questura non ha concesso il nulla osta sussistendo i motivi ostativi di cui all’art. 1, comma 8, lett. a) del D.L. 195/2002.

In ricorso è stata denunciata, con il primo motivo, la violazione dell’art. 1, comma 8, lett. c) della legge 222/2002 in quanto, a dire del ricorrente, dal semplice richiamo normativo non sarebbe possibile evincere quale sia il motivo per il quale la Questura non ha rilasciato il prescritto nulla osta.

Con il secondo motivo è stata dedotta, ancora, la violazione dell’art. 1, comma 8, lett. c) della legge 222/2002, posto che l’Amministrazione avrebbe basato il provvedimento sull’esistenza di una mera denuncia a carico del ricorrente senza tener conto che il procedimento penale potrebbe concludersi favorevolmente; in subordine, con il quarto motivo, la predetta norma è sospettata di incostituzionalità ove interpretata nel senso che, per l’emissione di provvedimento di reiezione, sia sufficiente la mera denuncia in luogo della condanna.

Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 2, comma 6 del D.Lgs. 286/98 e 3, comma 3 e del D.P.R. 394/99 in quanto il provvedimento impugnato non sarebbe stato tradotto nella lingua del ricorrente.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

All’udienza pubblica del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Preliminarmente – e per ragioni di chiarezza non essendo la questione rilevante ai fini della decisione – osserva il Collegio che i dubbi di incostituzionalità manifestati con il quarto motivo di ricorso sono superati dalla sentenza 18 febbraio 2005, n. 78 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lett. c) del D.L. 9 settembre 2002, n. 195, convertito in L. 9 ottobre 2002, n. 222, nella parte in cui fa derivare automaticamente la reiezione della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione di una denuncia per uno dei reati per i quali gli artt. 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.

La norma è, pertanto, da interpretarsi nel senso che la suindicata ragione ostativa sia integrata dalla condanna e non dalla mera denuncia.

Passando all’esame dei motivi articolati in via principale il Collegio osserva quanto segue.

Dalla documentazione in atti si evince che a carico del ricorrente risultano una condanna con sentenza di patteggiamento in data 20 dicembre 2002 per il reato di cui all’art. 12 del D.L. 3 maggio 1991 n. 143, convertito in L. 5 luglio 1991, n. 197, nonché una condanna, in data 20 novembre 2008 emessa dal Tribunale di Parma, per il reato di cui all’art. 14, comma 5ter del D. Lgs. 25 luglio 1998 n. 286.

Deve, in proposito rilevarsi che la condanna per il reato di cui all’art. 12 del D.L. 3 maggio 1991 n. 143 era sussistente a carico del ricorrente alla data di adozione dell’impugnato provvedimento ed è stata pronunciata successivamente all’entrata in vigore della L. n. 189 del 2002 – che ha espressamente ricompreso tale tipologia di sentenze tra i motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno – così costituendo preclusione automatica all’accoglimento della domanda di regolarizzazione (Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 2010, n. 4293).

Ne discende che, rientrando l’indicato reato nella previsione di cui all’art. 381 c.p.p., l’atto di reiezione dell’istanza di regolarizzazione del rapporto di lavoro adottato dall’amministrazione si profilava di natura vincolata.

Il primo motivo, pertanto, è infondato.

Il secondo motivo di ricorso, alla luce di quanto precede, risulta egualmente infondato, atteso che il diniego di nulla osta della Questura si fonda non già sulla mera denuncia, come asserito dal ricorrente, ma sull’esistenza di due condanne.

Non ha miglior sorte il terzo motivo di ricorso con cui si denuncia l’illegittimità del provvedimento in quanto non tradotto nella lingua del ricorrente in quanto, in disparte gli eventuali profili di inammissibilità derivanti dal fatto che dall’asserita irregolarità non è derivato alcun vulnus al ricorrente che ha proposto ricorso e che, in mancanza, avrebbe potuto, al più, chiedere ed ottenere la rimessione in termini, deve osservarsi che, stante la natura vincolata, il provvedimento impugnato, pur se non tradotto, supera la prova di resistenza prevista dall’art. 21octies, comma 2, prima parte, della L. n. 241/1990: non sarebbe, infatti, né utile né economico annullare un provvedimento che dovrebbe inevitabilmente essere riadottato con lo stesso contenuto dispositivo (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 20 maggio 2009, n. 2758).

Per le suesposte ragioni il ricorso deve essere respinto.

In considerazione della particolarità della materia il Collegio ritiene equo disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Mariuzzo, Presidente

Elena Quadri, Consigliere

Laura Marzano, Referendario, Estensore
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