Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-08-2012, n. 14332

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20 giugno 2007, la Corte d’Appello di Brescia respingeva il gravame svolto da M.D. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda volta all’accertamento dell’illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato con la Società Europea Porte industriali s.r.l., e alla condanna della predetta società alla reintegrazione e al risarcimento del danno.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– M.D., iscritto nelle liste di mobilità,veniva assunto, in data 10 novembre 2003, dalla Società Europea Porte industriali s.r.l., con contratto a termine di un anno ai sensi della L. n. 223 del 1991, artt. 8 e 25 con qualifica di impiegato tecnico, inquadrato al 4 livello del CCNL industria metalmeccanica privata; in data 17.11.2004 la società comunicava l’automatica risoluzione del contratto, scaduto il 9.11.2004 e proseguito fino al 19.11.2004 per decorrenza della malattia del lavoratore giustificata da certificazione medica;

– M. impugnava la risoluzione del rapporto e comunque la validità del termine;

– il primo giudice riteneva che i lavoratori in mobilità potessero essere assunti con contratto a tempo determinato per il fatto stesso di essere iscritti nelle liste di mobilità.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva il contratto a termine stipulato, nella specie, alla stregua della L. n. 223 del 1991, arrt. 8, comma 2 privo di connessione ad una causale oggettiva e legato allo status di lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, onde non era necessaria la ricorrenza di specifiche circostanze di ordine tecnico-organizzativo e non rilevavano, alla scadenza naturale del contratto, i motivi per i quali il datore di lavoro non aveva stabilizzato il rapporto, non esistendo un diritto soggettivo del lavoratore a vedersi convenire il rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, M. D. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.. La società intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

5. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente, denunciando violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, art. 10, comma 1 in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 8 si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto la fattispecie disciplinata, ratione temporis, dal D.Lgs. n. 368 del 2001, nè la salvezza della L. n. 223 del 1991, art. 8 ad opera del citato D.Lgs. n. 368, art. 10 riferita alle sole agevolazioni contributive previste per l’assunzione a tempo determinato del lavoratore iscritto nelle liste di mobilità. Assume il ricorrente che la costituzione del rapporto di lavoro a termine con il lavoratore in mobilità debba essere comunque motivata con la temporaneità dell’esigenza d’impiego, con estensione, anche per tali lavoratori, dei principi generali regolatori dell’apposizione del termine, come previsti dal D.Lgs. n. 368 e, in difetto della specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo giustificatrici dell’apposizione del termine, delle implicazioni in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza fin dall’inizio del rapporto, al diritto del lavoratore estromesso al ripristino del rapporto di lavoro ed, infine, al pagamento delle retribuzioni dal momento della costituzione in mora fino all’effettivo richiamo in servizio. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

6. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

7. Osserva il Collegio che anche alla luce della regolamentazione del contratto a termine introdotta con il D.Lgs. n. 368 del 2001, e applicabile ratione temporis, le censure del ricorrente non scalfiscono l’orientamento di questa Corte, consolidatosi con la previgente disciplina, secondo cui la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 8, comma 2, – che dispone che i lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi – ha introdotto una fattispecie di assunzione a termine autonoma ed ulteriore rispetto alle ipotesi contemplate dalla disciplina generale del contratto a termine, che prescinde da ogni riferimento a cause oggettive (richieste nelle ipotesi regolate dalla L. n. 230 cit.) in quanto implica solamente, per la sua legittimità, un requisito soggettivo (lo stato di disoccupazione del lavoratore e la sua iscrizione nelle liste di mobilità) e pone, quale unico limite temporale, una durata massima non superiore ai dodici mesi (ex multis, Cass. 16871/2008).

8. L’autonomia e tipicità del contratto a termine stipulato con il lavoratore iscritto nelle liste di mobilità va, invero, confermata anche alla luce della disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, non rinvenendo nella regolamentazione del 2001 alcun fondamento normativo alla tesi del ricorrente secondo cui la nuova disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato avrebbe travolto l’assunzione a termine dei lavoratori in mobilità, facendola rientrare nell’alveo della disciplina generale del contratto a termine conservando, al contempo, la regolamentazione introdotta dalla L. n. 223 del 1991, art. 8 soltanto agli effetti dei significativi sgravi contributivi concessi al datore di lavoro.

