Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2013) 26-06-2013, n. 27866

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza in data 8 novembre 2011, in parziale riforma della sentenza del 17 maggio 2010 del Tribunale di Nola, ha condannato E.L. alla pena di anni otto di reclusione e 20 mila Euro di multa, ritenendolo responsabile del delitto di cui all’art. 31 cpv. c.p., art. 609 bis c.p. e art. 609 septies c.p., comma 4, nn. 1 e 4 in relazione a ripetuti atti di violenza sessuale nei confronti della minore L.K., il primo ottenuto con violenza e gli altri con la minaccia di denunciare lo stato di straniero irregolare nel territorio italiano e di incrinare la relazione sentimentale che la stessa aveva con il genero, nonchè del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 600 bis c.p., perchè induceva la predetta minore ad avere rapporti sessuali con altri uomini dai quali riceveva denaro in cambio delle prestazioni sessuali della ragazza; fatti avvenuti in (OMISSIS), i reati di violenza sessuale dal (OMISSIS), lo sfruttamento della prostituzione minorile tra il (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del proprio difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1) Mancanza di motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe ignorato completamente il contenuto delle intercettazioni tra l’imputato e la persona offesa, dalle quali emergeva la sussistenza di una relazione sentimentale tra la L. e l’imputato, relazione messa in crisi dal fatto che la ragazza aveva iniziato una relazione con il genero; nonchè non avrebbe dato alcuna rilevanza alle prove contrarie che erano state sottoposte in maniera analitica con l’atto di appello; 2) Mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione alle numerose "bugie" che la persona offesa aveva dichiarato e quindi sulla mancanza di attendibilità della stessa, anche in relazione all’autonomia dei rapporti sessuali che la stessa aveva avuto con gli altri uomini: i giudici di appello avrebbero rilevato le discrasie nel racconto della persona offesa ed avrebbero ritenuto, senza congrua motivazione, che le stesse non fossero idonee a scalfirne l’attendibilità; 3) Mancanza di motivazione circa le doglianza avanzata in appello quanto alla valenza di una lettera scritta dalla persona offesa alla moglie dell’imputato con la quale la stessa aveva evidenziato l’infondatezza delle accuse che il giudice aveva ritenuto frutto di una costrizione sulla vittima da parte dell’imputato e per la mancata rinnovazione probatoria consistente nell’acquisizione di verbali di sommarie informazioni e dei tabulati; 4) Mancanza di motivazione e travisamento del fatto, in relazione al reato di cui all’art. 600 bis c.p., atteso il contenuto delle dichiarazioni rese dagli uomini che ebbero i rapporti sessuali con la persona offesa, posto che la stessa ebbe a contraddirsi durante le deposizione dibattimentale tanto che il contenuto delle intercettazioni venne contestato ex art. 500 c.p.p.; i giudici di secondo grado avrebbero ritenuto significativa una conversazione tra l’imputato e lo S. ma l’avrebbe estrapolata dal contesto; 5) Violazione di legge ex art. 533 c.p.p., per violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio; 6) Contraddittorietà della motivazione in ordine al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Ad avviso di questo Collegio i primi tre motivi di ricorso risultano fondati.

In tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità, che non deve certo sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, è quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Dalla verifica condotta sulla compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione, emerge, invece, che la sentenza impugnata non è sufficientemente motivata sui punti che erano stati sottoposti a censura con l’atto di appello, in quanto la complessità della intera vicenda e le lamentate discrasie presenti nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa, rispetto ai contenuti delle conversazioni intercettate, anche in relazione ai rapporti intercorrenti con l’imputato ed il di lui genero, avrebbero meritato un attento esame di ciascuna delle articolate censure a suo tempo presentate, in modo da supportare, in maniera adeguata e coerente, le ragioni specifiche poste a base della colpevolezza o quelle contrarie.

2. L’incongruenza argomentativa dimostrata nell’esposizione degli elementi posti a fondamento della valutazione di attendibilità della persona offesa L.K., sedicenne all’epoca dei primi fatti, attendibilità che, nel processo per reati sessuali in generale, ed in particolare per quelli commessi in danno di minori, assume di certo carattere di decisività, rappresenta un indubitabile vizio della motivazione.

Infatti è vero che per la valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa non deve essere utilizzato il criterio di cui all’art. 192 c.p.p. e che è ben possibile che il giudice tragga il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, ma occorre che le dichiarazioni rese dalla persona offesa siano sempre sottoposte a vaglio positivo circa l’attendibilità (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016). Ed è stato affermato, in particolare in relazione ai reati contro la libertà sessuale, che "la valutazione del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa minorenne, oltre a non sfuggire alle regole generali in materia di testimonianza, in relazione alla attenta verifica della natura disinteressata e della coerenza intrinseca del narrato, richiede la necessità di accertare, da un lato, la cosiddetta capacità a deporre, ovvero l’attitudine psichica, rapportata all’età, a memorizzare gli avvenimenti e a riferirne in modo coerente e compiuto, e, dall’altro, il complesso delle situazioni che attingono la sfera inferiore del minore, il contesto delle relazioni con l’ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute" (Sez. 3, n. 39994 del 26/9/2007, Maggioni, Rv. 237952).