9. Ora a prescindere dal rilievo che la tesi del doppio binario così propugnata evoca un’evidente distonia tra la disciplina dell’obbligazione contributiva del rapporto di lavoro e la disciplina del rapporto di lavoro sottostante a quell’obbligazione, la validità della tesi è smentita proprio dal tenore letterale del D.Lgs. n. 368, art. 10 che, rubricato "Esclusioni e discipline specifiche", ha delimitato, nei primi cinque commi, l’ambito di esclusione dal campo di applicazione del decreto legislativo con riferimento a peculiari contratti e rapporti di lavoro disciplinati da specifiche normative e, nel comma 6, utilizzato la tecnica normativa dell’espressa salvezza di discipline specifiche previgenti ("Restano in vigore le discipline di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 8, comma 2…").

10. L’univoca espressione letterale adoperata dal legislatore per far conservare validità a discipline previgenti, tra cui quella delineata dalla L. n. 223 cit., art. 8, comma 2 non solo non contiene, in nuce, un’esplicita abrogazione va, parte qua nel senso della persistente validità ai soli fini degli sgravi contributivi concessi al datore di lavoro, ma si appalesa indiscutibilmente volta a far salva l’intera disciplina del contratto di lavoro a termine stipulato con il lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, nei profili contributivi e sostanziali del rapporto di lavoro.

11. Il dettato legislativo non pone, pertanto, problemi di incerta soluzione nella successione di leggi nella regolamentazione del contratto a termine giacchè, con evidente chiarezza, il legislatore della legge successiva generale che, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia, ha posto un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, prescrivendo l’indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali (quanto al contenuto e alla sua portata spazio-temporale) perseguendo la finalità di assicurare trasparenza e veridicità delle ragioni giustificataci e l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, escludendo da tale ambito il contratto a termine con il lavoratore in mobilità e confermando l’autonomia, nel genus del contratto a termine, del predetto tipo contrattuale.

12. Del contratto a termine con i lavoratori in mobilità, connotato dalla peculiarità soggettiva del contraente (il lavoratore in mobilità per l’appunto), il legislatore delegato del 2001 ha inteso perpetuare e convalidare la ratio legis di favorire nuove opportunità di impiego per i lavoratori in mobilità, ancorchè temporaneo, ma in vista di possibili successive trasformazioni in (o di assunzioni con) contratto di lavoro a tempo indeterminato, ed il limite della durata massima del contratto è preordinata ad evitare il consolidamento della situazione di precarizzazione del rapporto di lavoro del dipendente in mobilità, ritenuta favorita dal prolungamento o dalla reiterazione di successivi contratti a termine con il medesimo datore di lavoro.

13. Inoltre, con la salvezza della disciplina del 1991, il legislatore delegato del 2001 ha altresì confermato la duplice esigenza, pur sottesa alla disciplina del 1991, di liberalizzare ed agevolare economicamente la stipula del contratto a termine col lavoratore in mobilità e la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato (oltre a favorire l’assunzione diretta a tempo indeterminato dalle liste di mobilità), sottraendolo alla disciplina generale relativamente alle proroghe e ai rinnovi ed escludendo, oltre la durata massima di dodici mesi, ogni possibilità di proroga o rinnovo col medesimo datore di lavoro.

14. Il trattamento incentivante costituito dal beneficio contributivo riconosciuto per l’eventuale trasformazione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato conferma anche che, pur dopo la riforma del 2001, il legislatore ha continuato a vedere senza disfavore la situazione di precarietà propria del contratto a tempo determinato con il lavoratore in mobilità a fronte dell’apprezzabile contropartita, sul piano occupazionale, della conversione del rapporto della durata massima di dodici mesi in rapporto a tempo indeterminato.

15. Corollario di tale affermazione è che ove il datore di lavoro non si sia avvalso della predetta contropartita, esercitando la facoltà di stabilizzare il rapporto convertendolo in rapporto a tempo indeterminato, alla scadenza naturale, una volta raggiunto il limite temporale massimo previsto dalla legge, il contratto si risolve automaticamente, nè può il lavoratore dolersi delle ragioni per cui il datore di lavoro non abbia inteso dar corso alla stabilizzazione.

16. Peraltro si appalesano non rilevanti in causa per saggiarne la violazione dei canoni costituzionali e comunitari, i denunciati profili di irragionevolezza e di contrasto del D.Lgs. n. 368, art. 10, comma 6, cit. con i principi fissati dalla Direttiva 1999/70, prospettati dal ricorrente evocando una penalizzazione in danno dei lavoratori non iscritti nelle liste di mobilità, a cagione dei maggiori costi di assunzione e dei limiti posti dal D.Lgs. n. 368 per l’assunzione dei predetti lavoratori con rapporti di lavoro a termine.

17. In definitiva, la decisione della Corte territoriale attenutasi agli esposti principi va confermata e il ricorso va rigettato.

18. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così decido in Roma, il 14 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012
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