3. Nella specie, la sentenza impugnata ha omesso di effettuare un approfondito controllo sulla attendibilità delle dichiarazioni della ragazza e, soprattutto, la motivazione esposta risulta meramente apparente, autoreferenziale, manifestamente illogica, quanto al rigetto delle censure molto specifiche ed articolate, formulate con l’atto di appello, con le quali la difesa aveva eccepito la contraddittorietà, sotto diversi profili, tra le versioni offerte dalla persona offesa in riferimento sia alle violenze sessuali che ai rapporti sessuali dalla stessa intrattenuti con altri uomini, soprattutto in riferimento al contenuto della lettera indirizzata alla moglie del ricorrente, con la quale la L. aveva evidenziato che le accuse erano state in qualche modo "attivate" dal genero dell’imputato, lettera che la persona offesa aveva poi dichiarato di avere scritto per costrizione dello stesso imputato.

I giudici di secondo grado hanno ritenuto che le numerose contraddizioni riscontrate e le discrasie evidenziate nella ricostruzione del fatti non fossero comunque in grado di scalfire la ricostruzione dei fatti quale descritta dal giudice di primo grado senza però evidenziare le ragioni di tale valutazione. Inoltre gli stessi non hanno fornito alcuna risposta circa il mancato accoglimento dello specifico motivo impugnatorio con il quale era stata avanzata richiesta di rinnovazione del dibattimento (si veda pag 10 dei motivi di appello, richiesta volta ad acquisire sia l’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Nola, che aveva ritenuto non attendibile la persona offesa, sia i verbali delle dichiarazioni testimoniali rese dalla stessa nel corso delle indagini preliminari, per verificare la cessazione di ogni contatto tra l’imputato e la persona offesa sin dalla fine di agosto 2008).

4. Se è ben vero, infatti, che il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, quando ritenga invece di respingerla, può anche motivarne il rigetto in maniera implicita, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità penale (cfr. Sez. 3, n. 24294 del 25/6/2010, D.S.B., Rv. 247872; si veda anche Sez. 4, n. 47095 dell’11/12/2009, Sergio e altri, Rv. 245996), è anche vero che l’indirizzo giurisprudenziale consolidato impone l’obbligo di disporre la rinnovazione quando la richiesta dell’imputato sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, in quanto lo stesso non è stato esercitato o per forza maggiore, o per la sua sopravvenienza successiva al giudizio, o perchè l’ammissione della prova sia stata irragionevolmente negata dal primo giudice (Così Sez.6, n. 7197 del 10/12/2003, 19/2/2004, Cellini, Rv.228462).

E’ palese l’errore in cui sono caduti i giudici dell’appello, nel ritenere sussistente il loro potere discrezionale ex art. 603 c.p.p., comma 1, esercitabile in presenza di richiesta di "riassunzione di nuove prove già acquisite nel dibattimento di primo grado" ovvero di "assunzione di nuove prove", mentre ciò di cui si era specificamente doluto l’imputato con l’atto impugnatorio era proprio la lesione del diritto "a difendersi provando" nel corso del dibattimento di primo grado, anche per affetto dell’ordinanza dibattimentale (parimenti impugnata) che aveva negato l’acquisizione dei tabulati richiesti ex art. 507 c.p.p., per evidenziare le contraddizioni delle dichiarazioni rese dalla L. nell’istruttoria dibattimentale, connesse al fatto che sarebbero emersi elementi circa i contatti telefonici precedenti e successivi alla fase temporale sottoposta ad intercettazione tra l’ E. e la persona offesa. Infatti il Collegio dell’appello avrebbe dovuto considerare il disposto dell’art. 603 c.p.p., comma 2, alla cui situazione deve essere equiparata quella nella quale la parte sia stata privata della possibilità di esercitare il proprio diritto alla prova, ed avrebbe dovuto fornire una motivazione su tutte le richieste di rinnovazione probatoria, non limitandosi a respingere unicamente l’impugnazione dell’ordinanza dibattimentale sulla base della mera asserzione che il quadro probatorio agli atti risultasse "insuscettibile di modifica" (cfr, in proposito, parte motiva di Sez. 3, n. 8382 del 22/1/2008, dep. 25/2/2008, Finazzo, Rv. 239341).

5. Di conseguenza, e dovendosi ritenere assorbite le residue doglianze, deve disporsi l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013
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